Nonostante l'opinione dei "maestri" inglesi, che abbiamo avuto modo di bacchettare su questo umile blog qualche settimana fa, in giro per il pianeta c'è chi dice di aver inventato il giuoco del calcio ben prima che questo fosse effettivamente giuocato sul nobile suolo di Sua Maestà britannica.

Tra storia e leggenda, difficili da distinguere quando si va così indietro nel tempo, l'antico Giappone col kemarie e l'antica Cina con il tsu-chu pare che possano vantare i più remoti precedenti del nostro gioco preferito: le tradizioni locali parlano di un mi­gliaio di anni prima della nascita Cristo, mentre altre fonti collocano il tsu-chu molto più in­dietro, addirittura attorno al 2600 a.C.

Già nel 2500 a.C., a Zibo, città della provincia di Shandong sotto il dominio dell’imperatore Giallo Huangdi, le truppe militari si esercitavano con una disciplina che prevedeva di calciare una palla con i piedi.

Il marchio di giochi "antenati del football" trova giustificazione nel fatto che era comune ai due sport l'utilizzo dei piedi, la presenza di una "porta" rudimentale (generalmente de­finita da due alberi o da due aste di bambù) e l'utilizzo di una palla. Il termine chu indica, infatti, una palla di cuoio realizzata con la vescica di animale gonfiata, oppure riempita da capelli femminili: nel 500 a.C. il tsu-chu era parte integrante dei programmi di addestramento militare dell'esercito ed era pertanto finalizzato, come molti al­tri esercizi, all'efficienza fisica ed atletica dei soldati.

Sebbene nel 2004 la stessa FIFA abbia riconosciuto ufficialmente la Cina come culla del calcio, istituendo nella città di Zibo un museo dedicato all’antica arte dello tsu-chu, tutti sanno che il football come lo conosciamo oggi è stato strutturato e diffuso in giro per il mondo dai pionieri inglesi.

Nel XIX secolo, infatti, le potenze occidentali occupano la Cina ed i primi a farlo sono stati proprio i britannici, con la conquista di Hong Kong a seguito delle due Guerre dell’Oppio che rivelarono al mondo tutta la debolezza militare dell’antico Impero Cinese. I sudditi di Sua Maestà la Regina Vittoria, nel corso degli anni, da Hong Kong risalirono lungo la costa orientale cinese fino ad arrivare a Shanghai, dove fondarono il primo club di calcio il 26 novembre del 1867, appena quattro anni dopo dalla fondazione della Football Association di Londra, autrice delle celebri "Laws of the Game".

L'incontro d'esordio di questa compagine primordiale viene disputato il 9 dicembre contro la rappresentativa della Marina Inglese al Steeple Chase Ground: il neonato club ne esce sconfitto per 1-0. La prima stroica vittoria per lo Shanghai FC arriverà dieci giorni dopo, per 1-0 grazie al gol di un certo Mr Bird: il quotidiano "North China Daily" del giorno successivo parla apertamente di una "papera" del portiere avversario, che con un’uscita sbagliata ha permesso a questo Mr Bird di siglare il gol-vittoria a porta vuota.

Purtroppo la storia del primo club di Shanghai è stata molto breve, si scioglierà infatti nel 1870: successivamente, nel 1875, si hanno notizie di un match "15 contro 15” fra gli HM Navy (i medici della marina britannica) e i “The Shore”, terminato a reti inviolate. La vittoria, tuttavia, viene assegnata ai "The Shore", capaci di segnare due touchdown: si trattava quindi di una partita a "regole miste", tra calcio e rugby!

Il secondo club calcistico di Shanghai viene fondato nel 1891 e giocherà prevalentemente match amichevoli contro le rappresentative della Marina inglese: nasceranno negli anni successivi diverse compagini, come gli Shanghai Rowing Club e i The Fire Brigade’s Mi-Ho Loong Company. Come in ogni parte del mondo tra la fine dell'Ottocento ed i primi del Novecento, compresa l'Italia, la maggior parte dei giocatori che componevano le fila di queste squadre improvvisate erano perlopiù britannici residenti all'estero.

Con la crescente popolarità del football, iniziano a disputarsi anche dei match amichevoli fra rappresentative di giocatori inglesi o scozzesi, chiamate semplicemente “Inghilterra” e "Scozia" (una specie di Nazionali ante litteram), ed una selezione multietnica, chiamata “The World”.

Nonostante tutti questi sforzi, in quel tempo a Shanghai non si riesce nell'intento di strutturare una vera e propria lega calcistica, cosa che invece avviene quasi subito ad Hong Kong, dove nel 1898 si disputò la Challenge Shield, prima competizione ufficiale sul suolo cinese, esattamente dieci anni dopo la prima competizione calcistica mai giocata su suolo asiatico (sempre di dominazione britannica), ossia la Durand Cup indiana del 1888.

