Prima di ributtarci a capofitto sul campionato volevo concedermi un’ultima considerazione sulla nostra nazionale. La “magica” Italia campione d’Europa del ct Roberto Mancini si è letteralmente schiantata andando incontro allo stesso tragico destino a cui era incorsa quella guidata da Gian Piero Ventura appena quattro anni fa. Una vera e propria ecatombe, un disastro quasi annunciato, visti i risultati ottenuti negli ultimi impegni ufficiali, arrivato nel peggiore dei modi possibili e che fa ancora più male rispetto al 2018 poiché in questo caso specifico avevamo vinto, da grandi protagonisti e da sfavoriti, un campionato europeo in cui abbiamo sfoggiato forse il miglior gioco del torneo grazie alla grande opera di ricostruzione avviata dallo stesso ct negli ultimi tre anni e mezzo. Per questo motivo esser stati eliminati così contro i modesti macedoni è sicuramente molto più grave rispetto all’eliminazione subita per opera degli svedesi che comunque sia al mondiale russo si confermarono essere più che delle semplici comparse da prendere a pallonate.

Ma il punto di vista su cui voglio soffermarmi è un altro, inutile parlare delle solite problematiche di fondo che si ripetono con il passare del tempo senza nessuna apparente soluzione; già lo hanno fatto ampiamente, e anche bene, i miei autorevolissimi colleghi blogger all’interno dei loro pezzi, per questo io sono fermamente convinto che ciò che è venuto a mancare di più, anche durante le fasi finali dell’Europeo vinto, è senz’altro la mancanza dei gol da numeri nove ovvero dei cosiddetti “bomber” di razza di cui l’unico superstite risulta il solo Ciro Immobile.
Roba da matti, se noi pensiamo che nel periodo a cavallo tra gli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio, di attaccanti italiani forti ne avevamo a bizzeffe ragion per cui diversi ct succedutesi, nel corso degli anni, sulla panchina della nostra nazionale furono “costretti”, si fa per dire, a non convocarli nemmeno lasciandoli molto spesso e volentieri a casa durante le manifestazioni più importanti.
E quindi come siamo arrivati oggi a questa grande penuria di attaccanti italiani nel nostro campionato e soprattutto in Nazionale?
Molto semplice, basta vedere l’attacco composto dalle prime quattro in classifica, della nostra serie A, per darci una prima risposta: Il Milan ha Olivier Giroud e Zlatan Ibrahimovic; l’Inter ha Edin Dzeko e Lautaro Martinez; la Juventus ha Dusan Vlahovic e Alvaro Morata senza contare Paulo Dybala, Napoli e Roma hanno Victor Osimhen e Tammy Abraham e l’unica squadra delle prime sette che ha una punta italiana è la Lazio, con Ciro Immobile.
Quindi la mia domanda, senza andare alla ricerca di alibi sia chiaro, è cosa poteva fare di più Roberto Mancini con il poco materiale offensivo a disposizione? Sicuramente qualcosa in più, ma resta il fatto però che gli attaccanti delle squadre più forti del nostro campionato sono tutti stranieri e il nostro capocannoniere, Ciro Immobile, paradossalmente non è un attaccante abituato ai grandi palcoscenici del calcio internazionale nonostante le sue due, entrambe negative, esperienze fatte all’estero con le maglie di Borussia Dortmund e Siviglia.

Però, e non vuole essere un partito preso nei confronti dell’attaccante laziale, è interessante notare come, nonostante la nazionale in passato abbia avuto grandi attaccanti, molti di loro non siano riusciti ad incidere più di tanto, anche se la qualità delle rose che gli giravano intorno fossero di gran lunga superiori rispetto a quella attuale.
A conferma di questa tesi infatti basta andare a vedere la classifica dei primi venti, alcuni hanno lo stesso numero di gol, top scorer nella storia della nostra nazionale per rendercene conto:

 1. Gigi Riva, 35 gol                                             2. Giuseppe Meazza, 33                                   3. Silvio Piola, 30                                               4. Roberto Baggio, 27.                                       5. Alessandro Del Piero, 27.                             6. Alessandro Altobelli, 25.                             7. Adolfo Baloncieri, 25.                                   8. Filippo Inzaghi. 25.                                       9. Francesco Graziani, 23.                            10. Christian Vieri, 23                                      11. Sandro Mazzola, 22                                  12. Daniele De Rossi, 21                                  13. Paolo Rossi, 20                                            14. Roberto Bettega, 19                                  15. Alberto Gilardino, 19                               16. Luca Toni, 16                                              17. Gianluca Vialli, 16                                    18. Gino Colaussi, 15                                       19. Julio Libonatti, 15                                      20. Angelo Schiavio, 15                                  21. Ciro Immobile, 15

