Mercoledì mattina Neymar ha finalmente presentato la denuncia al Tribunale di Barcellona contro la sua ex squadra per il problema relativo alla novazione del suo ultimo contratto. Problema da 30 milioni di euro, problema difficile da passarci sopra. La controversia tra il club e il giocatore trova la sua origine nel cosiddetto signing bonus che tradotto sarebbe semplicemente bonus alla firma: tale bonus non è altro che il diritto di un giocatore, che si genera al momento della firma del contratto, a ricevere una somma offerta dal club. Visto da un’altra angolazione può essere considerato come un incentivo che un club può mettere sul piatto per convincere il giocatore a non cambiare squadra.

Nel caso di Neymar, la firma per la novazione del contratto arrivò il primo luglio del 2016 e in base a tale firma il giocatore accordava la sua permanenza nelle fila del Barcellona fino al 30 giugno del 2018, ma otteneva anche il diritto a tale bonus. E sempre nel caso del giocatore brasiliano, poiché il bonus alla firma era di 64 milioni, le parti stabilirono di rateizzare il pagamento, la cui prima rata venne effettivamente pagata dal club azulgrana nell’estate del 2016. Come tutti sappiamo però Neymar pagò la clausola di rescissione e si trasferì a Parigi; a questo punto il Barcellona si impuntò sul pagamento della seconda rata del signing bonus. In prima battuta i dirigenti catalani chiesero la restituzione della prima rata, poi lo stesso club arrivò addirittura a depositare i milioni della seconda rata da un notaio, a modo estorsivo se vogliamo, dichiarando: "Se Neymar resta lo paghiamo, se va via, no".

Non sono un ammiratore di Neymar giocatore né di Neymar persona, però quando di mezzo ci sono i contratti e i diritti tifo sempre per la vittoria della legge, e in questo caso la situazione è cristallina. Nelle varie clausole del contratto del brasiliano, tra cui quella che proibiva al giocatore di andare a sciare e di fare parapendio (ma anche la poco commentabile clausola che obbligava il giocatore ad imparare il catalano come mezzo di integrazione), non c’è quella che invocano i dirigenti del Barça, ovvero quella che in caso di trasferimento prima del 30 giugno 2018 il giocatore avrebbe perso il diritto al bonus alla firma. Se fosse come dice il Barcellona, allora tale bonus non dovrebbe neanche chiamarsi signing bonus, ma semplicemente bonus, e in ogni caso avrebbero dovuto accordare una cifra inferiore sapendo che il giocatore in futuro avrebbe potuto cambiare squadra.

In Spagna la giurisprudenza ha riconosciuto in numerose sentenze e in maniera unanime che il bonus alla firma è parte integrante del salario del lavoratore, cosa che lo differenzia dagli altri bonus che vengono pattuiti con il club, come il bonus per i gol segnati o quello legato alle presenze dal primo minuto. Riconoscono il signing bonus come salario poiché svincolato dalla prestazione sportiva del giocatore stesso, anche perché l’attività principale di un attaccante è quella di "segnare" e non di firmare contratti. Certo, l'opinione pubblica potrebbe pensare (e giustamente) che Neymar ha fin troppi soldi e guadagna anche troppo; tuttavia non si deve snobbare l’importanza di questa controversia tra il club azulgrana e il brasiliano poiché una vittoria del Barcellona potrebbe creare un pericoloso precedente giurisprudenziale ed essere applicato anche a quei giocatori i cui bonus alla firma sono infinitamente inferiori. Non dobbiamo dimenticarci che i giocatori sono dei lavoratori dipendenti, evidentemente lavoratori molto fortunati ma pur sempre lavoratori, mentre dall’altro lato i club sono dei datori di lavoro che in quanto tali godono di diritti ma devono rispettare anche doveri ed obbligazioni, come il pagamento degli stipendi dei propri dipendenti.

Silvio Bogliari