"Caro Milan, caro Vecchio Milan...
oggi ti lascio, è cosa nota ormai a tutti: vado a Parigi, ho firmato un contratto da dodici milioni di euro a stagione (netti, sia ben chiaro) col Paris Saint Germain.
L'avete presa tutti molto male, lo so, anche se Paolo ha detto che in fondo mi vuole bene ed è riconoscente per quello che ho fatto fino all'ultimo giorno rossonero, come professionista, so benissimo che ci è rimasto molto male anche lui. Non mi ha perdonato quella risposta secca, il giorno dopo la vittoria di Bergamo che ci ha riportato in Champions League dopo otto anni: "Faccio quello che mi dice Mino".

Mi spiace per Paolo, del quale avevo il poster nella cameretta non più di cinque o sei anni fa, ma non ho saputo trovare una formula più diluita, più distaccata per raccontare la mia verità: io, mi spiace, ma io faccio davvero quello che dice Mino. Vi chiederete tutti perchè io dica questo con tanta chiarezza, quasi con superficialità, ma il motivo è molto semplice e qui, in questa mia ultima missiva, voglio dirvelo senza timori e senza paraventi: Raiola, Mino Raiola, si è preso cura di me e della mia famiglia da quando io ero un bambino. E mi ha reso un ragazzo ricchissimo, un supermilionario appena maggiorenne. Ed ha reso ricchissima tutta la mia famiglia: gliene sono grato, eternamente.
Non mi ha mai tradito, ha sempre lavorato per i miei interessi, mi ha fatto guadagnare cifre che non avrei lontanamente sognato mentre crescevo a Castellammare di Stabia: io faccio quello che mi dice lui, costi quel che costi, costi anche l'amore dei tifosi della squadra di cui sono tifoso io stesso.
L'hanno presa male i tifosi, lo so e ci sono abituato: è dall'estate del 2017 che non mi danno pace, in un modo o nell'altro. Non mi hanno mai perdonato il tira e molla sul primo vero rinnovo contrattuale, quello che si concluse con l'accordo da sei milioni netti a stagioni, più uno a mio fratello Antonio, per quattro stagioni.

Anche lì, tra Mino e Mirabelli, io stavo dalla parte di Mino e mi misi in un angolo, attendendo indicazioni sul da farsi, mentre tutti erano dalla parte di Mirabelli. Ma ditemi una cosa: dov'è Mirabelli oggi? Che lavoro fa?
Io gli voglio bene, è stato il mio direttore sportivo per più di un anno e mi ha trattato, in qualche modo, come un padre burbero ma onesto. Però, nella guerra tra lui e Raiola, mentre tutti si schieravano con la dirigenza rossonera, Mino aveva ragione. Non voleva farmi rinnovare neanche quella prima volta, verissimo: quelle settimane furono infernali, dai dollari che mi piovevano addosso durante le partite dell'Europeo Under 21 (in Polonia!), ai post sui social che Mino mi faceva scrivere e Mirabelli mi imponeva di cancellare.
Senza dimenticare l'esame di maturità saltato che divenne un caso mediatico nazionale: come se ad uno che guadagna milioni di euro al mese, come me, possa davvero mai servire un diploma da ragioniere! Suvvia, siamo seri!
Fu Mino a portarmi a Ibiza, lontano dalla prova d'esame ma sopratutto dall'ambiente milanista, per convincermi a non firmare alcun rinnovo col Milan, nonostante l'offerta più che allettante: quando eravamo là, con Mirabelli da una parte del tavolo, io, lui e mio padre dall'altra, si alzò e mi disse: "Non firmiamo niente, andiamo via". Ed andò via. Io rimasi senza parole, guardai mio padre in cerca di supporto e proprio papà mi fece un cenno chiarissimo con lo sguardo: "Firma".
Firmai per sei milioni di euro a stagione e diventai, ufficialmente, "Dollarumma": pensa se fossi volato a Parigi già quattro anni fa, accettando quell'offerta da dieci milioni che già era stata avanzata dallo sceicco. Davvero! Dieci milioni sono più di sei, ma rimasi al Milan.
Qualche mese dopo quel rinnovo, venne fuori la voce (non so da chi, ma posso immaginarlo) che io avrei chiesto l'annullamento del contratto per aver subito "violenza morale e pressioni psicologiche" al momento della firma: io non ho mai detto nulla di tutto ciò.

