Torniamo indietro di qualche anno quando all'Olimpico di Roma l'Inter staccava il biglietto per la Champions League grazie a un'incornata di Vecino. I nerazzurri mancavano nella competizione europea da ben nove anni e con Spalletti alla guida sono riusciti a mettere un tassello fondamentale per quella che poi sarebbe stata la squadra campione d'Italia in questa stagione.

 

Antonio Conte è il simbolo di un interismo rinato, di una foga agonistica e di un temperamento che hanno fatto del club di Zhang una potenza durante questa stagione. Il tecnico salentino, più volte bersagliato, ha continuato l'opera di Spalletti (iniziata durante l'estate del 2017). L'allenatore toscano, a differenza dell'ex Juve, veniva da una piazza alquanto difficile come quella della Roma giallorossa. La diatriba con Totti ha rafforzato le convinzioni di Spalletti, abile poi a gestire situazioni delicate che hanno fatto da sliding doors nella rinascita nerazzurra. Spiegazioni.

 

Un caso cruciale è stato quello di Mauro Icardi: l'argentino, in rottura con la società e la tifoseria, è stato messo con le spalle al muro dopo aver alzato troppo la voce con la sua moglie-agente Wanda Nara. Spalletti, più volte e ai microfoni della stampa, non ha mai difeso l'attaccante adesso al Psg...anzi ha sbandierato il suo orgoglio nell'allenare l'Inter e ha rimarcato più volte l'importanza di indossare una casacca pesantissima vista la storia, il blasone e il carattere di ogni sostenitore. Dopo lo scontro, o meglio la partita quasi scacchistica con la società Icardi e Spalletti lasciano Appiano, con il secondo che persegue l'obiettivo della qualificazione da cardiopalma contro l'Empoli allenato da Andreazzoli. Un gruppo compatto, una squadra che non si è disunita e che non ha mai gettato la spugna nonostante le voci insistenti mirate a destabilizzare lo spogliatoio. 

 

Poi l'arrivo di Conte e un anno di ricostruzione e certezze poi raggiunte: Nainggolan viene tagliato fuori anche lui dal progetto con l'obiettivo di fare dell'Inter un'icona, un'etichetta e una nuova realtà fondata su trascinatori e assi a partita in corso. Via Icardi (grazie alla presa di posizione di Spalletti) e dentro Lukaku. Quasi un alter ego, una contrapposizione già marcata dopo la stagione 2018/2019 e con una "tavola già apparecchiata" verso un trionfo aspettato undici anni.

 

Non è lo scudetto di Marotta, ma non è manco tutto merito di Conte. A quest'ultimo diamo il merito di aver plasmato a sua immagine e somiglianza una squadra dopo un'annata agrodolce fatta di alti e bassi e anche (sì diciamolo) di appostamenti davanti a una villa teatro di uno spettacolo degno della miglior sceneggiatura di un film hollywoodiano.

 

Conte ha ricucito sulla maglia il tricolore, ma quel pezzettino e forse gran parte del lavoro è frutto di un altro tecnico che ha preso in mano una realtà frastornata dagli switch di panchina e da percorsi alquanto burrascosi. Non è giusto manco parlare di "scudetto juventino" dati i rinforzi dirigenziali arrivati dallo Stadium, forse bisognerebbe parlare di una vittoria costruita con lungimiranza e anche con un pizzico di cattiveria in più anche se mediatica. Perché Conte ha portato a termine il lavoro...un lavoro cominciato da Luciano Spalletti.