Siamo giunti al terzo editoriale di Histories of talent, dopo aver descritto le carriere e i momenti più belli vissuti sul campo da parte di Gianfranco Zola, prima e Domenico Morfeo, poi, in questa terza edizione racconteremo gli aneddoti e la carriera di uno dei più grandi difensori degli ultimi trent’anni, che si è fatto apprezzare, principalmente, con la maglia, della Selecao, il Brasile, e soprattutto con quella “magica”, giallorossa, della Roma diventandone un leader e perno inamovibile per ben tredici stagioni, avendo avuto anche il merito e l’onore di aver indossato la fascia da capitano, consegnatagli nel 1998 - dall’ex attaccante giallorosso l’argentino Abel Balbo- prima di averla ceduta a sua volta volontariamente all’astro nascente, appena ventiduenne, nonché idolo del “popolo” romano Francesco Totti. Un solido difensore, dai piedi educatissimi, dotato di grande eleganza e un'incredibile capacità di anticipo nei confronti degli attaccanti avversari, un giocatore d’altri tempi, leader silenzioso, difficile da poter trovare nel calcio di oggi: lui è Nascimento do Santos, per tutti conosciuto semplicemente come “Pluto”, Aldair.  Nasce a Ilhéus - un paesino nel nord del Brasile - nell'Ottobre del 1965, calciatore dotato di un fisico possente ma allo stesso tempo molto agile sia nel gioco aereo che soprattutto nei tempi d'anticipo dell’attaccante avversario per non parlare della grande forza mostrata nei suoi contrasti. Lento di fisico ma veloce di pensiero, a volte elegante altre senza fronzoli, sorridente ma nello stesso tempo triste per via dei tantissimi chilometri di distanza che lo separavano dalla sua terra natale e soprattutto dalla sua grande e numerosissima famiglia. È proprio questa nostalgia di casa che - appena agli inizi della sua carriera - ha rischiato, diverse volte, di chiudergli definitivamente le porte del mondo del calcio quando l’inseguimento alle sue umili origini era perfino più forte del piccolo pallone da calcio rotolante sull’erba dei campi appena tagliati.

E con queste premesse che Aldair, appena sedicenne venne selezionato dalla squadra tanto amata da suo padre, il Vasco da Gama, per poter effettuare il suo primo provino importante con le giovanili del club bianconero. Egli in un primo momento accettò il fatto di doversi trasferire in una grande Metropoli come Rio de Janeiro per poter inseguire i suoi sogni e i suoi idoli fin da quando era un bambino ma la mancanza di casa e la lontananza dai propri affetti era fin troppo forte per poter essere ignorata, pensando di dover giocare soltanto a calcio. Di conseguenza il suo potenziale talento, per via di questo suo “limite” caratteriale, al Vasco da Gama era destinato a rimanere inespresso con il rischio di perdersi nei meandri di tutta la sua fragilità emotiva del tipico ragazzo di “famiglia” proprio come lo era lui. Per questo motivo alla fine del periodo di prova venne scartato ma non perché non fosse ritenuto un giocatore dalle grandi potenzialità tutt’altro semplicemente perché non era ancora stato giudicato pronto a livello “caratteriale” per poter affrontare tutte le difficoltà che inevitabilmente potevano conseguire dal dover giocare per un club così importante oltre all’inevitabile impatto devastante che una megalopoli come Rio de Janeiro poteva avere su un ragazzino di quell’età proveniente dalla piccolissima Ilhéus. D’altra parte, Aldair non aveva mai detto, apertamente, di ricercare attraverso il gioco del calcio la possibilità concreta di poter scappare, a tutti i costi, dal suo destino, come quello di poter far il venditore ambulante di noci di cocco, piuttosto che di piccoli manicaretti sulla strada tra Itabuna e Ilhéus, per aiutare la sua grande famiglia composta da quindici fratelli. Come non ha mai nascosto che gli sarebbe piaciuto poter giocare in attacco - la leggenda narra che lui abbia scelto di fare il difensore perché non avrebbe mai sopportato di prendere i calci da parte dei difensori - se solo il suo fisico possente fosse stato simile a quello di Romario, perché anche lui aveva i suoi idoli, infatti impazziva per Roberto Dinamite - mitico attaccante del Vasco Da Gama che ancora oggi detiene il record di presenze per il club bianconero - ma purtroppo per lui il cuore aveva prevalso sul suo talento e non gli avevano permesso, da ragazzino, di poter crescere e diventare un leader nella squadra del suo idolo.

