Che il calcio sia stato (ed è ancora) uno dei maggiori strumenti di aggregazione sociale e costruzione del consenso, è un dato di fatto. 

Il calcio è un luogo d’incontro e di scambio per antonomasia, assimilabile ad una agorà dei tempi moderni: per tale motivo, finisce per essere un ambitissimo palcoscenico per la politica. Per tale ragione, in tutti quei momenti storici nei quali emerge un regime autoritario, gli stadi di calcio ed il calcio stesso, come fenomeno di massa, si trasforma nel più potente megafono. 

Dopo la Grande Guerra, regimi di tipo fascista s'impadronirono di grande parte dell'Europa. Mussolini ed il Fascismo, in Italia, faranno da apripista al "franchismo" spagnolo e, sopratutto, al regime Nazista tedesco capeggiato da Adolf Hitler.

Nel 1934, mentre Mussoli è nel pieno del suo consenso e del suo potere, la federazione calcistica mondiale decide di assegnare all’Italia l’organizzazione del secondo Campionato del Mondo di calcio della storia, il primo in territorio europeo dopo l'edizione uruguaiana del 1930. Il Duce intendeva servirsene per gli stessi scopi che Hitler aveva in mente per le “sue” Olimpiadi, quelle di Berlino 1936: trasformarli in una grande celebrazione di fervore nazionalista, organizzazione impeccabile, dimostrazione di potenza davanti agli occhi del mondo "nemico".

Il calcio, in Italia, era già lo sport popolare per eccellenza, insieme al ciclismo: Mussolini, consapevole di ciò, fece tutto quanto fosse in suo potere perché l’Italia, o meglio "l'Italia fascista" vincesse il suo primo titolo iridato.

Per quanto la retorica di regime dipingesse il Duce come un’atleta che eccelleva in quasi tutte le discipline sportive (nuoto, ginnastica, auto da corsa, persino aviazione sportiva), Mussolini era tutt’altro che un uomo di sport, si era limitato in gioventù a frequentare alcune  palestre di scherma ed era totalmente disinteressato rispetto al calcio. Il suo solo interesse per il giuoco del pallone era a fini simbolici e propagandistici. Una delle prime decisioni a riguardo, infatti, fu quella di stampare il fascio littorio sulle maglie della Nazionale, accanto allo scudo sabaudo, di imporre una divisa nera per la  selezione  universitaria e, sopratutto, di rendere obbligatorio il saluto romano negli stadi quando le squadre si schierano a centrocampo per salutare il pubblico.

Il boicottaggio delle nazioni sudamericane alla rassegna mondiale italiana del 1934, fu trasformato da Mussolini in un’opportunità: la defezione dell'Uruguay campione in carica ed il forfait di Cile e Perù, consentirono ad Argentina e Brasile di accedere direttamente alla fase finale, seppure con schieramenti non competitivi, in polemica con la consuetudine delle federazioni europee di naturalizzare calciatori oriundi. Mussolini impose la scelta di nazionalizzare diversi giocatori sudamericani, in nome di qualche lontano antenato italiano, offrendo loro in cambio grosse somme di denaro, presentando ai nastri di partenza addirittura quattro vicecampioni dell'edizione mondiale precedente. Si presentano agli ordini di Vittorio Pozzo, tecnico tra i più preparati nel panorama mondiale dell'epoca, oltre al bomber Giuseppe Meazza, anche diversi oriundi Guaita, Orsi, Morti e Demaria.

Nel doppio match dei quarti di finale contro la Spagna, in occasione della seconda partita, l’Italia rimpinguò le sue fila con diversi “nuovi” giocatori, inoltre l’incontro fu diretto da un arbitro svedese scelto dal regime italiano.

Stesso arbitro che verrà imposto per la finalissima di Roma: dalla tribuna delle autorità, insieme al Principe Umberto di Savoia, Mussolini in un’immacolata divisa  bianca si gode il successo ai supplemetari contro la Cecoslovacchia. La Gazzetta dello Sport titolerà: “Gli azzurri alla presenza di Mussolini conquistano il Campionato del Mondo”.

L’Italia campione del mondo si presenta due anni dopo alle Olimpiadi del Nazismo con il titolo di squadra più forte al mondo. Diciotto mesi dopo la nomina di Adolf Hitler a cancelliere tedesco, venne fondata la Deutsche Reichsbund für Leibesübungen (la “Lega del Reich per l’esercizio fisico”): tutte le associazioni sportive tedesche persero la loro autonomia, in particolare la federazione calcio (DFB). Nelle partite di campionato, tutti i giocatori furono obbligati a fare il saluto nazista e, quelli noti per essere marxisti o ebrei, furono costretti a lasciare le loro squadre. Club storici come il Bayern Monaco erano considerati Judenklubs (club di ebrei), tanto che il presidente dei bavaresi Kurt Landauer venne rinchiuso nel lager di Dachau.