E' vera un'altra cosa, venuta fuori in quei giorni: l'accordo prevedeva una clausola rescissoria duplice, quaranta milioni di euro in caso di mancato approdo del Milan alla successiva edizione della Champions League, settanta milioni in caso di qualificazione. Quella clausola non è stata depositata in Lega perché io non l'ho mai sottoscritta. Il motivo? Mino era davvero contrario alla presenza di clausole così alte, che rendevano difficile una cessione ed un contratto molto importante da qualche altra parte: l'avevo già "tradito" firmando il rinnovo, non volevo compromettere del tutto il mio rapporto con lui. Quindi vada il rinnovo, ma niente clausola.
In ogni modo, quando questa notizia venne fuori, gli ultras della curva se la presero anche con mio fratello, definendolo un parassita: lasciate stare Antonio, che è un grande portiere ed ha dovuto subire molto, per colpa della mia situazione. 

Un po' quello che è successo in questa stagione, prima della partita contro il Benevento nel bel mezzo del rush finale per la qualificazione in Champions: sono venuti in venti, a Milanello, per parlarmi. Si è detto che mi sarei rifiutato, inizialmente, di incontrarli, ma non è del tutto vero: semplicemente non volevo dare adito a polemiche prima di una serie di partite così importanti, per il bene del Milan. Però qualcuno mi ha chiesto di accettare il confronto ed ho obbedito (anche qui, contro la volontà di Mino).
Si è detto che sarei uscito in lacrime dall'incontro e che avrei garantito la mia volontà di restare al Milan: è vero. Lo stress era altissimo ed io ero già esausto di quella situazione, totalmente distrutto a livello mentale: quindi ho sfogato la rabbia nel pianto ed ho detto una mezza bugia per venirne fuori quanto prima possibile. Mi spiace dirvelo oggi ma voglio essere onesto fino in fondo: sapevo già di non avere un futuro a Milano. Il discorso con la Juve, che mi veniva rinfacciato dai tifosi, era tutt'altro che vicino alla conclusione positiva, ma era stato imbastito. Poi sapete com'è finita, quindi la mia era solo una mezza bugia.