Se nella Cina continentale la prima federcalcio ufficiale veniva fondata nel 1924 (poi trasferitasi a Taiwan), a Hong Kong essa viene istituita nel 1914, con i campionati ufficiali che si disputavano già dal 1908: in Cina si tenevano solamente i Giochi Nazionali, ogni quattro anni, mentre per i veri e propri campionati di calcio bisognerà attendere il 1951, due anni dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

Solo dagli Anni Settanta sarà possibile fare il calciatore professionista, ma centinaia di migliaia di cinesi si ritrovano ogni fine settimana per assistere alle partite locali. Nel 2013 Xi Jinping diventa segretario del Partito Comunista Cinese: è un appassionato di calcio e sogna di partecipare al Mondiale, poi di ospitarlo, infine di vincerlo. Il nuovo leader detta la linea dello sport Made in China del nuovo millennio: cinquantamila nuove scuole calcio entro il 2025 che dovranno produrre centomila giocatori degni di indossare la maglia rossa della Nazionale. Una scuola calcio come quella del Guangzhou Evergrande, costata qualcosa come centocinquanta milioni di euro e frequentata da tremila ragazzi, la più grande academy calcistica del mondo, è la dimostrazione di questo sforzo esorbitante.

La svolta commerciale del calcio cinese avviene all'inizio del secondo decennio degli Anni Duemila: nel 2012 Anelka e Drogba vanno allo Shanghai Shenhua, tra gli allenatori che cambiano continente ci sono i campioni del mondo Marcello Lippi, Luiz Felipe Scolari e Fabio Cannavaro. La Cina diventa il più importante partner della Premier League inglese grazie a un accordo con Suning che prevede settecentomilioni di dollari per tre anni di diritti televisivi, mentre David Beckham diventa l’ambasciatore della Chinese Super League (CSL). Arsène Wenger, storico manager dell'Arsenal, in una conferenza stampa del 2016 afferma che "tutti dovrebbero essere preoccupati da un portafoglio così profondo sostenuto da una volontà politica tanto ferma". E quando, durante una visita in Inghilterra, il leader supremo ha regalato al Museo del Calcio di Manchester un chu, pare davvero che il dado sia stato tratto: la crisi dell'ultimo anno, con i disinvestimenti all'estero delle grandi potenze industriali su spinta del Governo di Pechino (vedi Suning e l'Inter), ha solo frenato questa corsa alla conquista del mondo calcistico..

La storia è molto diversa in Giappone, dove il calcio approda durante il Periodo Meiji (1868-1912), epoca contrassegnata da riforme che coinvolgono l’istruzione, il sistema bancario e tributario e gli ormai obsoleti caratteri feudali della struttura sociale. Col processo di industrializzazione e di “occidentalizzazione” del paese del Sol Levante, vengono costruiti anche nuovi impianti sportivi: si pensi al Koshien, uno stadio per baseball, calcio e rugby nella regione del Kansai, e ad una struttura all’aria aperta a Tokyo, battezzata con il nome di “Santuario Meiji”, destinata al calcio.

Proprio in questi anni vedono la luce, sopratutto a livello scolastico superiore, le prime squadre di calcio: in primis nella nuova capitale Tokyo, con i suoi quartieri Aoyama e Toshima, poi anche negli altri importanti centri nevralgici del Paese quali Hiroshima, Kōbe, l’ex capitale Kyōto, Nagoya, Niigata, Saitama e Yokohama.

Tuttavia, solo alla fine dell’era Meiji si assisterà al primo campionato nazionale giapponese, che in realtà nasce da una fake news: siamo nel 1918 e si stanno disputando tre tornei calcistici nelle regioni di Kansai, Kantō e Tōkai, nonostante non dipendano l’uno dall’altro alcuni giornalisti li spacciano come gironi di qualificazione regionali per un fantomatico campionato nazionale. I quotidiani che riportano la falsa notizia finiscono sul tavolo dei vertici della Federcalcio inglese, la quale decide di inviare in Giappone il premio da assegnare alla squadra vincitrice, consistente in una coppa d’argento (che andrà perduta nel corso della Seconda Guerra Mondiale).

Tre anni più tardi, sotto l’egida della neonata Japan Football Association (JFA), si svolgerà il primo campionato nazionale: si presentano venti squadre e ad alzare la coppa d’argento fatta arrivare da Londra è il Tōkyō Football Club, che in finale supera 2-0 la scuola di Aoyama. E' un periodo memorabile anche per la Nazionale Giapponese di calcio: dopo aver esordito sulla scena internazionale nel 1917 ai Giochi dell’Estremo Oriente di Tokyo, nella successiva edizione a Manila nel 1921 i nipponici viaggiano in trasferta per la prima volta.