Chissà forse è proprio da quel momento che ha deciso di trasformarsi in un difensore silenzioso, arcigno e allo stesso tempo timido, fuori dal campo, come avremmo avuto modo di conoscerlo in seguito nel corso della sua lunga permanenza nel campionato italiano. Dopo esser stato scartato dal club di Rio sembrava – dunque - chiudersi, così improvvisamente, senza essere mai veramente cominciata la pagina calcistica di quello che diventerà uno dei più grandi difensori centrali del mondo poiché, per un po’ di tempo, Aldair smise di giocare a calcio per fare ritorno nella sua cittadina e soprattutto dalla sua numerosissima famiglia. Ma il richiamo per quella piccola sfera rotonda di cuoio era ancora troppo forte per poter essere abbandonata così senza nemmeno provarci, perché in cuor suo sapeva di avere un grande talento solo che aveva bisogno di qualcuno pronto a dargli fiducia per tirarglielo fuori. Ed è così che nel 1985, arriva la grande occasione, a bussare alla porta di casa Nascimento do Santos è il Flamengo. Lo scout della squadra rossonera Juarez dos Santos, scelse proprio lui, tra i quindici fratelli di quella numerosissima famiglia, accorgendosi del suo incredibile talento cristallino tra la polvere e lo sporco di una partita tra amici giocata nei campetti del comune metropolitano di Duque de Caxias a Rio de Janeiro. Per giocare con il Flamengo si trasferì nella Baixada Fluminense, ai margini della metropoli carioca, in un quartiere molto popoloso, povero e allo stesso tempo violento. Proprio da quelle parti lo raccontano come di un ragazzo privo di vizi che non fumava, beveva poco, non più di una pinta ogni tanto e le sue uscite si limitavano a quelle del cinema con la fidanzatina. È con queste premesse che Aldair non si fece sfuggire questa grande opportunità, riuscendo, a mettere da parte le sue ansie, paure e angosce provocate, in passato, dall’improvviso allontanamento dai suoi familiari e quindi firmò subito il suo primo contratto da calciatore professionista nel 1986, esordendo al grande Stadio Maracanà proprio in occasione del derby contro il Botafogo, scendendo in campo assieme a giocatori del calibro di Bebeto e Jorginho. Nel corso del suo triennio in rossonero crebbe sotto l’ala protettiva di Leandro, suo compagno di reparto e leggenda della retroguardia dei rossoneri ed è proprio insieme a lui che vincerà anche il suo unico campionato brasiliano all’esordio tra i professionisti. Nel frattempo Aldair diventava sempre più forte e le sue prestazioni crescevano partita dopo partita finché è nel 1988 che viene notato da un grande allenatore: Sven Goran Erikson che, una volta conclusa l’esperienza romana era divenuto il nuovo tecnico del Benfica. decidendo di acquistarlo per la squadra portoghese - una delle migliori in Europa in fatto di scoperta di talenti - per sostituire il connazionale brasiliano Carlos Mozer nel frattempo passato al Marsiglia. Anche in Portogallo Aldair fa delle prestazioni eccezionali, giocando delle grandissime partite da titolare, blindando la difesa e guidando i lusitani fino alla storica finale di Champions League del 1989 poi persa, per una rete a zero, contro il grande Milan degli olandesi di Arrigo Sacchi.

ROMA E BRASILE
Dopo una sola grande stagione giocata in terra portoghese condita da 25 presenze e 5 reti all'attivo, molti dei più grandi club europei misero subito gli occhi addosso su di lui e sulle sue ottime prestazioni. Tra i suoi ammiratori c’era anche il presidente della Roma, Dino Viola, che proprio su consiglio dell’allenatore svedese Eriksson, decise di acquistarlo per circa 6 miliardi di lire - prelevandolo dal Benfica - ed inoltre verrà ricordato come l’ultimo grande acquisto fatto dall’era Viola come presidente della Roma. Aldair si piazzò sin da subito al centro della difesa giallorossa guidando la squadra grazie alla sua forza e alla sua fisicità da difensore roccioso. “Pluto”, così lo chiamarono a Roma - forse per il suo aspetto che ricordava il cane fedelissimo amico di Topolino della Disney - arrivò già con le credenziali del giocatore di grande caratura internazionale ma furono ben pochi gli allenatori che intravidero in lui le possibilità concrete di diventare un vero mostro sacro del football a livello mondiale. Infatti è leggendo le parole di una icona del romanismo puro come quelle del “barone” Nils Liedholm - chiamato nel 1997 a redigere l’elenco dei migliori undici calciatori dei primi settant’anni della storia romanista - che si intuisce il grande giocatore che è stato Aldair per il calcio:
nella Roma migliore di tutti i tempi come centrali prendo due stranieri: quello falso, Vierchowod, e quello vero: Aldair
Aldair fece la sua prima apparizione in Serie A nel corso di un Roma – Fiorentina, prima di campionato del 9 settembre del 1990, in una giornata caldissima e piena di sole in un Olimpico fresco di ristrutturazione - per i recenti mondiali del 1990- con un pubblico festante e che andava quasi al tutto esaurito, insomma una di quelle giornate che solo il pubblico romano è in grado di regalare. Quel giorno in una vittoria roboante contro la viola – per quattro reti a zero - del malcapitato allenatore Lazaroni, gli occhi di qualsiasi tifoso romano innamorato del pallone non potevano che andare direttamente sulle prodezze di Rudi Voeller e alla grande doppietta di Andrea Carnevale. I viola in quella calda giornata di fine estate non scesero praticamente mai in campo, il compianto Borgonovo e i suoi compagni d’attacco raramente si avvicinarono nelle retrovie della squadra giallorossa ma il merito fu soprattutto di quel ragazzone brasiliano di 25 anni appena approdato alla corte di Ottavio Bianchi e cioè Aldair.

