Come sempre, la cronaca, le passioni, le esigenze mediatiche che necessitano di scoop, veri o presunti, tendono a sovrapporsi alle situazioni reali, saltandone a piè pari la portata, l’importanza e perché no, anche le minacce postume.
La pandemia che abbiamo subito per un periodo non breve a cavallo dell’inverno con la primavera, sembra soltanto un ricordo sbiadito, mentre in realtà, il fenomeno, lungi dall’essere esaurito, non sembra ancora avere raggiunto il suo picco su scala planetaria, il che ci fa temere una recrudescenza che, sia pure più controllata della prima ondata, sarebbe devastante, non soltanto sul piano sanitario, come le prospettive future ci stanno abbondantemente anticipando.

Una premessa importante per commentare le cose del calcio che, a ragion veduta, dobbiamo considerare secondarie e subordinate al procedere dei tempi e degli eventi. Chi guarda con spirito critico lo svolgersi di questa seconda fase della stagione, non potrà non osservare che qualcosa di significativo è cambiato, rispetto alla normalità dell’evento sportivo.
In quest’ultima fase, in particolare, le squadre più accreditate hanno un ruolino di marcia più simile a quello di chi lotta per la sopravvivenza o per non retrocedere.
La Juventus pare a tratti irriconoscibile, la Lazio è irriconoscibile, l’Inter ha aperto una crisi identitaria pesante, visti i risultati, mercè pure un allenatore che sarà bravissimo, ma lo è anche per destabilizzare provocatoriamente gli ambienti in cui opera.
Tutto questo non può essere casuale, né tantomeno vale la considerazione che altri club, al contrario sembrano essere stati rinvigoriti dal virus, piuttosto che abbattuti, come la splendida Atalanta o il sorprendente Sassuolo.
La sosta forzata, l’interruzione del continuum, hanno sparigliato il sistema, laddove l’aspetto fisico tende a prevalere in maniera significativa su quello tecnico.
L’avere voluto riprendere ad ogni costo l’attività, malgrado la minaccia di doverla nuovamente interrompere, costringendo i club a un tour de force assurdo, che avrà anche una coda nel mese di agosto per chi gioca in Europa, l’avere accettato comunque di giocare, sia pure con stadi vacanti, legittimando il fatto che il calcio è ormai quasi solo intrattenimento mediatico, può avere avuto un senso sul piano economico, dove l’unico drive che si intravede sono i diritti televisivi, ma certamente non ha fatto bene né allo sport né tantomeno, alla salute di chi poi scende in campo per queste improbabili tenzoni.

Non so immaginare come sarà il prossimo campionato, alla cui ripresa si presenteranno squadre scompaginate dal marasma sanitario e organizzativo che è stato imposto. Non so immaginare come si presenteranno Juventus, Inter, Napoli, Roma, se solo dovessero continuare in agosto il loro cammino europeo.
Che questa stagione sia non falsata, ma paradossale, è del tutto evidente, basta guardare il numero dei calci di rigore assegnati. Saranno impazziti gli arbitri oppure la condizione fisica di chi gioca non è ottimale, falsando gli interventi dei giocatori?
Insomma, forse non si è voluto gettare il bambino con l’acqua sporca ma è un fatto che il bambino pare seriamente indebolito.
Il timore è che la spirale impazzita di costi e ricavi che da qualche anno a questa parte ha contaminato il calcio, finirà per strangolarlo, riducendolo ad una sorta di wrestling di cui non si sente assolutamente il bisogno.

Mi permetto di mettere in discussione anche il presunto fascino della Champion League, che ci viene presentata come l’empireo del calcio, avendo messo in ombra tutto il resto del movimento a livello domestico.
Questa, sarà anche la sede dove si celebrano i dioscuri del calcio, ma intanto non si premia la squadra “migliore”, ma quella che ha la ventura di passare indenne le varie fasi eliminatorie ma, a prescindere da questo, la Champions, in realtà è una perfetta macchina da soldi, potente al punto da avere svalutato la vittoria dei campionati nazionali, col paradosso che ora si gioca, soprattutto con la prospettiva di occupare almeno il quarto posto.
Forse questo calcio è nel segno dei tempi, ma resta la sensazione amara che qualcosa di serio da riconsiderare, pure ci sia.