“Questo non è più calcio, è uno show, in cui tutti i partecipanti cercano di spremere gli appassionati per fare soldi. Questo calcio non mi appartiene". Maurizio sarri

Che cosa è il calcio di oggi? È ancora lo sport di tutti o è diventato un lusso per pochi privilegiati? Una cosa è certa questo non è più il calcio dei tifosi. E’ Maurizio Sarri a denunciare, durante la conferenza stampa che ha preceduto Lazio – Inter, che cosa sia diventato il calcio attuale. Una tematica di non poco conto, considerando il fatto che non viene più vissuto con la stessa passione di un tempo soprattutto da quando il business ha fatto, prepotentemente, il suo ingresso in questo sport, trasformandolo da semplice “gioco” in un sistema complesso e in continua evoluzione. Più la bolla si gonfia e più diventa necessario ingrandirla ricorrendo al denaro, ad ogni costo, con ogni mezzo possibile e a discapito di quei tanti tifosi a cui tutti tengono ma che a conti fatti a nessuno sembra, in fondo, importare qualcosa.
Ha ragione Sarri, anche se lui fa parte di questo infido sistema, noi tifosi veniamo visti soltanto come delle “vacche da mungere”, non conta la nostra opinione e non importa se veniamo derubati, quotidianamente, della nostra infinita passione, bisogna soltanto fare Show per battere cassa sempre e comunque. Dov'è sono finiti allora i buoni propositi del calcio dei tifosi, delle bandiere, dei campi di provincia, delle figurine panini, delle radioline, dei pranzi di famiglia domenicali ma soprattutto quello dei bambini sognatori? Al diavolo i tifosi e la passione oggi conta solo fare business! Di questo passo l'amore per questo sport finirà, prima o poi, per l'essere inghiottito, totalmente, dalla cupidigia degli businessman che non si fermeranno davanti a nulla, la pandemia lo testimonia, pur di continuare a moltiplicare i loro quattrini. È questo il calcio a cui vogliamo continuare ad assistere?

C'ERA UNA VOLTA IL CALCIO
Il calcio dei bambini
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Il calcio è da sempre stato il primo sport con cui ogni bambino ha avuto modo di approcciarsi quando comincia a muovere i suoi primi passi. Chi di voi non ha mai dato due calci ad un pallone quando era un bambino? Credo proprio tutti, oggi stiamo perdendo anche questa tradizione infatti è sempre più raro vedere gruppi di ragazzini che giocano sull'asfalto arrangiandosi su linee di campo immaginarie con pali e traverse di “fortuna”. Il "business" è riuscito a uccidere anche queste piccole cose, noi che giocavamo per ore e ore senza rendercene conto, litigando se il pallone aveva preso una traversa, che non c'era, piuttosto che un palo-gol calcolato sui centimetri, noi che facevamo fare le squadre ai due più forti del gruppo per non farli stare insieme, noi che bevevamo dai rubinetti del garage per dissetarci dopo ore e ore di gioco senza sosta, noi che ci fermavano, a molta fatica, solo davanti ai rimproveri dei genitori per tornare a casa in tempo per la cena, stremati, con i vestiti sgualciti e le ginocchia sbucciate.
Oggi tutto questo è stato distrutto, i bambini preferiscono giocare a casa con i videogames e loro modalità, isolandosi dal mondo, piuttosto che scendere per strada a calciare un pallone insieme ad un amico, per inseguire le gesta dei suoi idoli. Il business ha finito con l'inquinare anche dei luoghi “sacri” come le scuole calcio, un tempo vere e proprie palestre di vita e di aggregazione oggi deposito per bambini di genitori stressati in cui il calcio non è più divertimento e libertà di pensiero ma solo schemi tattici e preparazione atletica. È davvero questo il calcio che vogliamo dare alle future generazioni o possiamo ancora fare qualcosa tutti insieme per rimediare almeno nel nostro piccolo?  

Il calcio è dei tifosi
Se il calcio è veramente dei tifosi allora perché siamo costretti a fare tre abbonamenti per vedere tutte le partite delle nostre squadre del cuore?
Perché le partite non vengono giocate tutte di domenica alle 15, come si faceva una volta, anziché avere questo fastidiosissimo "spezzatino" utile solo per il tornaconto delle pay TV ? Perché il calcio "minuto per minuto" è praticamente morto dopo più di sessant'anni di storia? La risposta è semplice: business, business e ancora business. Se il calcio fosse davvero dei tifosi, come si dice, sarebbe un calcio diverso, fatto più di passione, con meno denaro e molte più bandiere rispetto a quelle che oggi non vediamo quasi più sventolare.
Il business e la finanza hanno finito per l'inghiottire anche quel sano tifo fatto di sfottò tra “i quattro amici del bar” al termine delle partite. Un tempo ci si prendeva in giro tra tifosi manifestando quella sana rivalità sui risultati delle rispettive squadre del cuore, oggi non ci si limita solo a questo ma si discute, a momenti, più di economia che di calcio. Non è affatto “raro” infatti affrontare dei discorsi come dei veri e propri "economisti" da talk show televisivi. Infatti oggi siamo diventati tutti esperti di bilancio, di fair play finanziario, di utili o di perdite, di plusvalenze o minusvalenze, di clausole rescissorie, di contratti e perfino di "ammortamenti", ci rendiamo conto come il business abbia condizionato anche il nostro modo di seguire il calcio?
Se il calcio è dei tifosi perché la gente non si vede quasi più allo stadio? Perché gli stadi di proprietà, in Italia, devono essere un ostacolo e non una soluzione? Storciamo il naso davanti alla Superlega, non sono d’accordo sulla formula ci mancherebbe, ma di fatto ignoriamo quello che esiste già nella realtà: ovvero un calcio malato, fatto di disparità e disuguaglianza, tra chi può spendere senza regole e chi invece è costretto ad osservarle per rimanere a galla senza rischiare il fallimento. È questo il calcio dei tifosi? Probabilmente no ma solo continuando a fare finta che tutto sia normale il business continuerà a fare il suo corso senza nessuna possibilità di arrestarsi.

