A volte succede, in quel grande teatro che è il calcio. Forse è proprio questo il bello dello sport che tutti noi amiamo, nel bene e nel male.
IL 5 MAGGIO. Gli interisti ricordano con le lacrime agli occhi (e nel cuore) l'ormai celeberrimo 5 Maggio 2002, ma basta dire solo "cinquemaggio" che tutti gli appassionati di italico pallone sanno bene quale sia l'argomento del contendere.
I nerazzurri meneghini, allenati dall'argentino Hèctor Cuper, non vincevano uno scudetto da ben tredici stagioni e, ad una giornata dalla fine del campionato 2001/2002, avevano un punto di vantaggio sulla Juventus di Marcello Lippi e due sulla Roma campione uscente di Fabio Capello.
L'Inter si presentava ai nastri di partenza della stagione con "la coppia di attaccanti più forte del mondo", quella composta dal Fenomeno Ronaldo e da Christian "Bobo" Vieri: i due, in realtà, giocheranno insieme pochissimo, a causa dei rispettivi problemi fisici. Nonostante questa iattura e nonostante un gioco non certo spettacolare, il club del presidente Massimo Moratti era riuscito a mantenersi stabilmente nelle primissime posizioni di classifica: proprio nelle giornate conclusive, durante l’ultimo scontro diretto contro la Juventus, l’Inter trovava il pareggio nel finale grazie ad un eurogol di Clarence Seedorf. Per molti, quella prodezza rappresentava la fine dei sogni bianconeri e la cucitura virtuale del gagliardetto tricolore sulle maglie interiste.
Proprio il 5 maggio 2002 sembrava il giorno del destino: l’Inter andava in campo per l’ultima partita contro la Lazio, allo Stadio Olimpico di Roma. Con i biancocelesti ormai fuori dalla lotta-Champions e quindi privi di obiettivi, il presunto clima da ultimo giorno di scuola e le due tifoserie gemellate, una grossa fetta dei tifosi laziali dichiarava apertamente di tifare contro la propria squadra, temendo (in caso di sconfitta dell’Inter) la remota possibilità di una vittoria tricolore dei rivali cittadini della Roma. Con uno stadio completamente nerazzurro, la festa dell'Inter pareva solo una formalità. La partenza agevole per gli ospiti (vantaggio di Christian Vieri, pareggio laziale di Karel Poborsky, nuovo vantaggio ospite con Luigi Di Biagio) pareva sancire una sentenza già scritta, ma un clamoroso errore difensivo del giovane terzino slovacco dell’Inter Vratislav Gresko, rese possibile il nuovo pareggio della Lazio, ancora col ceco Poborsky.
Nel secondo tempo l’Inter, che aveva bisogno di vincere a tutti i costi (la Juventus stava vincendo agevolemente ad Udine) entrò in campo tesa e contratta, crollando dal punto di vista fisico e soprattutto mentale: la Lazio, tutt'altro che demotivata, segnò altre due reti con l’ex Diego Simeone e con Simone Inzaghi. E' uno psicodramma collettivo: alcuni giocatori dell’Inter scoppiano a piangere durante la partita, il difensore Marco Materazzi (ancora in campo) rinfaccia agli avversari "il favore" di un paio d'anni prima (quando il suo Perugia, battendo la Juve, permise di fatto alla Lazio di vincere il titolo), ma sono sopratutto le lacrime di Ronaldo (in panchina, appena sostituito) che passeranno alla storia.
Nel frattempo la Juventus, vincendo a Udine per 2-0 grazie ai gol di Alessandro Del Piero e David Trezeguet, si cuciva sul petto un tricolore considerato ormai nerazzurro: l’Inter, paradossalmente, chiuderà al terzo posto, scavalcata anche dalla Roma vincente a Torino in casa granata.