Lascio il Milan, oggi è ufficiale, col cuore gonfio di ricordi positivi e non.
Sono arrivato in questo club a 14 anni, da grande tifoso, grazie a Mauro Bianchessi che mi strappò letteralmente all'Inter. 
Come potrei dimenticare il mio esordio in Serie A, il 25 ottobre del 2015: avevo appena 16 anni e 8 mesi e mister Mihajlovic mi preferì a due colonne come Christian Abbiati e Diego Lopez nelle gerarchie. Presi un gol da pollo, sul mio palo, su punizione di Berardi (mi prende ancora in giro..), ma che volete farci: ero un bambino.
Pochi giorni dopo l'esordio e quel mezzo errore, fermai praticamente da solo l'Atalanta, costringendo il mister ad ammettere che ero un predestinato e tutto il mondo a riconoscere che ero un fenomeno: avrei anche esordito, a gennaio, nel derby di Milano come portiere più giovane di sempre (vincendo 3-0, oltretutto). 
Non ho mai digerito l'esonero di mister Mihajlovic, meritava di giocarsi quella finale di Coppa Italia persa immeritatamente contro la Juve ai supplementari. 
All'inizio della stagione 2016/17, parando un rigore a Belotti, diventai il primo portiere minorenne a parare un rigore nel secondo dopoguerra: ad oggi ne ho neutralizzati ben 15 su 43, il 35%. Mica male!
Pochi giorni dopo feci anche l'esordio con la Nazionale maggiore, subentrando nientemeno che al mio idolo Gigi Buffon e diventando (a 17 anni e 189 giorni) il più giovane portiere ad aver vestito la maglia azzurra "dei grandi".
Ma il ricordo più dolce è quello di Doha, del 23 dicembre 2016, quando sono riuscito a sollevare l'unico trofeo con questa maglia ed unico trofeo, finora, della mia carriera: la Supercoppa Italiana, proprio contro la Juventus di Buffon, anche grazie al rigore parato a Dybala, il penultimo della serie.
Purtroppo proprio a causa di Dybala, ho commesso il più grande errore della mia vita, al termine di quel Juventus-Milan che avremmo probabilmente meritato di perdere, ma dove io parai tutto, davvero tutto, e portai la squadra a pochi secondi da un pareggio importantissimo. Quel rigore, diciamo pure generoso, che ci ha beffato al 96' non potevo accettarlo in silenzio: urlai la celebre frase "sempre con voi" e feci quel famoso gesto sotto la curva. Sì, proprio il bacio dello stemma rossonero sulla maglia. 
Tutti i rossoneri apprezzarono, fui investito da un'ondata d'amore incredibile, io lo feci con grande passione, ma quel gesto mi avrebbe condannato per sempre: dovevo essere, da quel momento in poi, la bandiera del Milan del futuro. Dovevo essere come Baresi, come Maldini: ma io non stavo nel Milan di Berlusconi, io non giocavo in un club che potesse vincere la Champions ogni anno. Neanche riuscivamo a giocarla! 
Mi ritrovavo nella condizione di essere definito come il prossimo miglior portiere del mondo, ma di giocare in un club di metà classifica senza possibilità di potermi muovere: credetemi, è molto avvilente.
Ci saranno altri momenti belli, come la parata su Milik che molti considerarono come una delle più belle di sempre, proprio nel giorno in cui diventavo il più giovane calciatore di sempre a toccare quota 100 presenze in Serie A (e poi 200). Ero già stato il più giovane a farle con il Milan, qualche settimana prima (sono 251, oggi). E poi, ovviamente, la fascia di capitano e la vittoria di Bergamo che ci ha riportato nell'Europa che conta, dopo tanti anni di sofferenza ed umiliazioni.

E proprio le sofferenze e le umiliazioni non sono mancate, oltre alle polemiche ed agli attacchi dei tifosi: il 5-0 di Bergamo per esempio, ma sopratutto quella maledetta finale di Coppa Italia (ancora contro la Juve) in cui feci davvero un disastro. Sbagliai tutto, ne prendemmo quattro: se ci penso, non dormo la notte.
Ma anche la papera di Pescara, quella di Genova contro la Sampdoria, quella nel derby proprio al 91': tutti a urlare che un portiere da sei milioni a stagione non poteva fare quelle cose. Pochi a spiegare che bisogna vedere anche la carta d'identità e quello che aveva fatto prima e dopo quei pochi errori. 

Oggi ti lascio, caro Milan, e ti lascio in Champions League. Avrei voluto sentire quella musica, con questa maglia: ma non sarà così.
Vado a Parigi, mi aspettano tanti soldi, tante luci, aerei privati, Mbappè, Neymar, Griezmann forse anche Ronaldo, Messi o chissà chi! Mi aspetta un'avventura fantastica, da superstar: giocherò per vincere la Champions League, proprio come quella che ho sempre visto nelle foto di Milanello, sollevata da Paolo, Franco, Cesare, Mauro. Vincerò tante coppe e coppette, tante da non poterle contare, ma terrò quella Supercoppa di Doha sempre al primo posto della bacheca di casa.
Ti saluto, caro Milan.
Lo so che oggi non puoi capirmi, ma un giorno capirai.
Tuo, Gigio."