Da quel giorno infatti non passò molto tempo affinché i tifosi della Roma si accorgessero di che pasta fosse fatto il difensore brasiliano, infatti se ne innamorarono abbastanza velocemente. Non solo per il suo modo elegante di saper stare bene in campo ma soprattutto per via dell’efficacia e della grande sicurezza che mostrava quando usciva dalla difesa palla al piede, non abbassando mai lo sguardo e giocando sempre a testa alta, infondendo fiducia a tutti i suoi compagni di reparto. Aldair nel corso della sua carriera si rivelò essere un difensore incredibilmente dotato tecnicamente con un’eccellente tempismo, un ottimo senso della posizione e un’innata sapienza tattica. Nonostante venisse schierato con regolarità tra i titolari, i suoi primi anni alla Roma furono molto difficili, non solo per via dell’adattamento ai ritmi di gioco di un campionato di livello come quello della Serie A ma soprattutto perché ricominciò ad affiorare nuovamente quella nostalgia di casa che tanto lo avevano limitato agli inizi della sua carriera, dovuta anche in parte al suo rapporto non certo ottimale con il suo primo allenatore alla Roma, Ottavio Bianchi. Infatti dopo appena una stagione giocata con i giallorossi, Aldair stava già valutando seriamente la possibilità di fare ritorno in Brasile per trovare serenità e soprattutto conforto in una squadra con un allenatore deciso a puntare forte su di lui. Nonostante i problemi di carattere personale, la sua prima stagione giocata in serie A, con la Roma, si rivelò più che positiva, visto la vittoria ottenuta contro la Sampdoria – campione d’Italia in carica - in finale di Coppa Italia, riuscendo ad aggiudicarsi il trofeo per la settima volta nella loro storia. Aldair non poteva però immaginarsi che dopo quel trofeo conquistato ci sarebbero voluti altri dieci anni affinchè la Roma ne conquistasse un altro altrettanto prestigioso. Gli anni novanta infatti furono caratterizzati da una costante girandola di allenatori avvicendatesi sulla panchina della Roma, infatti dopo l’addio di Ottavio Bianchi - nel 1992 - si susseguirono in rapida successione: Vujadin Boskov, Carlo Mazzone, Carlos Bianchi, Nils Liedholm e Zdenek Zeman, prima che a prendere le redini della squadra per tornare a fare una Roma vincente fosse un certo Fabio Capello.

Nonostante i giallorossi faticassero parecchio ad essere competitivi in Serie A, la stella di Aldair brillava – incredibilmente - a livello internazionale. Dal 1989, anno del suo debutto con la nazionale brasiliana, fino al 2000, il difensore brasiliano rimase un punto fermo della difesa della Seleçao, giocando un ruolo di primissimo piano nella rincorsa verdeoro verso la conquista del continente americano, prima, e del mondo, poi. Ma il processo con cui diventerà una delle colonne portanti della difesa brasiliana è stato lento, graduale e soprattutto molto ponderato. Un vero periodo d’oro caratterizzato dalla conquista di numerosi trofei, innanzitutto la vittoria della Copa America nel 1989 - dopo quarant’anni di attesa - nel cui torneo Aldair partì titolare in coppia con Marcio Santos - in sei delle sette partite disputate - e in cui il Brasile riuscì nell’impresa di non subire nemmeno un gol. Per non parlare dei Mondiali del 1994 - in cui la nazionale verdeoro si issò sul tetto del mondo proprio in finale con l’Italia – al termine di un torneo dove Aldair non partiva neppure come riserva del titolare, ma soltanto come – addirittura - un sostituto del rincalzo. Infatti furono gli infortuni in serie di grandi difensori come Ricardo Gomes e Ricardo Rocha a spalancargli le porte della titolarità inamovibile sul campo. Dunque vittorie su vittorie a cui seguirono - nel 1996 - la conquista della medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici di Atlanta e nel 1997 la Confederations Cup oltre ad un’altra Copa America portata a casa dalla Seleçao. L’anno successivo, però, Aldair e il Brasile non riuscirono a bissare il titolo mondiale conquistato quattro anni prima, cadendo in finale sotto i colpi della Francia di Zinedine Zidane.

