Da semplice cittadino mi sono sempre chiesto cosa impedisca, in questo strano paese, di costruire stadi moderni e adeguati al tempo e al business che si è sviluppato intorno al calcio.
Ovunque in Italia, quando si è iniziato questo kafkiano percorso ad ostacoli, hanno vinto gli ostacoli, nessuna società ha potuto costruire, privatamente, un nuovo stadio, nessuna amministrazione ha ceduto a questa che, soprattutto finanziariamente parlando, oggi si presenta come una priorità per le società calcistiche. Ma il vero paradosso è che al cospetto di questa ormai conclamata impossibilità, tutti: sportivi, imprenditori, amministratori pubblici e, naturalmente, tifosi, si dicono d’accordo, all’unanimità, sulla necessità di rinnovare i campi dove si accende la maggiore passione pubblica.

Non casualmente ho scritto che nessuna società ha costruito un nuovo stadio, perché le pochissime che oggi ne contano uno di proprietà, o hanno ristrutturato impianti preesistenti, rilevandoli dai comuni, oppure hanno demolito strutture, neanche tanto vecchie come lo stadio delle Alpi, ricostruendo il nuovo sulle stesse ceneri. Ma uno stadio nuovo, da un’altra parte della città, non si vede almeno da Italia '90.
Il paradosso maggiore lo vedo a Milano, città che per sua destinazione d’uso, sembrerebbe essere quella più incline a promuovere progetti nuovi, avendo, a suo vantaggio, anche un retroterra socioeconomicoculturale, unico nel panorama nazionale.
Quantunque non stiano vivendo la loro stagione sportiva più esaltante, Milan e Inter costituiscono un unicum sportivo, concentrato in una sola città e, pur non essendo le squadre più seguite in Italia, sono, al contrario, quelle che hanno il maggior seguito domestico. L’affaire San Siro sta diventando una querelle persino stucchevole, perché da un lato divide il fronte tra chi vorrebbe demolire e chi vorrebbe conservare, ma curiosamente unisce le società nell’idea di conservare, vecchio o nuovo, un unico stadio per entrambe.

San Siro si può certamente considerare uno simbolo ben scolpito nella storia di questo sport a livello internazionale, ma il tempo e il nuovo, non sempre condivisibile, che attraversano il calcio, fa di questa struttura una sorta di Colosseo in chiave padana, naturalmente rivolto al passato e altrettanto evidentemente senza futuro.
Nel calcio moderno le televisioni e il marketing si sono impossessate di questo gioco, non lo chiamo sport, perché le evoluzioni recenti lo hanno trasformato in “intrattenimento”, spingendo forte sugli aspetti identitari, a scopo di lucro, di quelle che una volta erano soltanto squadre, mentre oggi sono società, nei casi maggiori, annoverabili tra le grandi imprese.
Alla luce di questi fatti, mentre il parterre che assiste alle partite non è più ridotto alle migliaia di avventori, ma è esteso, soprattutto al ben più numeroso pubblico televisivo senza confini, l’identità delle squadre perde il suo connotato geografico e tende alla globalizzazione, investendo anche su paesi remoti. L’aspetto identitario, tuttavia, è ancora fondamentale per ciò che resta di fisicamente tangibile nella dimensione domestica, dove si realizza una buona fetta del fatturato, nuovo mantra pallonaro, un punto di riferimento per l’immaginario anche degli appassionati remoti.

L’abbandono di San Siro, in realtà, avrebbe proprio il significato di lasciare una casa comune, che blandisce l’identità delle due squadre, per fondare un tempio proprio, dove far confluire i propri colori, lo spirito, il museo, la sala dei trofei, le stelle dei campioni che furono, dunque tutto il proprio passato, unitamente ai servizi più moderni e confortevoli per gli appassionati e più profittevoli per le società.
Se dovesse prevalere questa scelta, che a me pare la più logica in chiave futura, San Siro non avrebbe più storia e a cosa servirebbe ristrutturare uno stadio di quelle dimensioni che serve soltanto per il calcio, se ogni squadra si costruisse il suo quartiere?
Al contrario, volendo mantenere una casa comune, meglio sarebbe ristrutturare quella esistente della milanesità, costruendole intorno tutti i servizi avanzati che ormai sembrano imprescindibili per la comodità e il tempo libero dei tifosi e per le casse societarie.

Non ho argomenti tecnici da proporre, ma penso che la querelle sia praticamente tutta qui.
Costruire due nuove strutture dove far confluire tutto lo scibile rossonero e nerazzurro, abbattendo il vecchio monumento al calcio d’altri tempi, oppure recuperarlo anche per l’agone futuro rosso nerazzurro.
Ma quale che sia la scelta, Milano dia l’esempio all’intero paese, di sapere mettere insieme pensiero ed azione, perché in questo strano paese, troppi sogni faticano a diventare, presto o tardi realtà.