Ecco la lettera immaginaria che un blogger invia a Donnarumma da parte di Maldini:

"Caro Gigio,
ricevo la tua lettera d'addio senza meraviglia e senza stupore, ma con tanta amarezza, essendo ormai chiaro a tutto il mondo del calcio (ed in questo mondo ci vivo da sempre) che le nostre strade sono destinate a dividersi.
Ho speso belle parole per te, lo sai, e non ho intenzione di contravvenire al mio voto di eleganza e sobrietà proprio qui, in questo nostro carteggio privato. Sarebbe un colpo basso, non so se immeritato, ma di certo non conforme al mio nome ed alla mia immagine pubblica e privata.
Il giorno dopo la vittoriosa trasferta di Bergamo, quella che ha riportato tutti noi (ed uso volontariamente la prima persona plurale) in Champions League, provai l'ultimo disperato tentativo di ricucire uno strappo ormai irrimediabile. Reso irrimediale volontariamente dall'atteggiamento ostruzionista del tuo procuratore e dalla tua ignavia dinanzi alle scelte altrui: qualcuno direbbe che anche tu, Gigio, in fondo non vedessi l'ora di smontare le tende ed approdare su altri lidi.
Mi hai risposto che avrei dovuto parlare con Mino Raiola, perchè tu avresti fatto tutto quello che lui ti avrebbe detto di fare: "Faccio quello che dice Mino", ricordo benissimo le tue poche parole. Concedimi il lusso della critica, avendo 30 anni più di te ed una carriera che non può concedere adito a dubbi riguardo a fedeltà e professionalità: non è un atteggiamento che mi sento di accettare, come individuo che ha fatto la storia del calcio ma soprattutto come rappresentante, universalmente riconosciuto, di questo glorioso club.
Ho conosciuto, in questi anni di convivenza a Milanello, tuo padre Alfonso: davvero una brava persona. Approfitto per raccontarti qualcosa di mio padre, purtroppo scomparso qualche anno fa, il quale prima di essere genitore di Paolo Maldini, è stato a sua volta un bravo papà ed una leggenda della storia milanista. 
Papà Cesare iniziò a giocare a calcio da bambino nell'oratorio del rione di Servola dove, all'età di tredici anni, impressionò favorevolmente il massaggiatore della Triestina che lo portò nelle giovanili del club alabardato. Scalò tutti i gradi del settore giovanile fino ad arrivare alla prima squadra, superando anche l'ostacolo fisico di una pleurite che rischiava di precludergli la futura carriera calcistica. Fu Nereo Rocco (avrai visto le sue foto, a Milanello..) ad aggregarlo stabilmente alla prima squadra.