Il calcio della tecnologia
ll bello del calcio è l’
incertezza del momento, l’imprevedibilità del risultato, la spontaneità, la fantasia, l’errore umano ma soprattutto la stupenda sensazione dell’esultanza ad ogni gol realizzato. Oggi, però, tutto questo ci appare incomprensibile e quasi surreale soprattutto da quando il Var ha fatto, prepotentemente, il suo ingresso nel rettangolo verde. Per i tifosi, nel giro di pochi istanti, si passa da uno stato di gioia ad uno di massima delusione o viceversa, con quell’urlo che rimane strozzato in gola mentre si attende il responso dell’arbitro.
Da quanto tempo in serie A non vediamo, infatti, un’esultanza particolare? In effetti come si fa a preparare un’esultanza se si deve aspettare prima l’approvazione dell’occhio elettronico del Var? E anche quando il responso è positivo, ormai la festa, in campo e sugli spalti, resta comunque rovinata e quel momento di estrema gioia non sarà di certo un “monitor” a poterlo restituire. Questo calcio è riuscito anche a toglierci il piacere dell’esultanza perché se c’è una cosa che rende questo sport emozionante è il momento in cui la palla finisce in fondo al sacco mentre i tifosi sugli spalti impazziscono di gioia. Provate a immaginare l’urlo di Marco Tardelli, nei mondiali dell’82, o la corsa di Fabio Grosso, nei mondiali del 2006, arrestati dal check Var e adesso chiedetevi: è questo il calcio che vogliamo vedere?

Il calcio è bellezza
ll bello del calcio è lo spettacolo del campo, l’odore del prato, i tifosi sugli spalti, l’adrenalina negli occhi dei giocatori, l’esultanza per un gol, l’amarezza di una sconfitta, l’abbraccio con uno sconosciuto, la gioia per una vittoria, la rinascita di una città, il sogno di un popolo. Pasolini a tal proposito scriveva:
Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”.
E’ vero, aveva ragione Pasolini ed è questa la vera motivazione che, forse, ancora non fa tramontare la nostra infinita passione per questo sport. Ma la vera domanda è perché amiamo così tanto il calcio? Non esiste una vera risposta, ci piace e basta per quello che è, in Italia è una religione, un atto di fede, un rito tra il sacro e il profano, ti entra dentro, diventa parte di te fino a quando non riesci più a farne a meno. Lo amiamo già da bambini ci appassiona soprattutto da adulti, perché ci unisce, perchè crea condivisione, perché ha mille storie da raccontare, perchè ti fa emozionare anche se ti ripeti che in fondo è soltanto un gioco. Il calcio che vogliamo noi tifosi non è un pallone trattenuto dalle avide mani dei “Signori del calcio” ma è quello, tirato con i piedi dai nostri idoli e dalle nostre bandiere che oramai hanno smesso di sventolare per i nostri cuori. In fondo da “quando Baggio non gioca più, non è più Domenica”.

Che cosa possiamo fare?
Come possiamo cambiarlo? A questo non posso rispondere, non voglio rispondere, perché io sono soltanto un tifoso, un follemente innamorato di questo sport e quando una persona è innamorata non è nelle condizioni di potersi esprimere con cognizione di causa e senza pregiudizio. Posso soltanto dire che la pandemia poteva essere l'occasione per unirsi e cambiare il calcio rendendolo più a misura d’uomo invece la devastazione economica e la mancanza dei tifosi allo stadio hanno contribuito ad ampliare ancor di più il potere delle televisioni per la proiezione delle partite, svendendo, inconsapevolmente, la nostra passione al miglior offerente, fosse anche per una sola partita. Uno spettacolo indegno a cui assistiamo da anni, animati solo dal nostro fuoco della passione per questo sport che ha deciso di voltarci totalmente le spalle. Non ci saranno più favole da raccontare, miracoli sportivi o imprese storiche come quelle del passato, perlomeno in Italia. Tutto ciò rimarrà custodito nei cuori e nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di poterli vivere intensamente, da vero tifoso passionale, realizzando il sogno di un’intera città. Oggi il calcio è solo business, quello della passione, dei grandi campioni, delle bandiere, del calcio di provincia è morto e non c’è più modo di tornare indietro ma in fondo non finiremo mai di seguirlo perché come diceva Bill Shankly, storico allenatore del Liverpool:
Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più”.
Viva sempre il calcio.

Ciccio