Suona una strana musica a Barcellona, più complessa di Stravinskji e della dodecafonia e di più difficile comprensione del "silenzio" di Luigi Nono.

I segnali evidenti delle ultime prestazioni sul campo si stanno amplificando e scuotono tutta la società, almeno per la parte che si occupa del calcio e sono segnali che vengono da lontano.

I bene informati riportano fatti risalenti all'estate, con dissapori relativi ai viaggi intercontinentali ed ai premi conseguenti alle partite di Miami: giocatori scontenti e - per contro - parte della dirigenza e della stampa catalana ad accusarli (i giocatori) di avidità e scarso impegno.

Molti dicono che Messi parli poco, ma è vero l'esatto contrario: Leo parla molto nello spogliatoio e ne è il leader incontrastato, solo che riesce ancora (anche se con difficoltà sempre maggiori) a fare in modo che le sue posizioni rimangano riservate; ma Messi voleva Neymar (e questo è di pubblico dominio), voleva un attaccante a gennaio, non hai mai visto di buon occhio Griezmann, con il quale vi sono evidenti contrasti in campo (anche se non "urlati" e - come si sa - quelli non urlati sono spesso i peggiori).
Ora si comincia la resa dei conti tra la presidenza, i dirigenti e la squadra; nelle precedenti sessioni di mercato, il Barça ha acquistato Dembelé e Coutinho spendendo 270 milioni (tra costo effettivo, bonus, commissioni etc): una cifra estremamente azzardata, se si considera - per fare qualche esempio - che Dembelé aveva già ampiamente dimostrato limiti caratteriali a Dortmund (non ultimo l'abbandono della squadra in attesa del trasferimento), confermati clamorosamente a Barcellona (ritardi agli allenamenti per notti passate alla play station). Coutinho era una scommessa tecnica: tutti sapevano che avrebbe dovuto fare di necessità virtù, modificando il suo ruolo ed il suo gioco rispetto a Liverpool, non avendone la statura caratteriale, come dire: due investimenti completamente sbagliati per due nomi non totalmente top player (per lo meno non ancora) e per una cifra con la quale era certamente possibile guardarsi in giro con maggiore attenzione relativamente alle necessità della "plantilla blaugrana".
E i dubbi relativi all'accortezza dei dirigenti del mercato è stata confermata dal mancato acquisto di Rodrigo (che era già partito per Barcellona salutando i compagni) e dalla cessione di Perez e Alena (tacendo della situazione di Rakitic, che ha pubblicamente sostenuto la sua volontà di lasciare il club proprio per la sua poca voglia di vivere una situazione così poco chiara).

Era prevedibile che un'uscita come quella di Abidal, successiva temporalmente a quanto sopra riportato (e possibile fatidica "ultima goccia"), non poteva che ottenere una reazione come quella "social"di Leo, che ancora una volta si è esposto per tutti: Valverde non era inviso ai giocatori più di quanto non possa esserlo Setien.
La soluzione ricercata inizialmente (ed in modo insistito) è stata quella di portare in panchina un "ex" glorioso come Xavi che ha rifiutato per molti e validi motivi, tra i quali certamente la conoscenza del momento che vive l'ambiente e la difficoltà di rapportarsi all'attuale presidente ed ai suoi collaboratori e, non da ultimo, per le voci sempre più insistenti in città, riferite ad un presunto innalzamento della "sensazione di potere" interno a tutta la squadra e legato all'identificazione ed al radicamento della protesta dell'indipendentismo catalano che sempre più si riconosce in essa (malgrado provenienze per buona parte esterne alla Catalogna).

Serve uno scatto, come si usa dire.
Licenziare Abidal (cosa che probabilmente verrà fatta, con l'idea di un segnale "forte" che in realtà è un ulteriore indebolimento nei confronti della squadra) non sarà sufficiente ed a Barcellona sono in molti a pensare che chi dovrebbe fare un passo indietro è Bartomeu e, con lui, tutti i suoi collaboratori che vengono giudicati deboli ed incompetenti (da ricordare però, che il presidente del Barcellona viene eletto da un'assemblea di rappresentanti di circa 120.000 soci).

Leo potrebbe lasciare al termine della stagione, ma difficilmente volterà le spalle al Barca a meno di dare corpo a quella scelta di vita di tornare in Argentina della quale ha più volte parlato alla stampa; ma oltre Leo, i tempi stringono per una stagione che, sulla carta, è ancora tutta da giocare; anche se la mia sensazione è che viste le prime prestazioni dall'arrivo di Setien, ci sia più di una incompatibilità tra quello che i giocatori hanno voglia di dare in questo momento e la filosofia dell'allenatore (anche se non va dimenticato che con dei campioni come quelli che ha il Barca tutto può "girare" in un amen).
Setien ha bisogno di velocità d'esecuzione per gestire il turbine di passaggi utile ad arrivare alla finalizzazione e - come si sa - velocità d'esecuzione in un gioco votato all'attacco significa sacrificio fisico e senso della posizione; per quest'ultima parte Sergio B. e De Jong sono una garanzia ma il terzo di centrocampo rimane un rebus (il più adattabile tatticamente sembrerebbe Vidal, perché Rakitic e soprattutto Arthur spesso "pestano i piedi" a De Jong, togliendogli spazio di impostazione della manovra), Jordi Alba e Sergi Roberto (o Semedo) rimangono frenati e, soprattutto, in attacco senza Suarez risulta molto difficile costruire un'intesa tra Messi e Griezmann che possa aiutare Ansu Fati a crescere in fretta (e sperare che non vi siano altri infortuni, visto che l'apporto di Dembelé è nullo ed altri attaccanti nella plantilla non ve ne sono).

Sono le due facce della medaglia: la quadratura del lavoro della squadra e la posizione dei dirigenti nei confronti della stessa e (appare persino scontato) quasi mai l'una cosa riesce senza l'altra. E' necessario riportare calciatori e dirigenti alle loro rispettive responsabilità, con la presenza di un'autorevole figura di raccordo che sia in grado di mantenere la rotta sugli obiettivi.

Riprendendo la metafora iniziale, dalla "Casa della Musica" alle ramblas, alla Barceloneta... Barcellona ama quella musica che fluisce spontanea nel tessuto connettivo della città ed arriva al Camp Nou, dove una squadra definita - a ragione - mas que un club (molto più che una squadra) deve riprendere a suonare una piece musicale comprensibile a tutti e da tutti amata.