Sembrava una partita scontata: di quelle che, se sei stanco, potrebbero indurti a spegnere la TV e ad andare a letto senza particolare dubbi sull’esito finale. La Juventus, ampiamente padrona del campo, si accingeva a raccogliere l’ennesima vittoria in Champions, andando a chiudere il discorso qualificazione già alla quarta giornata, oltretutto certificandosi matematicamente come prima nel girone. Invece, complici diversi fattori (gli errori sotto misura dei ragazzi di Allegri, un loro calo di tensione e una punizione concessa con troppa leggerezza al sinistro chirurgico di Mata) il match si è incanalato verso un binario inaspettato e ha visto il Manchester United uscire vincitore dall’Allianz Stadium.

Appena fischiata la fine, José Mourinho, già protagonista all’andata di un alterco con i tifosi juventini e dopo essere stato nuovamente oggetto di cori offensivi, è entrato sul terreno di gioco si è sfogato contro il pubblico casalingo facendo il gesto del non sentire, che con maggiore frequenza siamo abituati a vedere dai calciatori che esultano dopo gli insulti ricevuti dal pubblico. Da quel momento i social sono tornati ad essere il luogo di scontro fra tifosi, dove a beccarsi sono soprattutto bianconeri e nerazzurri dato che ormai, dopo ogni avvenimento che riguarda anche lontanamente le due fazioni, i rimandi a calciopoli, al triplete e agli sfottò in generale non mancano mai.

Fin qui normale amministrazione; il portoghese non è estraneo a questi gesti o alle dichiarazioni polemiche ma, più che lo sfogo finale della partita di ritorno, mi ha colpito maggiormente il continuo rimando mourinhano al suo interismo, come quando ha mostrato il numero tre ai supporters piemontesi durante la sfida dell’Old Trafford, o quando, al termine della gara di ieri sera, ha detto davanti ai microfoni di aver fatto felici milioni di interisti.

Chi è veramente Mourinho? Osservando le espressioni di giubilo di molti amici nerazzurri sembrerebbe un interista purosangue, un moderno Peppino Prisco, dipendente del Manchester United ma che nella serata di Torino ha vinto anche in nome del suo passato italiano. So già di rappresentare una voce fuori dal coro, ma per me sarebbe una lettura troppo romantica e molto affrettata.
Personalmente reputo l’allenatore portoghese innanzitutto un professionista e in seconda battuta un esperto comunicatore, bravo persino a dissimulare la realtà con dei messaggi veicolati ad hoc. Nella doppia sfida tra gli inglesi e la squadra di Torino, soprattutto all’andata, penso proprio che Mourinho, maestro in questo, abbia strumentalizzato la sua esperienza a Milano per distogliere l’attenzione dalla propria squadra, povera dal punto di vista del gioco e ottenente dei risultati non in linea con il blasone del club. Così facendo ha per l’ennesima volta accentrato l’attenzione dei critici su di sé, ricordando a tutti il suo indiscutibile palmares e accattivandosi, se ce ne fosse ancora bisogno, le simpatie dei nostalgici del triplete.

Sarò sempre grato al portoghese per ciò che ha dato all’Inter, soprattutto nel 2010, ma non voglio dimenticare: non scordo che, all’apice del suo percorso, ha abbandonato la causa meneghina per accasarsi alla corte di Florentino Pérez, potendosi vendere come allenatore vincente, senza neanche festeggiare un successo che mancava da 45 anni.
Ancora ho in mente la scena dell’abbraccio con Materazzi prima di allontanarsi a bordo di un’auto scura, come il futuro che avrebbe atteso l’Inter negli anni successivi a quella cavalcata trionfale.

Ha scelto di fare ciò, a mio avviso, in nome dei suoi interessi economici,
attirato da un contratto di 2 milioni più ricco rispetto a quello milanese, e della più semplice gestione, poiché il Real Madrid era più ricco e più affamato. Restare all’Inter sarebbe stata un’impresa decisamente più ardua: avrebbe dovuto affrontare problemi di bilancio ed una rifondazione (proprio perché la rosa era infarcita da calciatori maturi e dai contratti pesanti, che lo stesso tecnico di Setúbal aveva fortemente voluto per ottenere immediatamente le vittorie). Non è giusto fossilizzarsi sul passato e ricordarne solo le cose belle: idolatrare Mourinho ad ogni costo, rinchiudendo nello sgabuzzino della memoria il suo comportamento da opportunista dopo la notte di Madrid, secondo la mia opinione è come soffermarsi a ricordare i momenti belli di una storia d’amore finita da tempo, senza riportare alla memoria le sofferenze e i motivi per i quali è terminata.

Ammetto di aver gioito anch’io alla conclusione del match di ieri sera, ma vorrei che l’episodio rimanesse una piccola soddisfazione che serve più a scalfire il morale del team di Agnelli (che altrimenti sarebbe ancora imbattuto in questa stagione) piuttosto che a conferire gioia agli interisti.
Mi piacerebbe che tutti i tifosi della Beneamata non si concentrassero troppo sulle sfortune altrui, ma maggiormente sui risultati dei meneghini poiché la realtà dice che il Biscione è ancora dietro alla Vecchia Signora, in termini di rosa e di risultati, e il lasso di tempo senza trofei comincia a farsi ampio.
La Juventus, nonostante un parco giocatori di prim’ordine e un gioco avvolgente, ha dimostrato di non essere imbattibile e l’Inter dovrà ripartire da questa consapevolezza per tentare di spodestarla, in questa o nelle prossime annate.