28 Ottobre 1979: la rovina del calcio italiano.
Il 28 ottobre 1979 il calendario della Serie A prevede i derby di Milano e Roma. Alla vigilia l’attenzione è inevitabilmente più focalizzata su Inter-Milan, che oppone la capolista nerazzurra contro i campioni in carica rossoneri. Roma e Lazio sono più indietro in classifica: il Derby della Capitale non è ancora riuscito a ritagliarsi lo spazio mediatico conquistato solo negli anni successivi.
Vincenzo Paparelli, 33 anni, è un uomo come tanti altri, che però ha solo una "colpa": quella di tifare Lazio.
Tipico lavoratore del dopoguerra italiano(faceva il meccanico), padre di famiglia e marito splendido, quella domenica si alzò tardi, preparò la colazione, pronto a passare l'unico giorno libero della settimana con la sua bella famiglia. Era l'ora di pranzo quando a Roma cessò di piovere. In quel giorno si giocava il derby e molte persone, visto il cambiamento di tempo, decisero di recarsi allo stadio. Tra questi pure Paparelli, che si era fatto prestare l'abbonamento dal fratello. Il più piccolo dei figli, tifossisimo della Lazio aveva il piacere di andare allo stadio insieme al suo papà per passare un pomeriggio padre-Figlio. Tutto ciò però non accadde, perché Vincenzo Paparelli preferì andare allo stadio con la mamma, vista la calca di persone, promettendo al suo piccolo figlio che la settimana successiva sarebbero andati insieme. Così marito e moglie entrano in curva Nord (ancora i posti non erano numerati) e prendono posto, e tra un panino con la frittata, chiacchiere e scherzi, si attendeva l'inizio del match. In quell’atmosfera quasi sospesa, dalla curva Sud partì un razzo che sorvolò tutto il campo di gioco e chiuse la sua traiettoria nel pieno viso di uno di quei tifosi che stava dribblando il tempo che lo separava dall’inizio della partita.
Quel tifoso è proprio lui, Vincenzo Paparelli, che non ha nemmeno il tempo di capire che la partita della sua vita sta per finire così, diretta inflessibilmente da un arbitro che applica un regolamento incomprensibile.
La moglie Wanda tenta di estrarre dall'occhio quel maledetto razzo ma si ustiona. La corsa in ospedale è inutile: Vincenzo Paparelli si è spento definitivamente. 
E questo è solo uno dei tanti tristi episodi che si verificarono a Roma tra gli anni 70' e 80', i così detti "ANNI DI PIOMBO", che indussero molta gente a lasciare una città che stava diventando sempre più violenta.

Alla fine il derby si giocò per una questione di formalità, anche se l'atmosfera che si respirava all'Olimpico era surreale. Un silenzio assordante, che ancora oggi rimbomba nelle orecchie di Pino Wilson, ex capitano della Lazio, che prima del calcio d'inizio era andato a parlare con i suoi tifosi in curva nord, cercando di far capire quali sarebbero state le conseguenze se non si fosse giocato il match. 

La cosa certa è che da quel giorno vedere una partita allo stadio non era più sicuro. La morte di Paparelli non fu né la prima né l'ultima, ma solo una delle tante gocce di sangue riversate per vedere una partita.

La vita della famiglia Paparelli dopo quel giorno divenne difficilmente sopportabile. Scritte nei muri come "Morto un Papa... Relli se ne fa un altro" o "10-100-1000 Paparelli" erano mascherate in qualche modo dal figlio Gabriele, che in una delle tante interviste rilasciate, ha confessato quanto tutto ciò fosse invivibile.

La cronaca esige che si parli anche di Giovanni Fiorillo, il diciottenne disoccupato che sparò quel razzo dalla curva Sud: rimase latitante per 14 mesi prima di costituirsi.
Nel 1987 la Cassazione lo condannò definitivamente a sei anni e dieci mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale: aveva sempre giurato che quel giorno non aveva intenzione di uccidere nessuno.

Sono passati esattamente 40 anni da quella tragedia che noi non dobbiamo mai dimenticare, e continuare a denunciare tutti questi episodi, perché questo non è calcio.