Nel 1953 Béla Guttmann decise di portarlo qui, al Milan, dando inizio a questa magica storia di famiglia: "questo ragazzo è da Milan e nel Milan giocherà". Vi rimarrà per dodici stagioni, divenendo bandiera, capitano, campione d'Italia per quattro volte ed anche campione d'Europa. Il primo capitano di un club italiano a sollevare quella Coppa, quella Coppa che ci rivedrà protagonisti tra un paio di mesi, è stato proprio mio padre: nello stadio di Wembley, a Londra, dopo aver battuto in finale il formidabile Benfica del formidabile Eusebio, che era un po' il Cristiano Ronaldo (portoghese anche lui, seppur d'origine africana) di quel calcio in bianco e nero.
Papà lasciò il Milan nel 1966, dopo aver disputato con la maglia rossonera 347 partite e segnato 3 gol: ma non fu un tradimento, decise solo di restare fedele al suo maestro Rocco, seguendolo al Torino per una stagione. 
Appese le scarpette al chiodo,  decise di rimanere in seno al Milan lavorando come assistente di Nereo Rocco, per poi intraprendere dal 1971 la carriera di allenatore divenendo, ovviamente, il vice del paròn. Gli subentrerà l'anno successivo come tecnico in prima, ma anche qui, nessuno spodestamento infido: Rocco era semplicemente passato al ruolo di direttore tecnico.
Nella stagione 1972-1973 conquistò anche uno storico double vincendo Coppa Italia e Coppa delle Coppe, superando in finale, rispettivamente, Juventus e Leeds Utd, ma incappò anche nella Fatal Verona, ovvero l'inaspettata sconfitta sul campo degli scaligeri che, all'ultimo turno, costò al Milan il possibile scudetto della Stella. Proprio quel passo falso, forse, gli ha precluso un prosieguo di carriera ad alti livelli sulle panchine delle squadre di club.
Preferì intraprendere la carriera federale, affiancando il grande Enzo Bearzot sulla panchina azzurra nel vittorioso mondiale spagnolo del 1982. Negli anni Novanta, qualche anno prima della tua nascita, papà guidò la nostra Under-21a tre vittorie consecutive nel Campionato Europeo di categoria, guadagnandosi  la promozione alla guida della Nazionale maggiore in vista del campionato del mondo 1998, sostituendo Arrigo Sacchi (altra leggenda rossonera).
Me lo ritrovai in panchina, mentre io facevo il capitano in campo: strano, molto strano, credimi Gigio.
Nell'anno del nostro Centenario, papà torno alla casa madre rossonera come coordinatore degli osservatori del Milan, salvo ritrovarmelo ancora in panchina dal 14 marzo 2001 affiancato dal vecchio amico e collega Mauro Tassotti. Lui in panchina, io a rappresentare il mondo milanista in campo, vincemmo un derby per 0-6. Proprio zero a sei: leggendario.

Della mia carriera, caro Gigio, preferisco non parlartene: l'hai vissuta ogni giorno tramite le fotografie stampate sui muri di Milanello e, in ogni modo, non avrei parole a sufficienza per descriverti l'orgoglio di aver servito una sola maglia per 902 partite. Dal 1978 fino ad oggi.
Il 12 settembre 1978 papà Cesare mi portò a sostenere il provino con il Milan. L'allenatore gli chiese in che ruolo giocassi e lui gli rispose, testuale: "Mah, non lo so, faccia lei". Mi fecero giocare all'ala destra, mentre mio padre andò via senza neanche vedere il provino. Andando contro alle regole della società l'allenatore, il signor Braga, mi fece firmare il cartellino senza nemmeno chiedere il permesso in sede: gli sarò sempre grato e credo che la società abbia fatto comunque un buon affare a prendermi. 
Ho giocato otto finali di Champions League, caro Gigio, ne ho vinte cinque. Ho sollevato trofei a Tokyo, a Barcellona, a Manchester, ad Atene, a Vienna: ovunque.  Io e mio padre abbiamo sollevato, entrambi da capitani, la Coppa dei Campioni: sai quanti casi come questo ci sono stati, nell'intera storia del calcio mondiale? Te lo dico io: nessuno. Solo noi Maldini, al Milan.
Sono il calciatore più presente in A con il Milan e quello più presente con la stessa squadra (647 apparizioni), quello più presente in Champions League con i rossoneri (139) e quello più presente con la stessa squadra nelle Coppe Europee (174), nonché il primo degli italiani. Insieme a Francesco Totti, sono anche il giocatore che ha fatto più stagioni nel massimo campionato italiano (25 anni).
Il Milan, dopo il mio ritiro, ha ritirato la maglia numero 3, la mia maglia, Pelé nel 2004 mi ha inserito nella FIFA 100 come uno dei giocatori più importanti del secolo, dal 2012 faccio parte della Hall of Fame del calcio italiano. Nel 2020, inoltre, mi hanno inserito nel Dream Team del Pallone d'Oro, come miglior terzino sinistro dell'intera storia del calcio: tutti pensano che avrei meritato un Pallone d'Oro, forse due, già da giocatore. Ma mi accontento di quello che ho fatto.
In fondo, pur avendo vinto ventisei trofei (sempre e solo col Milan, non dimenticarlo mai caro Gigio), sono il calciatore più perdente della storia. L'ho detto a Bobo Vieri: ho perso tre finali di Champions League, una di Supercoppa Europea, tre di Coppa Intercontinentale, una finale di un Mondiale, una finale di un Europeo, una semifinale di un Mondiale... E potrei andare avanti. Quindi ho avuto la fortuna di vincere tanto e di vedere la sconfitta come qualcosa da accettare in questo percorso.