Ritornando all’avventura romana Aldair dopo tanti anni senza trofei fu molto tentato nell’estate del 1999, dalle sirene dell’Inter, che riuscì a fargli firmare un pre – contratto prima dell’intervento del presidente romanista Franco Sensi che gli promise l’arrivo nella capitale di Fabio Capello e quindi una Roma vincente; per questo motivo Aldair cambiò idea rimanendo ancora per tanti anni in maglia giallorossa. La difesa romanista della stagione 2000-01, composta da Aldair, Walter Samuel e Antonio Carlos Zago, fu una delle più forti di sempre nella storia della Roma, sfortunatamente, proprio nell’anno della conquista del terzo scudetto, Aldair subì un grave infortunio a metà del campionato, perdendosi il grande finale di stagione, culminata nella conquista del titolo iridato. Dopo quella stagione così logorante – non solo dal punto di vista fisico - cominciò un periodo di lento declino per la lunga avventura di Aldair in maglia giallorossa poiché il peso delle mille battaglie e soprattutto l’età che avanzava inarrestabile cominciavano a prendere il sopravvento sulla sua grande forza fisica. Per questo motivo Fabio Capello lo utilizzava sempre meno nel suo undici titolare nel corso del biennio successivo alla conquista dello scudetto, ma nonostante tutto la sua classe rimaneva sempre intatta, come dimostrava ogni qualvolta che veniva chiamato in causa.

La stagione 2002-03 fu l’ultima di Aldair con la maglia della Roma e la sua ultima presenza, la numero 436 con i colori giallorossi, ebbe luogo il 24 maggio 2003, in una gara interna contro l’Atalanta. Una gara priva di significato; con i bergamaschi già retrocessi nonostante la vittoria per 2-1 con una Roma ancorata all’ottavo posto in classifica. Ma fu l’occasione per Pluto e i sostenitori giallorossi di salutarsi per un’ultima volta, con un ultimo lunghissimo giro di campo accolto dai fragorosi applausi di uno stadio Olimpico gremito, conditi dalle mille lacrime dei tifosi nonchè dello stesso giocatore brasiliano visibilmente commosso dopo tredici stagioni vissute intensamente. Ma la Roma per onorarlo nella sera del 2 Giugno del 2003 organizzò l’Aldair day attraverso una sfida tra Roma e Brasile, in cui il brasiliano giocherà un tempo per parte con le due formazioni. Sarà una festa bellissima davanti agli spalti gremiti dell’Olimpico che invocavano tutti il nome di Aldair, a cui la società farà seguito ritirando la maglia numero sei del brasiliano, che solo dieci anni dopo verrà riassegnata all’olandese Kevin Strootman.

L’anno seguente pur di non affrontare la sua amata Roma, nonostante le varie offerte ricevute, decise di firmare un contratto di un anno con il Genoa, allora militante in Serie B, dove disputa 17 gare realizzando perfino una rete. Al termine della sua unica stagione in cadetteria, si ritirò dal calcio giocato salvo poi ripensarci nel 2007. Infatti la stella di Aldair non smise di brillare e a 41 anni suonati - dopo anni di inattività - il brasiliano tornò a calciare nuovamente il pallone con la maglia del Murata - squadra della Repubblica di San Marino - impegnata nei preliminari di Champions League riuscendo a togliersi, inoltre, la soddisfazione di far vincere il campionato alla squadra sanmarinese Dopo due anni a San Marino la sua avventura con il Murata, nel luglio del 2009, termina con il difensore che decise, stavolta, di salutare definitivamente il calcio giocato. Nessuno potrà dimenticare questo grande difensore brasiliano, nostalgico a volte triste ma dal grande cuore proprio come lo ricorderà Francesco Totti in una sua lettera poco prima di lasciare la Roma per sempre:

mi hai visto crescere e maturare come giocatore, e spero anche come uomo. Mi lasci il testimone, come hai detto pochi giorni fa, ma solo virtualmente, perché credo che nella Roma, il posto per te, ci sarà sempre

Ciccio