Ricchi, ricchissimi, praticamente in mutande.
E' cosa ormai risaputa: le squadra più ricche e vincenti del mondo, sono anche le più indebitate. Quella sortita improvvida e temeraria chiamata Superlega ne è la dimostrazione più lampante: una sorta di all in pokeristico, dal sapore di "o la va, o la spacca", su un tavolo verde che più verde non si può.

SULL'ORLO DEL BARATRO. “Il calcio deve adattarsi ai tempi in cui viviamo adesso. Volevamo fare la Superleague, la pandemia ci ha dato urgenza: ora nel calcio siamo tutti rovinati, molti club falliranno”. Parole e musica di Florentino Perez, presidente del Real Madrid e della Superlega.
Proprio in questi giorni, stiamo assistendo a grandi discussioni sul futuro del club neo-Campione d'Italia, l'Inter, con probabilità sempre più concrete di un corposo ridimensionamento economico (e quindi tecnico) per la stagione sportiva prossima e per quelle a seguire. Il giorno dopo la premiazione ufficiale per capitan Handanovich e compagni, i tifosi nerazzurri hanno iniziato a contestare la società, caso-record a livello mondiale, con tanto di striscioni appesi davanti alla sede del club in Viale della Liberazione, indirizzati a Suning ed al presidente Zhang: "Ridimensionare i campioni è solo da co***oni. Mister, staff e giocatori non si toccano”, seguito da "Zhang prenditi le tue responsabilità o lascia la nostra città". 

Ventiquattr'ore prima, tutti insieme, stavano sollevando la coppa di Campioni d'Italia. 
Contestazione-record, come dicevamo, che segue di pochi giorni il prestito-ponte ottenuto da Suning tramite il fondo Oaktree Capital Management: circa 250 milioni di euro per coprire i debiti più urgenti, in modo da rispettare tutte le scadenze di fine stagione e garantire l'iscrizione al prossimo campionato, pagando anche gli stipendi arretrati. Con lo stesso club nerazzurro messo a garanzia dell'operazione: Zhang si è impegnato a rimborsare questo finanziamento (con gli interessi) nel corso dei prossimi tre anni, ove non dovesse rispettare le scadenze perderebbe gradualmente le quote dell'Inter a favore del fondo stesso. 

RIDIMENSIONARSI PER SOPRAVVIVERE. Contestazione che non è bastata ad impedire la risoluzione del rapporto col tecnico Antonio Conte, colui che ha riportato il tricolore nella Milano nerazzurra dopo 11 anni: rottura quasi inevitabile a causa della distanza incolmabile tra i piani attuali dell’Inter, che prevedono un fortissimo attivo nel prossimo mercato (almeno 100 milioni, oltre ad un taglio del 20% del monte ingaggi) e le ambizioni sempre crescenti del tecnico salentino. Il quale, si ricordi bene, ai tempi della Juventus pronunciò la celebre frase: "Non mangi in un ristorante da 100 euro se hai 10 euro". Siamo sempre là: no money, no Conte. Ed infatti la stessa risoluzione consensuale pare sia costata al club una buonuscita da circa 7,5 milioni di euro, a fronte dell'ulteriore anno di contratto con ingaggio da 12 milioni netti. 

Prima lo Scudetto, ottenuti a colpi di super-acquisti e super-ingaggi (almeno per la dimensione "minore" del calcio italiano di questo decennio) spalmati nel biennio contiano: 74 milioni di euro per Lukaku, 27 milioni per Eriksen, 23 milioni per Lazaro, 40 milioni per Barella, 45 milioni per Hakimi. Con un monte-ingaggi da 150 milioni, secondo solo a quello della Juventus (236 milioni) ed in forte espansione: se nella stagione 2020/2021, a causa della pandemia globale, il monte-ingaggi complessivo della Serie A è calato del 5%, quello di casa Inter è aumentato di 10 milioni.
Dopo la vittoria, il ridimensionamento: la necessità di un prestito per tappare i buchi di bilancio più gravi e pericolosi, l'allontanamento dell'allenatore "bravo ma troppo caro", la cessione inevitabile di alcuni pezzi pregiati della rosa (gli indiziati maggiori, al momento, sarebbero Hakimi e Lautaro) per rimpinguare la cassa societaria che piange. 

Come abbiamo scritto qualche settimana fa, su questo blog, il club del presidente Zhang ha accumulato la cifra-record (per il calcio Made in Italy) di 630,1 milioni di euro di debito netto, in parte rifinanziato dal bond emesso da Suning per il valore di 375 milioni, con scadenza prossima nel 2022. A questo si aggiunge un bilancio chiuso con un passivo da 102,4 milioni di euro ed un patrimonio netto in negativo per quasi 37 milioni (in contabilità, il patrimonio netto è la differenza tra attività e passività di bilancio, mentre dal punto di vista finanziario è la capacità di finanziamento di un’azienda). 
L'Inter, appena laureatasi Campione d'Italia per la diciannovesima volta nella sua storia, nel mondo reale sarebbe un'azienda sull'orlo del fallimento. Un'azienda che, senza l'intervento di soggetti esterni (acquirenti o soci finanziatori), non avrebbe ragione di esistere: purtroppo la passione dei tifosi, portata in banca, non produce cash.

QUALE FAIR PLAY? Sappiamo benissimo che gli altri club non se la passano molto meglio: con 458,3 milioni di euro di debiti, la Juventus ha pochi motivi per essere tranquilla, sebbene un patrimonio netto saldamente positivo (239 milioni) faccia del club degli Agnelli una società strutturalmente solida. 
Stesso discorso per il Milan, di proprietà del fondo americano Elliott: nonostante i quasi 152 milioni di euro di debito netto ed un bilancio chiuso con un passivo-record da 194,6 milioni, la decisione del proprietario di estinguere i debiti "verso l'esterno" al proprio ingresso in capo alla società hanno eliminato l'esposizione verso banche, il che costituisce quasi un unicum  per le squadre italiane. 
Alla fine di tutto, con i tifosi in piazza a contestare la società campione d'Italia, una domanda deve sorgere spontanea: è davvero giusto che una società di calcio così indebitata, che fa fatica a pagare gli stipendi ai propri dipendenti (non solo ai calciatori ed allo staff tecnico), che cerca ogni escamotage per non pagare i premi collegati ai risultati sportivi ottenuti, che posticipa il pagamento delle rate e delle scadenza con i fornitori, meriti di vincere il titolo?
Siamo sicuri che il bomber Lukaku, se avesse saputo di dover penare per ottenere l'ingaggio pattuito da 7,5 milioni netti a stagione, avrebbe comunque scelto di venire a giocare nell'Inter? Probabilmente avrebbe portato i suoi 50 gol da un'altra parte.
E se il Real Madrid avesse sospettato di dover sudare le proverbiali sette camicie per incassare 45 milioni di euro, avrebbe ceduto il cartellino del formidabile Hakimi proprio al club nerazzurro? O avrebbe cercato un pagatore più affidabile? Potremmo continuare con tanti altri esempi, ma ci fermiamo qui.

Nel calcio contemporaneo, in cui si raccontano regole ferree sulla sostenibilità economica e sul cosiddetto Financial Fair Play, non dovrebbe essere consentito di vincere "in comode cambiali". Altrimenti, come sempre, nelle parole abbiamo le regole ma nei fatti ritroviamo solo i modi per aggirarle..