Il celebre ex tennista francese Yannick Noah ha detto che non esiste più il concetto di attaccamento alla maglia, perchè i ragazzi a 22 anni sono miliardari e alle prime difficoltà nel club se ne vanno. Però, dice lui, esistono ancora eccezioni, che diventano eroi. In Italia, per esempio, c'è un certo Paolo Maldini che è un esempio straordinario. Quanti anni hai, caro Gigio? E quanti milioni in banca? Eppure, se solo avessi pensato di andare via dal Milan, ci sarebbe stata la fila dei club più importanti del mondo, ma nessuno importante come il Milan. Mi voleva la Juventus ovviamente, al Chelsea mi chiamò Vialli nel 1996. Però preferii restare al Milan, per venire fuori da un'annata disastrosa. È stata una scelta giusta. Poi, per l'Arsenal mi chiamò una persona, facendomi un'offerta economica da capogiro, e ci fu anche una richiesta di Ferguson per il Manchester United e forse un'altra del Real Madrid. La verità è che molto spesso queste richieste coincidevano con annate storte: sarebbe stato probabilmente più semplice accettare. Ma noi del nucleo storico ci prendevamo le nostre responsabilità, preferivamo rimanere e riscattarci sul campo, mettendoci la faccia.

Io sono il figlio di Cesare, leggenda del Milan, prima ancora che Paolo Maldini, leggenda del Milan: se guardi bene, il nome "Milan" è contenuto ed anagrammato nel mio cognome.
Come nel cognome dei miei figli, tra cui Daniele, tuo compagno di settore giovanile e di prima squadra.
A me, caro Gigio, hai negato l'onore di una risposta, spiacevole che fosse. Mi hai detto di parlare col tuo procuratore: ma io non posso farlo, perchè io rappresento il Milan ed il Milan viene prima di qualsiasi calciatore.
Il Milan viene persino prima di un calciatore ed un uomo come me, caro Gigio.

Ti auguro il meglio a Parigi: diventerai ricco, vincerai tante coppe e coppette, tante da non poterle più contare, ma non diventerai una leggenda per nessuno. Diventerai un campione, forse un fuoriclasse, ma purtroppo non una leggenda. Ed è davvero un peccato, perchè avevi tutte le carte in regola: non è solo una questione di soldi, non è solo una questione di classe, è una questione di sentimento.
Ti sono grato come professionista e ti voglio bene come ragazzo, come coetaneo di mio figlio. Ma io, caro Gigio, non sono uno che può essere liquidato con un gelido: "Devi parlare con Mino".
Ti ringrazio come devo ringraziare tutti i calciatori che hanno portato a termine questa stagione incredibile e per certi versi storica: sei stato un leader e spesso il capitano. La gente fa fatica a capire cosa voglia dire fare il professionista, che deve essere pronto a cambiare casacca. So che questa è una cosa che è difficile da accettare, è sempre più difficile trovare carriere che iniziano in un posto e finiscono nello stesso posto, come la mia.
E come ho già detto, bisogna avere rispetto per chi ha dato tanto al Milan: tu l'hai fatto, non ci hai mai mancato di rispetto. Anche se le nostre strade si dividono, non posso che augurarti il meglio.
Ti saluto con affetto, ci rivedremo presto.

Il Milan, Paolo Maldini