Come potete ben vedere né Vieri né Totti né Inzaghi occupano le prime posizioni e anche il tanto famigerato Immobile, nonostante le critiche piovutegli addosso da ogni dove, resta sempre uno dei migliori realizzatori della nostra nazionale.
Come ben sapete l’attaccante biancoceleste in Serie A ha una media gol spaventosa mentre in nazionale, nonostante i numeri, non riesce ad essere comunque quel cecchino infallibile d’aria di rigore che è quando indossa la maglia della Lazio, sbagliando con regolarità diverse occasioni da rete.
Eppure l’attaccante laziale è nella top 20 dei migliori marcatori della nazionale, ancora in attività, con 55 presenze e 15 gol all’attivo quindi viene da chiedersi, lecitamente, quale potrebbe essere la motivazione per cui in nazionale un attaccante del suo calibro segna con così poca regolarità? La mia domanda nasce dal fatto che non è certo l’unico numero nove che ha avuto un rendimento così deludente con l’Italia.
Se infatti riosserviamo, attentamente, la classifica dei marcatori all-time, della nazionale italiana, dietro le colonne portanti Giuseppe Meazza e Gigi Riva c’è praticamente un incredibile salto nel vuoto in termini di gol realizzati dalle cosiddette grandi firme, della recente generazione, portata sempre tanto in auge ogniqualvolta si presenta un disastro di notevoli dimensioni.
Infatti giocatori molto prolifici come Vieri, Toni o Inzaghi o anche grandi fantasisti, quindi non proprio dei veri numeri 9, come Totti, Del Piero e Roberto Baggio, hanno segnato pochissimo rispetto a quanto riuscivano a fare nei loro club d’appartenenza proprio come Ciro Immobile.
Perché? È un problema di stile di gioco, di moduli, di allenatori? Oppure è solo un problema di identità di gioco all’italiana che ci portiamo dietro da decenni per storia e tradizione?
Difficile saperlo con certezza ma ciò che risulta inspiegabile, davanti a nomi di un certo calibro, è che negli altri paesi calciatori molto più modesti dei nostri e con nazionali meno attrezzate tecnicamente e qualitativamente, nell’ultimo ventennio, siano comunque riusciti a segnare tanto di più rispetto ai nostri più grandi centravanti.
Infatti giocatori come ad esempio Edu Vargas, nel Cile, è riuscito a mettere a segno 40 gol, il “Chicharito” Hernandez ne ha fatti 52 con il suo Messico e Peter Crouch 22 con l’Inghilterra. Numeri non certo entusiasmanti in rapporto alle presenze fatte ma comunque cifre importanti e per di più in linea d’aria, o addirittura superiori, a quelle dei nostri migliori bomber nella storia della nazionale italiana. E anche adesso che, prima della clamorosa eliminazione dalla qualificazione al mondiale, le trame offensive sembravano essere migliorate grazie al disegno tattico costruito da Roberto Mancini, la questione dei pochi gol realizzati rimane a tutt’oggi un mistero irrisolvibile a cui non si riesce a trovare una soluzione adatta allo scopo.
Quindi il problema di fondo esiste già da tantissimo tempo e la tesi iniziale è assolutamente comprovata: cioè tutti i più grandi attaccanti hanno reso mediamente peggio con l’azzurro sulle spalle rispetto a quanto non abbiano fatto con le loro squadre di club. Tutte le strade riconducono alla riflessione centrale di questo ragionamento che non è dunque solo una questione di mancanza di numeri nove o di eccessiva presenza di stranieri nel nostro campionato; non è neanche una questione di sfortuna o maledizione che grava sulle maglie dei futuri bomber della nostra Nazionale.

Quello che invece può assolutamente risultare vero è che possono essere creati dei presupposti affinché un attaccante sia messo nelle migliori condizioni, sia atletiche che tecniche, per portarlo a spingere la palla in rete con ogni mezzo possibile. Chiaramente prima cosa fondamentale è necessario istaurare una certa intesa con il commissario tecnico e capire quale possa essere il livello di affinità con il suo stile di gioco; quindi evidentemente negli anni dei Totti, dei Delpiero, dei Baggio, dei Vieri l’elevata alternanza di diversi allenatori sulla panchina della nazionale come Cesare Maldini, Dino Zoff e soprattutto Trapattoni, con il senno di poi è doveroso riconoscere che nessuno di questi grandi maestri di calcio, sia stato in grado di trasmettere alla squadra e di conseguenza a questi magnifici fuoriclasse quella spiccata impronta offensiva o uno stile di gioco divertente e libero dall’estremo tatticismo, a dispetto della grande qualità di cui disponevano, visti anche gli scarsi risultati ottenuti sul campo.

Erano sicuramente anni diversi in cui ancora l’estrema identità tattica catenacciara all’Italiana, che oggi viene ripudiata a dispetto del calcio spettacolo di stampo europeista, non permetteva sicuramente di far esprimere al massimo il potenziale dei grandi fenomeni di cui disponevamo perché evidentemente in campo facevano fatica a comprendersi tra di loro. Lezioni ed esperienze di cui avremmo dovuto fare tesoro con le delusioni ottenute nel corso del tempo ma che di fatto ci riportano ancora alla punta dell’iceberg perché può anche darsi che Immobile sia inadeguato come bomber della nazionale, può anche darsi che in Italia ci sia penuria di numeri nove, ma in ogni caso è assodato che non dipende solo da Immobile se la nazionale non si trova ai mondiali, ma forse da una filosofia calcistica ereditaria, che davvero è il momento di abbandonare definitivamente.

Viva l'Italia
Ciccio