Forse rischio di essere fuori tema scrivendo queste parole in un blog prevalentemente di calcio, ma la mia passione sportiva si è sempre divisa tra quest'ultimo ed il basket e, essendo di Milano (e - ahime' - di una certa età), ricordo ancora le gioiose corse (prima del 1985) tra S.Siro ed il palazzone di piazza Axum, tristemente sparito senza aver mai capito veramente perché (certo, la neve...).

Nba per noi era veramente "l'Eldorado", il sogno americano e ci trovavamo a leggere Superbasket (diretto da una gloria del giornalismo come Aldo Giordani) ed a guardare le foto di Doctor J e Larry Bird (gli anni erano quelli).

Poi arrivò Italia 1 e ci parve di sognare: potevamo vedere in televisione quelle magie e l'età aiutava a spendere qualche notte in casa di qualcuno a guardare in diretta All Star Game e Finals. Così i nomi dei campioni sono scorsi negli anni; oltre a quelli già citati ci siamo deliziati con Magic Johnson, con Shaq, con Rodman (forse non al livello degli altri, ma certamente uno che creava non poche occasioni di commento)... e mi fermo qui solo per non rendere l'elenco stucchevole.

Poi è arrivato lui...

L'NBA ci ha sempre dato una possibilità in più di goderci lo spettacolo non drogato dal tifo di campanile: certo, ognuno ha la sua squadra (nel mio caso gli Spurs del grande Pop - uno che con Kobe ha più di un'analogia di personalità), ma una schiacciata o un tiro in "step back" all'ultimo secondo sono sempre stati apprezzati oltre l'affezione ad un club.

Kobe ci ha regalato 20 anni di questi momenti, ma - per chi lo ha seguito - ci ha regalato altre cose, non sempre "simpatiche", ma di certo straordinarie. Ci ha regalato l'applicazione del talento alla determinazione di voler sempre migliorare, la dedizione verso la ricerca di una impossibile perfezione, fatta anche di liti con compagni, allenatori e manager nei momenti negativi e delle sconfitte, un carattere non amabile, ma quando guardavi Kobe potevi comprendere che nonostante sia cresciuto in notevoli agi economici, nel suo DNA c'è sempre stata questa scintilla che lo portava a lavorare più duro per poter migliorare quanto aveva ricevuto in dono dalla natura.

Non mi entusiasma la morbosità mediatica di questi giorni intorno a lui. Sapere che riceve messaggi da persone che non lo conoscono solo perché i media manager di personaggi pubblici sanno che rende più umani inviare condoglianze ad una leggenda dello sport e, pur non conoscendolo, sono certo che non apprezzerebbe particolarmente.

Uno dei ricordi che ancora mi mette i brividi è il suo primo All Star Game giocato con l'immenso MJ, quando le telecamere ripresero più volte dei diverbi in campo tra la super stella al tramonto e quella nascente. Non si amarono in quell'occasione ma MJ capì che aveva di fronte uno che avrebbe potuto essere il suo successore.

Se ne è andato appena dopo essersi ritirato, quindi ci mancavano già i suoi numeri in campo, ma l'averci lasciato dopo così poco tempo ci riporta alla mente di averci entusiasmato per 20 anni, sempre nella stessa squadra che è quella dove sognava di giocare già quando mosse i suoi primi passi sul  parquet qui da noi (pur essendo nato sull'altra costa degli USA); forse quel basket (o quello sport) è in declino e sempre meno ci saranno super stelle che rimangono per tutta la carriera nella stessa società, ma Kobe era così: ossessionato dai suoi principi e determinato a raggiungere i suoi obiettivi.
La sua vita ha avuto momenti molto bui: non si vedeva con i suoi genitori, ha avuto enormi problemi relazionali, culminati in quella notte nella quale "intrattenendosi" in un hotel in dolce compagnia ha subito un processo, terminato con una transazione economica: brutta storia, certo.

Ma l'immagine fissata nella mia mente è quella della gara delle schiacciate dell'All Star Game: palleggio, terzo tempo con giro della palla sotto la gamba in perfetta coordinazione e schiacciata sul lato opposto del ferro.
Ciao Kobe... e grazie.
Ti sia lieve la terra.