LA PIOGGIA DI PERUGIA. Un altro caso di scuola dei drammi sportivi è quello del 14 Maggio 2000, nella già citata Perugia-Juventus, ultima sfida del campionato 1999/2000. La Lazio di Sven Goran Eriksson e la Juventus di Carlo Ancelotti partivano come le grandi favorite per lo Scudetto, ma la sconfitta nel derby ed una difesa ballerina portano i biancocelesti ad essere nove punti dietro gli avversari a sole otto giornate dal termine: sembrava la resa incondizionata e la fine delle speranze di riportare il tricolore nella Roma biancoceleste, dopo la beffa dell'anno precedente (col sorpasso clamoroso subito dal Milan di Zaccheroni).
Sul più bello, tuttavia, i bianconeri iniziano ad arrancare: una sconfitta in casa del Milan dona nuova speranza ad una Lazio capace di ribaltare in tre minuti il derby con la Roma, grazie a due magie di Pavel Nedvěd e Juan Sebastian Veròn.
La settimana successiva, allo Stadio Delle Alpi di Torino, è in programma lo scontro diretto: la Juventus attacca, ma un Ballotta in serata di grazia, l'espulsione di Ciro Ferrara ed il gol del Cholo Simeone riaprono il campionato.
A novanta minuti dalla fine di un campionato tiratissimo, i laziali sono dietro di due punti: lo scudetto si decide all'ultima giornata. La Lazio affronta in casa la Reggina, la Juve è di scena a Perugia.
Le due partite partono in contemporanea, come da regolamento, e la Lazio chiude la pratica con molta semplicità, grazie a due calci di rigore di Simone Inzaghi e Veròn. Orecchie e attenzione son tutte rivolte a Perugia, dove il primo tempo si è chiuso sullo 0-0.  La Juventus di Ancelotti attacca in maniera disordinata e inefficace, la tensione è altissima, le asfissianti marcature dei perugini di Carletto Mazzone bloccano ogni iniziativa. Intanto, inizia a cadere sulla città umbra una pioggia sempre più intensa: nell'intervello, la pioggia si trasforma in un temporale di dimensioni bibliche.
La situazione è disperata: al Curi i giocatori non riescono nemmeno ad uscire dagli spogliatoi e Collina non fa riprendere il gioco. All’Olimpico, la Lazio si rifiuta di rientrare in campo finchè non l’avesse fatto anche la Juventus, ma l’arbitro dopo 40 minuti decide di far riprendere la partita (che Simeone chiuderà presto sul 3-0). Finito il match, tutta Roma si ferma in attesa di news da Perugia.
Collina fa un sopralluogo in campo, ma il pallone non rimbalza: il re degli arbitri italiani non sa che pesci prendere, parla al telefono, attende input dall’alto. Dopo oltre un’ora di attesa, con i tifosi della Lazio ormai a bivaccare e stemperare l'ansia sul prato dell’Olimpico, arriva la decisione: il secondo tempo di Perugia-Juventus si deve giocare, subito.
Dopo quattro minuti un lancio in area da calcio di punizione viene respinto goffamente da Conte, il pallone finisce sui piedi di Calori che calcia di destro in fondo al sacco. Da quel momento, la partita si trasforma in una lotta nel fango e la Juventus, stordita dagli eventi ed impossibilitata dal terreno ad ordire qualsiasi trama di gioco, ha la peggio: finisce 1-0 per il Perugia, il gol di Calori fa volare lo scudetto verso la già festante ed incredula Roma biancoceleste.

MATCH BALL. Domenica sera, a San Siro, tutto era pronto per la festa rossonera, per la celebrazione del ritorno milanista in Champions League dopo otto lunghissimi anni. La notizia del gol del crotonese Simy a Benevento, al 93', pareva il sigillo in ceralacca all'evento tanto sospirato: il Cagliari è salvo matematicamente, nell'hotel milanese che ospita i sardi cominicia la festa pochi minuti prima della partita. "Abbiamo stappato spumante e tante birre", dirà mister Semplici, con innocenza beffarda: ma un Cagliari "alticcio" e privo di obiettivi reali, riesce con relativa facilità a bloccare i tentativi (pochi, a dire il vero) del Milan e rimanda i sogni Champions di Maldini e soci all'ultima gara.
Ora i ragazzi di Pioli, dopo un campionato condotto interamente nelle zone altissime della classifica (e per ben 21 giornate in testa), devono giocarsi tutto nella difficilissima trasferta di Bergamo, contro un'Atalanta vogliosa di conquistare per la prima volta nella sua storia la medaglia d'argento della Serie A. Ritrovarsi fuori dai giochi proprio al triplice fischio dell'ultima giornata, per la prima volta, sarebbe una beffa atroce oltre che un record storico negativo: la prima squadra campione d'inverno che non sale sul podio a fine stagione.

Passa tutto da Bergamo, servirà un'impresa per vincere l'incontro senza nutrire vane speranza in improbabili buone notizie da Napoli o da Bologna. Per restare al mondo milanista, può essere Istanbul o può essere Atene.