Ci sono diverse caratteristiche che contraddistinguono chi conosce il futuro, la prima è, naturalmente, sapere perfettamente e con precisione cosa accadrà e quanto ciò che accadrà sarà diverso da quello che gli altri si aspettano.
Prendete Bran “lo Spezzato” di Game of Thrones (la serie è finita da un pezzo, non potrete urlare allo SPOILER). Bran, mentre i fan si agitavano, si affannavano e facevano ipotesi su chi tra Dany, Jon, Arya, Sansa e Tyrion avrebbe preso il Trono, e gli stessi protagonisti, a loro volta, si scannavano letteralmente per aggiudicarselo, se ne stava seduto. Seduto, proferendo di tanto in tanto una parola, ad aspettare che il destino si compiesse e sorprendesse tutti, che si compiesse nella maniera meno sperata ma, in assoluto, più giusta.
Bene, con le dovute proporzioni, possiamo affermare che Andrea Agnelli è “lo Spezzato” del calcio italiano e può permettersi, senza segno di arroganza, di dire: “Alla Juventus vediamo il futuro prima degli altri”. La questione Allegri, l’esonero dolce da sembrare un congedo, doveva esserne l’ultima e lampante prova, forse quella del nove. Una dimostrazione bruta della sua veggenza.

Quando Antonio Conte non era Antonio Conte
Il Presidente bianconero è stato colui che ha scelto Antonio Conte per la panchina quando Antonio Conte non era l’allenatore che tutti lodano oggi, avendo a bagaglio: una retrocessione (ad Arezzo), due promozioni alla massima serie (Bari e Siena) e due dimissioni (Bari e Atalanta). Eppure, Andrea lo scelse per riportare la Juve, all’epoca ancora segnata da Calciopoli e in preda ad uno dei momenti sportivamente più difficili della sua storia, ai vertici del calcio italiano. A qualcuno sembrò un azzardo. La storia la conoscete: 3 scudetti, un record di punti (102), e una percentuale di vittorie pari al 66,6%. 
All’inizio del suo quarto anno a Torino, il tecnico pugliese decide di abbandonare la Juve a ritiro cominciato perché: “Non puoi mangiare in un ristorante da 100 euro con 10 euro”.  Agnelli non batte ciglio, sa che la banconota che ha in portafoglio e che Antonio stima 10 vale molto di più.
Luglio 2014. La piazza è in subbuglio, il condottiero (unico capitano dopo l’addio di Del Piero) è andato via e lo ha fatto per giusta causa, così credono. La dirigenza bianconera sceglie con grande maestria e in scioltezza il nuovo allenatore, quello delle polemiche postgol di Muntari, quello esonerato dal Milan: Max Allegri. I tifosi lo accolgono con le uova, sarà un anno disastroso, acciughina affonderà la nave. Agnelli è calmo, gli scenari previsti dagli altri sono totalmente opposti a ciò che sarà e lui lo sa perfettamente.

La sintonia con Allegri
La Juve targata acciughina si gioca la prima finale di Champions League dal lontano 2003. Perde ma vince comunque, perché, dopo aver consolidato la propria posizione in Italia, ha cominciato a scalare il ranking europeo. Il tecnico livornese si rivela l’allenatore perfetto per la Juve, perché è anti-assiomatico, aziendalista, risultatista, vincente. Il più vincente della storia recente della Juventus. In 5 anni racimola ben 11 trofei, nessuno avrebbe fatto meglio: 5 scudetti, 4 coppe italiane, 3 supercoppe italiane, 2 finali di Champions League, il 71% di vittorie.
Agnelli, il veggente o “lo Spezzato”, sembra essersi fatto carne nel proprio allenatore. Hanno lo stesso e identico obiettivo, giocando su due piani diversi: Allegri su quello sportivo, Agnelli su quello della sostenibilità economica del progetto nel mentre lo si porta avanti, alla massima esplosione non bisogna essere troppo lontani dal punto di pareggio.
In otto anni di gestione Agnelli la Juve ha visto il fatturato passare da 150 milioni di euro a più di 400, una cifra mai vista in Italia ma non eccezionale in Europa, che tiene costantemente la dirigenza all’erta, costringendola ad anticipare gli eventi più che agire su questi compiuti. Non potrebbe competere altrimenti. Prendiamo i casi Pogba, Pirlo, Khedira, Ramsey, Rabiot arrivati a parametro zero, gli stessi Cristiano e De Ligt incastrati al momento giusto grazie a plusvalenze corollarie propedeutiche.
La Juve 2014/2019 prevede il momento in cui può affondare il colpo, poi lo esegue. È una squadra che ha bisogno di Allegri. Il livornese, come un ottimo chef, utilizza semplicemente gli ingredienti a disposizione per raggiungere le stelle, al mercato non ci va. Qualsiasi cosa troverà in frigo la trasformerà in un ottimo piatto utile a raggiungere ciò che è richiesto sotto la sua guida: vincere, assumere consapevolezza europea e stabilizzarsi tra le top 8 della Champions. Il traguardo è raggiunto.