Un grande film, "Fuga per la vittoria" di John Huston del 1981 (celebre anche per la partecipazione di diversi grandi campioni, tra cui Pelè), racconta in modo romanzato la follia nazista applicata al calcio. La storia è tratta dalla tristissima realtà dell'epoca: dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica nel 1941, Hitler creò ad arte una serie di eventi sportivi per dare l'illusione di una prosperosa condizione di vita sotto l'occupazione nazista. Il calcio era uno sport molto popolare nell'Europa dell'Est e una delle squadre più note era la Dinamo Kiev: con l'invasione, però, il campionato fu sospeso e i giocatori furono spediti nei campi di prigionia. Nel 1942, il portiere Trusevych fu rilasciato e trovò lavoro come panettiere: il suo datore di lavoro, appassionato di calcio, lo aiutò a rintracciare otto dei suoi ex compagni di squadra, con i quali fondò una piccola squadra militare (chiamata FC Start) che, in un piccolo torneo locale, sembrava imbattibile. Questo destò preoccupazione negli invasori tedeschi, che vedevano nella popolazione un crescente e pericoloso entusiasmo: i nazisti organizzarono così un match contro una squadra di aviatori della Luftwaffe, arbitrata da un ufficiale delle SS allo Zenit Stadium di Kiev, per mettere fine ai sogni di gloria calcistici degli ucraini. La partita si trasformò presto in una battaglia tra Ucraina e Germania. I giocatori  della Start si rifiutarono di fare il saluto nazista entrando in campo e, nonostante sapessero bene che sarebbe stato meglio perdere l'incontro, non vennero meno al loro spirito sportivo e patriottico, vincendo per 5 a 3. Alla fine la squadra della Start venne smembrata e i giocatori inviati in diversi campi di lavoro, ma il loro coraggio è ricordato come un unico esempio di libertà tanto da ispirare un film cult come "Fuga per la vittoria".

In questo clima di terrore, il Paese organizzava i giochi olimpici e non c’è da stupirsi se la selezione di casa così "epurata" fu sconfitta dalla modesta Norvegia per 2-0 nei quarti di finale, mentre l’Italia (ulteriormente rinforzata da giocatori proveniente dalle Americhe) vinse l’oro olimpico, battendo in finale l’Austria.

La stampa sportiva europea dipingeva volentieri il carattere politico del calcio italiano, attraverso una serie di vignette e caricature: il settimanale francese Football mostrava un Azzurro trionfante mentre salutava romanamente Mussolini.

Nel 1938, in un contesto internazionale sempre più teso e nel timore dello scoppio imminente di un nuovo conflitto mondiale, Jules Rimet ottenne che la terza Coppa del Mondo avesse luogo in Francia, venendo meno al criterio di alternanza fra Europa e Sudamerica nell'organizzazione del torneo. Per Mussolini, era l'occasione irripetibile di dimostrare la grandeur italica in terra nemica: la liberale e democratica Parigi, infatti, pullulava di fuo­rusciti anti-fascisti italiani.

In occasione del vittorioso incontro degli az­zurri contro i padroni di casa, il grande Gianni Brera scriverà: "Fu una figuraccia. Dagli spalti di Marsiglia, non meno di diecimila antifascisti fischiavano spietatamente gli azzurri, colpe­voli di vincere – male – per un regime antidemocratico".

Anche il forte Brasile deve arrendersi di fronte agli azzurri di Vittorio Pozzo: il tecnico verdeoro Adhemar Pimenta, fin troppo sicuro della forza dei suoi uomini, decise di non far giocare la stella Leonidas affinchè si riposasse per la finale. Ma l'Italia s'impose 2-1, con l'immagine leggendaria di Giuseppe Meazza che segna la punizione decisiva tenendosi l’elastico dei pantaloncini con la mano. Prima della finale contro l’Ungheria, i giocatori riceveranno questa incitazione dal Duce: “Vincere o morire". Fortunatamente per loro, l'Italia vincerà 4-2 e porterà al Duce la seconda Coppa del Mondo consecutiva, conquistata in terra nemica. Pare che il tecnico ungherese abbia dichiarato in seguito: "Abbiamo perso contro gli italiani, ma gli abbiamo salvato la vita".

In Spagna, nel frattempo, il caudillo Francisco Franco dominava la scena politica in. maniera autoritaria e spietata, dopo la vittoria nella guerra civile spagnola col sostegno degli alleati fascisti e nazisti. Come sappiamo ancora oggi, il duello tra Barcellona e Real Madrid  rappresenta il duello tra due modi diversi di intendere la Spagna. Popoli, con storia e tradizioni diverse, con lingue lingue differenti: da una parte quella della casa reale, che è anche la lingua ufficiale del Paese, il castigliano; dall’altra il catalano, la lingua ufficiale della Catalogna indipendentista.

Francisco Franco pare tifasse per l'Atletico di Madrid, salvo cambiare fede a favore dei cugini del Real dopo la vittoria dei blancos in Coppa dei Campioni: a prescindere da questo, ovviamente, odiava il Barcellona, vedendo nella Catalogna l’ultima roccaforte che si opponeva al suo regime. Come scrive Franklin Foer nel suo stupendo libro “Come il calcio spiega il mondo” quando le truppe di Franco, una volta conquistato il potere, entrarono in città, “tra quelli da punire c’erano in ordine: i comunisti, gli anarchici, i separatisti e il Barcellona Football Club. A tal punto che quando il suo esercito lanciò l’offensiva finale bombardarono il palazzo dove erano custoditi i trofei del club”. Addirittura il regime spinse per cambiarne il nome imponendo una versione castigliana: da “Barcellona Football Club” in “Club de Futbol Barcelona”.

La follia della Seconda Guerra Mondiale porrà fine al calcio europeo, che ripartirà più forte di prima dopo la primavera del 1945: per fortuna, scevro da epurazioni e violenze di questo genere.

Citando ancora una volta Bob Marley, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa: "Il calcio è libertà".