Ieri, nel giorno del 42° compleanno di Francesco Totti, la mia mente ha intrapreso un viaggio malinconico fino agli anni '90.
All'epoca, nelle fredde domeniche invernali, i match di Serie A cominciavano alle 14,30 mentre, durante le lunghe giornate di maggio, il fischio iniziale veniva posticipato fino alle 16,00.
Le partite erano tutte in contemporanea, non vi era alcuna esigenza televisiva, si ascoltavano in radio ed io ero affascinato dalla voce roca di Sandro Ciotti. Tra gli appassionati c'era chi le seguiva interamente in religioso silenzio e chi faceva le sue cose, ma sempre con la colonna sonora del calcio raccontato in sottofondo.
Le prime immagini arrivavano dalla RAI grazie a "90° Minuto", condotto da Fabrizio Maffei, ma io guardavo maggiormente "Domenica Sprint" perchè a mio padre piaceva sfruttare il pomeriggio, salvo poi cenare con tutti gli highlights: il programma vantava tra i conduttori una giovane Antonella Clerici, ancora lontana dal diventare la regina delle trasmissioni culinarie, ma il particolare che maggiormente ricordo era la sigla "Stadium" realizzata da Oscar Prudente.

La Serie A veniva considerato il campionato più bello e ricco del pianeta, i migliori giocatori militavano nelle file dei club nostrani, anche nelle squadre meno attrezzate per vincere, e non poche volte i bomber di provincia rubavano la scena a quelli di team più blasonati. Le magliette venivano infilate nei pantaloncini, con stile un po' fantozziano, e vedere peli, trecce o capelli lunghi era molto più facile che scorgere tatuaggi.

Il primo campionato del quale ho memoria lo vinse la Sampdoria, quella leggendaria con Vialli e Mancini, ma lì per lì non mi resi conto della portata di quell'impresa: ero solo un bambino interista, deluso dal non veder trionfare i miei idoli (Zenga, Bergomi, Berti e Matthaus), con i quali tappezzavo di poster la cameretta. Con il tempo capii di essere stato fortunato perché potei assistere all'ultima favola a lieto fine del nostro campionato e che sarebbe bastato nascere pochi anni prima per ammirare anche le prodezze di Maradona, con le quali portò gli unici 2 scudetti al Napoli, o la vittoria del campionato da parte dell'eroico Verona di Bagnoli.

Si tendeva a trattenere i giocatori forti, al di là delle logiche di età o plusvalenza. Non si faceva troppo caso alle cosiddette bandiere perché erano molti i calciatori simbolo dei propri team e i trasferimenti tra squadre rivali erano pochi e facenti scalpore. Il 4-4-2 di stampo sacchiano veniva visto come un modello da emulare, si cercava di riprodurre il gioco di un Milan quasi perfetto, nonostante non si avesse a disposizione gli stessi interpreti. Quel modulo aveva appena mandato in pensione il ruolo del libero e stava cercando di far estinguere anche il trequartista. Oggi siamo a conoscenza che il giocatore tra le linee di centrocampo e attacco sarebbe stato rispolverato, quindi sappiamo che non vi riuscì, ma al tempo costrinse i vari Baggio, Totti, Del Piero o Zola ad adattarsi al ruolo di seconda punta.

Non mancavano però lati oscuri: il bagarinaggio era considerato una normale componente dello spettacolo domenicale, c'erano i treni speciali per i tifosi e le notizie riguardanti fenomeni di violenza tra ultras erano purtroppo più frequenti.
L'avvenimento negativo che maggiormente segnò la mia infanzia fu apprendere della morte di Vincenzo Spagnolo, detto "Spagna", tifoso genoano accoltellato prima di un Genoa-Milan. Era il gennaio del 1995, sapevo che la possibilità di colluttazioni tra supportes più accesi fosse concreta, ma fu la prima volta che presi veramente coscienza di come la morte, sebbene evento estremo, poteva far parte di un mondo affascinante fatto di colori, coreografie, bandiere e canti.

Attualmente è rimasto ben poco di quel calcio: a parte stupirmi ancora della presenza in campo dell'eterno Gigi Buffon, quando voglio regalarmi un sorriso guardo qualche video su Youtube o un bel post sulla pagina tematica Facebook "Serie A - Operazione nostalgia". Mi piace soprattutto ricordare personaggi che non passarono alla storia per le loro vittorie ma che con il proprio supporto hanno segnato quel periodo. Ce ne sarebbero tantissimi da menzionare ma vorrei chiudere citandone 2 in particolare: Zdenek Zeman e Corrado Orrico. Questi 2 allenatori venivano considerati un po' folli all'epoca: il primo fu reputato spregiudicato perché prediligeva attaccare con 3 punte, mentre il secondo cercò di schierare a zona la difesa dell'Inter post-Trapattoni, fallendo miseramente.
Oggi la zona è il modo di giocare più comune e le squadre che attaccano con 3 punte sono all'ordine del giorno. Mi piace paragonare il loro operato a quello di artisti d'avanguardia, non apprezzati sufficientemente nel proprio tempo; le loro opere sono state rivalutate dalle generazioni postume.