Il momento dell'evoluzione
Arriva però il momento dell’evoluzione
, ogni sistema è destinato a finire. È un momento che arriva sempre e chi conosce il futuro lo sa meglio di tutti. Chi conosce il futuro sa che il futuro non aspetta, non fa prigionieri e, soprattutto, è necessario, può obbligarti anche ad ammazzare tuo figlio, la tua reincarnazione. Come abbiamo detto nella Juve e in Allegri scorreva lo stesso sangue, qualcosa che aveva molto a che fare con l’identità del club. Aveva.
Se riassumiamo in un motto l’identità bianconera ne viene fuori: vincere è l’unica cosa che conta. Non importa come si arriva alla vittoria, meritatamente o immeritatamente, esteticamente impeccabili o brutti come la morte. Vincere!
La Juventus non ha mai giocato per lo spettacolo, lo dice la storia. Però Agnelli intuisce che lo spettacolo è ciò che vuole il futuro e per accontentarlo disobbedisce (rischiando) al passato. È un azzardo perché a Torino le rivoluzioni sono sempre finite male (vedi Carniglia e Maifredi), perché quella è una città da restaurazione e non da rivolta, agitata da un freddo vento conservatore e mai da quello caldo del cambiamento.
Ma il calcio non è più il vecchio calcio, il calcio si è sporcato di denaro e il denaro ha sete di spettacolo, di miti nei quali il popolo possa identificarsi. La Juve in quel calcio vuole essere padrona. Il next step è affermarsi come club leader nel mondo (non solo in Europa) essere riconoscibile e spendibile. Per fare tutto ciò hai bisogno di un’identità moderna (va in questa direzione il nuovo logo di qualche anno fa, l’abbandono delle strisce, il nuovo sito presentato l’altro ieri fatto solo di video in stile Tiktok). Hai bisogno di salvaguardare la tradizione ma guardando avanti e rischiando di abbandonarla. I bianconeri non sono un club, sono un’azienda da proiettare nel domani. Stiamo parlando di una comprensione del mondo circostante, una rivoluzione culturale nell’epoca della sollecitazione delle fantasie.

Obiettivo consenso
“Svegliatevi” vi direbbe Andrea, alzare la Coppa dalle grandi orecchie è solo un evento collaterale, la Juve è calcio ma non è più solo calcio. Quel vincere non è più, e non sarà più, circoscrivibile solo al campo. Ora da guadagnarsi c’è il consenso.
Cambiare il DNA di un club potrebbe apparire impossibile a chi guarda indietro, o all’oggi, non lo è per chi guarda avanti. Per “lo Spezzato” del calcio italiano. Alla Continassa c’è un pool di uomini interamente impegnati quotidianamente, in maniera trascendentale, a rigenerarsi geneticamente. È un processo che puoi intraprendere solo attraverso una comunione, al limite dello spirituale, di tutte le singole parti in gioco. A questo gioco Allegri, troppo lontano dal fanatismo e dall’accettazione universale, non poteva partecipare. Questo è ciò che nessuno poteva prevedere: la Juve cambiando guida tecnica in estate, ha cambiato anche se stessa. Per cambiare ha scelto Sarri, uno che è riuscito a smussare i suoi dogmi, che divide e che, soprattutto, è un accentratore di emozioni.
Ha perso i primi due titoli stagionali, e questo stride con la vecchia Juve, ma non con la nuova che ha un obiettivo diverso, che alla vittoria vuole arrivare in maniera differente, una maniera che stenta ancora ad instaurarsi, che è oggetto di critiche ma che è stata scelta e non sarà abbandonata fin quando porterà al successo o alla rovina. 
Il finale è tutto da scrivere e come quello di Game of Thrones potrebbe stupirci oppure no. Nessuno poteva aspettarsi tutto questo, tranne Andrea “lo Spezzato”, Andrea di sicuro, uno al quale quando non dai ragione finisci sempre nel torto.
Ora sembra in svantaggio ma ci resterà?