Parliamoci chiaro: c’è chi ha rimediato al distanziamento sociale divorando Serie TV e chi mente. Negli ultimi mesi la fruizione di prodotti televisivi è stata famelica, basti pensare che dal 17 marzo Netflix in Italia ha fatto registrare un aumento globale degli accessi pari al 332%, la neonata Disney Plus un incremento del 290% e Prime Video del 266%. C’è chi addirittura dichiara di non aver più niente da vedere, perché ha letteralmente consumato tutte le piattaforme a sua disposizione. Chi scrive non può annoverarsi tra gli ultimi menzionati ma ammette di aver contribuito sostanzialmente ad un aumento dei consumi.

Tra le Serie TV che mi hanno fatto compagnia in queste settimane spicca Freud, prodotta da Netflix in collaborazione con ORF (casa di distribuzione austriaca). Produzione, questa, che aveva suscitato il mio interesse già dal annuncio e dalla presentazione tenutasi il 24 febbraio 2020, durante la settantesima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, quando il girato aprì la Berlinale Series con la proiezione, in prima visione mondiale, dei primi tre episodi di 55 minuti ciascuno. Da appassionato di filosofia e psicologia non poteva essere diversamente visto il titolo, non sapevo ancora che la serie sarebbe stata lontana da un classico biopic e attraverso la sua natura ibrida e confusionaria mi avrebbe fatto capire finalmente la vera origine di un calciatore: Haaland.

La trama (ovvero il passo da Freud al talento norvegese)
Tenterò di non fornirvi spoiler (sia mai qualcuno si sentisse spinto a guardarla) ma devo mettervi in guardia: se ricercate un ritratto fedele del padre della psicoanalisi e, soprattutto, un racconto dettagliato e coerente con la storia, comprate un libro.

Il Sigmund Freud della serie Freud è un giovane medico tornato da poco a Vienna, dopo un viaggio di studi a Parigi. È totalmente dipendente dalla cocaina (all’epoca legale) e presenta conflitti irrisolti con la figura paterna, nonché con l’origine ebraica della sua famiglia. Il suo obiettivo è dimostrare al mondo scientifico che le torture fisiche non sono la via per curare i disturbi mentali. Per diventare più efficaci bisogna utilizzare altre tecniche, come quella dell’ipnosi, attraverso la quale si possono spiegare i motivi dell’isteria femminile ancora associata a possibili difetti organici. Non dello stesso avviso è il suo superiore, il professore Meynert, sostenitore della falsa natura dell’isteria.
In seguito al fallimento della presentazione del suo metodo ipnotico, ancora privo del contatto tattile, il giovane Sigmund, spinto dal suo migliore amico (Arthur Schnitzler), si recherà ad una festa organizzata dalla contessa Sophia von Szápáry, una nobile ungherese spodestata ed esiliata in Austria.
In questa casa magiara il dottore farà la conoscenza di Fleur Salomè, una ragazza con poteri da medium che intrattiene gli ospiti con sedute spiritiche, salvo poi cadere in stati convulsivi. Questo incontro scatenerà tutta la serie di macabri avvenimenti che sconvolgeranno la vita di Freud, il quale, in seguito alla richiesta di aiuto di un’ispettore della polizia (Alfred Kiss), si ritroverà coinvolto nella risoluzione di misteriosi omicidi collegati tra loro e con la persona di Fleur. La giovane, infatti, affetta da disturbi dissociativi diventerà un caso di studio e, allo stesso tempo, porterà (noi) alla conoscenza del Táltos.

Cos’è un Táltos?
Ecco che ci allontaniamo dalla serie per metterci in una posizione intermedia tra Freud e Haaland, possiamo farlo attraverso la comprensione del Táltos (pron. ‘taal-tosh). Durante gli ultimi episodi, Sigmund, per curare la sua paziente e interpretare riti e simbologie comuni ai vari delitti, si imbatte in una figura importante delle credenze tradizionali magiare (o ungheresi, se volete). Il fatto potrebbe incuriosirvi e spingervi a fare ricerche su tale argomento, proprio come ha fatto chi vi parla.
Quella del Táltos non è un figura inventata dalla serie. È un vescovo cattolico, di nome Arnold Ipolyi, a mettere per la prima volta per iscritto la credenza popolare relativa a tale figura. Nel suo libro dedicato al folklore ungherese (Magyar mitológia, 1854), il religioso spiega che sia credenza diffusa che il Táltos è colui che è stato in diretto contatto con Dio prima della nascita, e questo gli ha assegnato un missione speciale da compiere durante la sua vita.
La presenza di denti nella bocca di un neonato, la grandezza spropositata della bocca, gli occhi leggermente fuori dalle orbite, di un sesto dito a mani o piedi o di altre anomalie anatomiche portava gli abitanti dei villaggi ad identificare il bambino come medium tra dio e gli uomini.
Il táltos, inoltre, aveva la capacità di entrare in un profondo stato meditativo (detto révülés) per combattere qualsiasi male, operava essenzialmente immobile ed era legato alla figura del cavallo volante, veloce come il pensiero.

Un Táltos in campo
Bene, se mentre descrivevo questa importante figura del folklore magiaro il vostro pensiero non è corso ad Haaland, è mio compito aiutarvi a farlo.
Partiamo col dire che Erling Braut Haaland si è abbattuto sul calcio europeo esattamente come un fenomeno paranormale, se fosse stato in contatto con Dio (o con un spirito) prima della nascita non mi sorprenderebbe.
I suoi tratti fisionomici e fisici sembrano esagerati. I denti sono grandi e forse più numerosi del normale. La bocca è larga, lo fa sembrare un demone quando ride e spalancata può ospitare facilmente un avversario. Gli occhi sono piccoli ed esposti specchio di un’anima non troppo gentile. Le gambe e la braccia lunghe gli permettono di correre 60 metri in 6,64 secondi (il che non è mica normale).
Correre. Haaland in campo pensa solo a correre, travolgendo gli avversari, la sua missione è spazzare via tutto, vincere i duelli, azzannando con cattiveria, per arrivare alla porta e abbatterla. La sua legge è la forza sovrumana. Non meraviglia che ai suoi esordi un commentatore norvegese lo definì: “Forte come un orso e veloce come un cavallo. Un killer, una macchina da gol». Un cavallo Táltos, forte e veloce come il pensiero, eccoci un altro rimando.

Tra meditazione e un calcio difficilmente interpretabile
Il suo calcio è relativamente semplice, ma difficilmente interpretabile a rigor di logica o ragione, perché ad occhio esterno disequilibrato: come può uno di tali fattezze compiere gesti che fisicamente non potrebbe compiere. Sembra la storia del calabrone che non potrebbe volare ma non lo sa e quindi vola lo stesso. Haaland non è la classica punta, ama dialogare con i compagni come un dieci e ama coordinarsi come fosse un giocatore di taglia media. Se tutto ciò è possibile probabilmente lo è solo grazie ad un miracolo.
E come se non bastasse c’è la freddezza nelle giocate, nella persona e, addirittura, nelle esultanze che lo fanno apparire così lontano da noi uomini normali. E, infatti, quando segna il rituale che ne consegue fa un pò paura. Il ragazzone o apre le braccia a croce, flette le gambe e mentre si ingobbisce comincia a gridare (come se stesse combattendo il male), oppure, si siede a meditare (come per combattere meglio il male). 
​La meditazione è il rimando mastro, uso dei Táltos, mezzo attraverso il quale abbiamo conosciuto Fleur in Freud. Freud che ci ha permesso, come vi dicevo, di inquadrare finalmente il talento norvegese sceso in terra per sconvolgere il calcio europeo.