Quel campionato nazionale nato per caso viene ripetuto negli anni seguenti e vede la partecipazione di un numero sempre crescente di squadre: la competizione diviene l’antesignana dell’attuale Coppa dell’Imperatore ed il titolo nazionale viene assegnato tra le numerose scuole superiori nipponiche. Il calcio, tuttavia, rimane confinato al mondo scolastico e non riesce a raggiungere la popolarità del baseball, primo sport professionistico in terra nipponica.

Una prima occasione di svolta definitiva arriva con l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 1964: i giapponesi, che non vogliono sfigurare in casa propria, allestiscono una nazionale di calcio all’altezza della situazione, scegliendo come allenatore il tedesco Dettmar Cramer. Per il movimento calcistico giapponese ha inizio una nuova era: la Furukawa Electric, squadra dell’omonima compagnia elettrica, vince il campionato interrompendo la lunga egemonia di scuole ed università. Nel 1965, seguendo una proposta proprio di Cramer, viene istituita la Japan Soccer League (JSL), primo campionato nazionale nipponico di uno sport non professionistico.

Molte grandi industrie iniziano ad investire nello sport e, alla stregua dei Paesi socialisti dell'est europeo, i giocatori sono considerati come veri e propri impiegati dell’impresa: la mattina lavorano in ufficio, il pomeriggio si allenano assieme ai colleghi e compagni di squadra, la sera vanno a dormire nei dormitori messi a loro disposizione dall'azienda.

A dar vita alla neonata JSL sono otto squadre che rappresentano i principali comparti dell’industria nazionale, dall’elettronica (Hitachi) ai motori (Mitsubishi, Mazda e Toyota), dagli pneumatici (Yanmar) agli istituti di credito (Banca di Nagoya): a vincere il campionato è la Toyo Kogyo, squadra di Hiroshima, la città rasa al suolo dalla bomba atomica nell’agosto 1945. In sette anni vincerà il campionato ben cinque volte, facendo per due volte anche il double con la Coppa dell'Imperatore. Sono gli anni ruggenti di Kunishige Kamamoto, attaccante della Yanmar Diesel che può essere considerato il miglior attaccante di sempre del calcio giapponese: 75 i gol segnati in 76 presenze con la nazionale, capocannoniere ai Giochi di Città del Messico del 1968, dove i nipponici mettono al collo la medaglia di bronzo olimpica.

Dal 1972 viene introdotta anche una Seconda Divisione ed entrano nel calcio la Fujitsu, colosso dell’informatica, la Nissan, fiore all’occhiello dell’industria automobilistica, e lo Yomiuri Shimbun, il principale quotidiano nazionale: le partite cominciano ad essere trasmesse in tv, vengono introdotte le prime sponsorizzazioni sulle divise delle squadre e si vedono anche i primi stranieri, come il brasiliano Carvalho.

Nell’estate del 1977, gli osservatori del Colonia rimangono impressionati da un centrocampista di 25 anni, entrato nel mondo del calcio dopo un posto da impiegato alla Furukawa: Yasuhiko Okudera, primo giapponese a giocare da professionista in Europa, nonché il primo asiatico a segnare un gol in Coppa dei Campioni, nella semifinale dell’edizione 1978-1979 contro il Nottingham Forest.

Anche nel calcio inizia a farsi strada il professionismo e, su spinta della Toyota, lo stadio di Tokyo inizia ad ospitare la finale unica della Coppa Intercontinentale (ribattezzata appunto Toyota Cup) tra le squadre campioni d'Europa e del Sudamerica. Il Furukawa, inoltre, diventa la prima squadra giapponese ad aggiudicarsi la Coppa Campioni d’Asia.

Kazu Miura, futuro primo giapponese della Serie A italiana con la maglia del Genoa, si trasferisce in Brasile per migliorare la sua tecnica di gioco, realizzando così nella vita reale il celebre sogno che Oliver Hutton cullava nel manga a tema calcistico Holly e Benji, che negli Anni Novanta spopola in Europa. La sua esperienza in Italia sarà breve ma storica: fortemente voluto dagli sponsor (che ne finanziarono l'acquisto con un bonus per ognu presenza), giocherà solo 21 presenze nel campionato 1994-1995, con un gol nel derby della Lanterna ed un grave infortunio dopo un duro tackle di Franco Baresi.

Da quel momento in poi, il calcio in Giappone diviene un movimento popolare sempre crescente, fino alla qualificazione della Nazionale nipponica ai Mondiali di Francia del 1998 ed all'organizzazione impeccabile e fragorosa del torneo iridato del 2002, insieme alla Corea del Sud.

Quando Hidetoshi Nakata, "lo Zidane del Sol Levante", sbarca a Perugia accompagnato dall'imprevedibile Luciano Gaucci, suscita curiosità ma sopratutto perplessità ed ironia: farà subito due gol alla Juventus, poi deciderà lo scudetto in maglia romanista nel 2001. Una nuova tappa viene così completata e questa storia millenaria, che parte da Oriente, sembra davvero destinata a continuare.