La libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali dell’Unione Europea sancita inizialmente dagli accordi di Schengen del 1985 e in seguito dal Trattato di Maastricht del 1992 che introdusse la cittadinanza europea permettendo così ai cittadini comunitari di spostarsi e risiedere liberamente in qualsiasi stato dell’UE. Allo stesso modo, l’Unione Europea prevede la libertà per i lavoratori comunitari di svolgere un’attività lavorativa presso un altro Stato membro: tale libertà viene stabilita ad esempio, dall’art. 45 del TFUE[1]e dal Regolamento n.492/2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’UE.

Ciò nonostante, nella nostra società esiste un settore che risulta immune ai principi, alle libertà e ai diritti fondamentali comuni a tutti i cittadini europei: tale settore è il diritto sportivo, ovvero l’insieme di tutte le norme federative e statali che regolano gli sport. In ambito calcistico infatti la FIFA, un’associazione privata di diritto svizzero e non un ente pubblico come l’Unione Europea, vieta con le sue norme, la libera circolazione dei giocatori minorenni comunitari ed extracomunitari. Il divieto è determinato dall’art. 19 del Regulations on Status and Transfer of Players: “I trasferimenti internazionali dei giocatori sono consentiti solo se il giocatore ha più di 18 anni”. Tale articolo prevede però delle eccezioni, come quella che permette il trasferimento di un minorenne qualora il giocatore cambi paese insieme ai genitori per motivi non legati al calcio (da dimostrare) e, a livello comunitario, permette il tesseramento di un giocatore minorenne soltanto tra i 16 e i 18 anni, rispettando però delle rigorose condizioni. Analogamente, l’art.19 permette il tesseramento in un paese comunitario solo nel caso in cui il giocatore viva a non più di 50 km dal confine nazionale e voglia tesserarsi per un club europeo che si trovi non oltre 50 km dal rispettivo confine.

La misura restrittiva prevista dal citato articolo venne adottata giustamente dalla FIFA per evitare il traffico internazionale di giocatori verificatosi in passato a danno di calciatori minorenni provenienti da paesi poveri e che, una volta arrivati in Europa, finivano per strada dopo aver fatto un provino. L’attuale restrizione però si applica anche a giocatori minorenni europei che non corrono particolari pericoli, come nel caso in cui il cambio di paese viene effettuato insieme ai genitori.

A sua volta anche il TAS, il tribunale arbitrale dello sport, organismo arbitrale di ultima istanza delle sentenze FIFA/UEFA, ha applicato le norme federative calcistiche che limitano la libera circolazione dei giocatori.Celebre è la sentenza CAS 2015/A/4312[2] riguardante un quattordicenne con madre brasiliana e padre statunitense, a cui venne proibito il tesseramento per l’Ajax. Dopo aver sostenuto un provino a Manchester con i “Cityzens”, d’accordo con la madre, si trasferì ad Amsterdam. Nella città olandese la madre aprì un’attività commerciale, mentre il ragazzo ovviamente, continuò a coltivare il suo sogno, presentandosi ai provini dell’Ajax.  Questa volta, nonostante il provino fosse andato a buon fine, tutto venne bloccato dalla sentenza FIFA prima e da quella del TAS poi: secondo il tribunale svizzero, cosi come per la FIFA, la madre decise di trasferirsi ad Amsterdam solo per motivi calcistici e non per motivi commerciali/lavorativi[3].

Infine, la scorsa settimana, il Consejo Superior de Deportes(CSD) ente pubblico spagnolo rettore dello sport e dipendente dal Ministero della Cultura e dello Sport, ha emesso una sentenza storica, stabilendo che l’art.19 RSTP di cui sopra, d’ora in avanti, non si applicherà più in terra spagnola e per i cittadini spagnoli. La decisione del CSD è stata determinata da un caso riguardante l’applicazione delle norme FIFA ad un ragazzo nato in Florida da padre statunitense e madre spagnola, per cui, in base allo ius sanguinis, cittadino spagnolo a tutti gli effetti. I genitori, d’accordo con il sedicenne, decisero di mandarlo a Mallorca per proseguire gli studi e migliorare lo spagnolo: li avrebbe vissuto inizialmente con la zia, in attesa dell’arrivo dei genitori.  Una volta nell’isola il ragazzo cercò di tesserarsi per ben due volte in due club non professionisti maiorquini, ma tutto venne bloccato dalla federazione spagnola e dalla FIFA che in questo caso, proibì ad un giocatore comunitario che vive con la famiglia, di poter giocare liberamente a pallone.

Anche in Italia i tribunali ordinari si sono espressi contro le norme FIFA riconoscendole anche come discriminatorie, in particolare con l’ordinanza del 18 dicembre 2015 del Tribunale di Palermo, o con l’ordinanza n.656/2011 del Tribunale di Pescara. Tuttavia la FIGC è obbligata, in quanto membro FIFA, ad applicare l’art.19 RSTP, tanto per società dilettantistiche e soprattutto per quelle professionistiche: l’eventuale delega della potestà genitoriale ad un parente infatti deve essere sempre dimostrata con atto di affidamento rilasciato dal Tribunale e non viene considerata tutt’ora come eccezione all’art.19 RSTP, presentandosi così la possibilità che un minorenne italiano nato all’estero e in affido a parenti in Italia possa essere considerato “irregolare” dalla FIFA, come accaduto per il ragazzo spagnolo a Mallorca.

La recente sentenza del CSD dimostra come ancora oggi ci sia un evidente conflitto di giurisdizione tra i tribunali ordinari degli stati comunitari e la FIFA: tale sentenza forse servirà ad arrivare ad ulteriori deroghe all’applicazione dell’art.19 RSTP a favore dei calciatori europei, visto che non si può proibire a giocatori minorenni accompagnati dalla famiglia di essere tesserati in importanti club europei, soprattutto in un’età fondamentale per la crescita calcistica.

 

Silvio Bogliari

 

[1]Art. 45 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea: “La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali”.

[2]http://jurisprudence.tas-cas.org/Shared%20Documents/4312.pdf

[3]CAS 2015/A/4312:“The Panel considers that, based on the circumstances and the sequences of events of the present matter, the Player’s Mother’s move to the Netherlands was actually, at least partially, linked to the football activity of her son”.