Peso” è una parola che, a seconda del contesto, può assumere diversi significati.
Nel gergo della fisica è una forza, nel linguaggio comune è più associato al concetto di massa e, se accostato a particolari termini, può acquistare accezioni più figurate come pressione psicologica (ad esempio il peso delle responsabilità) o importanza (come nel caso del peso di un azionista). Ad ogni modo indica sempre qualcosa che tende a schiacciare: come fa un muro che ti crolla addosso o nel modo in cui una folla, confusa, spaventata e in cerca di una via di fuga, ti calpesta e ti lascia senza fiato. Questa è stata la sensazione che hanno provato le vittime dell’Heysel prima di chiudere definitivamente gli occhi. Pesanti possono essere persino delle semplici parole quando non si riesce a misurarle, anzi: le si espone in bella vista su una parete e il dolore, mitigato quanto più possibile dal tempo, riaffiora rapido rievocando quei momenti, come un vaso di Pandora che si apre improvvisamente e riversa il suo contenuto, sebbene parlare di speranza, dopo aver letto certi contenuti, appare difficoltoso.  Il bilancio di -39, che sovrastava la frase incriminata alla vigilia di Fiorentina-Juventus e che si riferiva alla vicenda datata 1985, è un dato preciso ma costituisce la totalità delle persone scomparse in quel tragico avvenimento. I deceduti non furono tutti juventini: se la dicitura voleva essere un modo per colpire il mondo della Vecchia Signora, ha invece solo mostrato un'ignoranza anche di tipo matematico.
Questo non è un attacco ai sostenitori viola perché coloro che si sono macchiati di tale nefandezza non possono essere classificati tifosi e perché purtroppo questi personaggi inficiano il panorama calcistico senza distinzioni geografiche. L'episodio fiorentino deve far riflettere ma non deve far passare in secondo piano tutti i beceri rimandi a quell’evento accaduti precedentemente, senza tralasciare, ad esempio, un agghiacciante “Acciaio scadente: nostalgia dell’Heysel” comparso, ahimè, nella curva dell’Inter nell’ottobre 2011 durante un derby d’Italia in risposta a degli altrettanto deplorevoli cori contro Facchetti; nell’elenco dei presenti, che non fecero più ritorno a casa dalla serata di Bruxelles, c’erano anche Tarcisio Salvi e Mario Ronchi, interisti anch’essi. Nell’immoralità avrebbero potuto informarsi in modo più dettagliato.

Si può giocare a far cambiare significato a molte parole ma “bruciare” è un verbo che spaventa, non si scherza con il fuoco. Se le comuni ustioni che ci si può provocare in cucina sono dolorose, non possiamo nemmeno immaginare quanto sia terribile essere avvolti dalle fiamme, soprattutto viaggiando all’interno di una Fiat 125 con un bagagliaio pieno di taniche di carburante, quando solo la morte può porre fine ad una sofferenza atroce. Non ho avuto la fortuna di vedere Scirea ai suoi tempi, l’ho potuto ammirare solo in qualche video, ma, ascoltando i racconti di chi ha avuto l’onore di assistere al suo periodo di attività, mi ha sempre colpito l’aggettivo con il quale più frequentemente si cercava di descriverlo: buono. Eppure si poteva porre l’accento sulle sue indiscusse qualità tecnico-tattiche o sulla sua capacità di essere un leader taciturno…se esiste un inferno, sicuramente non può essere abitato dai buoni e mi dispiace per gli artefici della scritta comparsa a Viale Paoli a Firenze, ma l’unica cosa che continuerà ad ardere è la passione che gli amanti sani dello sport avranno per gli atleti come il capitano della Juventus e della nazionale.

Interagiamo con un altro lemma del dizionario. “Schianto”, per esempio, è un vocabolo a primo acchito più simpatico di quelli già menzionati, ma è anch’esso polisemantico. Divertente quando vuole simboleggiare una bellezza che colpisce in modo particolare, meno gradevole quando descrive un dolore lancinante. Nell’utilizzo più frequente, però, è inteso come un rumore fragoroso in seguito ad una collisione o ad una caduta rovinosa; siamo abituati a sentire questa parola, in senso allegorico, quando qualcuno narra la veloce discesa di un titolo in borsa o il crollo in classifica di una società sportiva. Tuttavia, nel banale parlato, incute paura e spesso si associa a disgrazie; come quella che ha colpito il Grande Torino, ponendo fine, in un boato, ad una delle leggende più belle dello sport. Quel particolare schianto, così istantaneo e fatale, non ha lasciato ai malcapitati neanche il tempo di soffrire ma ha provocato una ferita straziante nel cuore dei loro cari e di chiunque si fosse affezionato alla favola granata. Ho visitato la lapide a suffragio dei caduti di quel disastro: in quel luogo, che sovrasta il capoluogo piemontese, vi sono perfettamente sintetizzate le maggiori caratteristiche con cui dovremmo accostarci a tragedie simili: silenzio e rispetto.

Le azioni infami di alcuni pseudotifosi, non hanno come sfondo solo le vicende appena ricordate ma rivangano le sciagure più disparate: alcune sono personali, altre hanno dei connotati ben più ampi ma vengono rimarcate per coltivare odio politico, razziale o culturale. Nonostante sia una piccolissima minoranza quella che organizza tali scempi, riesce spesso a mettere in cattiva luce un determinato gruppo o di un’intera tifoseria.

Tornando alla nostra meravigliosa lingua, infine, non esistono solo singole parole che possono variare accezione a seconda del contesto ma si può effettuare la stessa operazione anche con intere espressioni.
Una dimostrazione? “Mandare a quel paese”: può essere inteso come favorire il viaggio di qualcuno verso una determinata meta, magari attraverso l’uso di un particolare mezzo di trasporto, ma può anche indicare il modo con cui i tifosi veri dovrebbero maledire e isolare coloro che si rendono protagonisti di questi atti vili