Non è la giornata giusta per scrivere di calcio, almeno non per me, non oggi.

Da quando scrivo questi articoli ho cercato di insistere - almeno velatamente - sul tasto dell'ironia (e non so se ci sono riuscito, ma dalla poca "popolarità" degli articoli e dalla scarsa considerazione ottenuta direi di no), ma oggi per me è una giornata triste perché, ancora una volta, mi rendo conto in maniera inequivocabile di come la parte in "discesa" della mia vita sia manipolata.

Immagino che questa sede non sia quella ideale per scrivere di questi argomenti, ma è l'unico posto dove scrivo ed ho già riportato che scrivo principalmente per me stesso, dunque consiglio ai pochi che dovessero avere la sfortuna di "incrociarmi" di mollare il colpo - come si usa dire - e leggere altro.

"Se son d'umore nero allora scrivo / frugando dentro alle nostre miserie / di solito ho da far cose più serie / costruir su macerie o mantenermi vivo"(cit.: Francesco Guccini). Ecco una fotografia spietata e istantanea di quello che mi sta spingendo a digitare sulla tastiera: l'umore nero miscelato alle notizie di queste ore.

Dunque, abbiamo dei contagiati da coronavirus. La mia - poca - immaginazione mi darebbe materiale per scrivere un breve racconto intriso di complotti: Big Pharma, il plot del romanzo "Inferno" di Dan Brown, una ragione in più di esistere per tutti quelli che credono che il rinchiudersi dentro confini nazionali ed impedire l'ingresso a tutti sarà la soluzione a tutti i mali di questo paese: insomma, ce ne sarebbe d'avanzo e, ammettiamolo: siamo un paese complottista ed essendone parte, anch'io posso permettermelo.

La mia istruzione è di tipo scientifico, ho fatto l'università, ma ho svolto un lavoro del tutto diverso dal corso di laurea che scelsi per motivazioni quanto meno bislacche (la mia prima scelta era Giurisprudenza, seguita da lettere moderne e scienze politiche, visto che arrivavo dal liceo classico, ma a Milano, nell'autunno 1977, queste facoltà erano - diciamo - "di moda" ed il numero di iscritti al primo anno erano di svariate migliaia di unità, così decisi per una facoltà che sfornò in quell'anno accademico ben 5 laureati e nel quale le matricole come me erano circa 250); non lo dico per rivendicare competenza, ma solo perché gli anni dell'università mi ricordano due esami nei quali ho studiato i virus e anche se sono passati 40 anni, non sono ancora così rincoglionito da avere cancellato totalmente l'istruzione che ho ricevuto.
E' quindi forse comprensibile che ascoltando "giornalisti" che parlando dell'ospedale Luigi Sacco di Milano (uno dei più importanti della città) dicono "nel Sacco", la mia pelle tenda ad accapponarsi, oppure che sul web debba leggere "il decalogo" per prevenire il contagio che somiglia concettualmente molto a quando, con il caldo, scrivono di non stare al sole nelle ore più calde e bere molto.

E comprendo di poter sembrare uno snob (cosa che non vorrei essere), ma vedere in città persone che camminano con le mascherine mi porta ad essere d'accordo con la citazione del "popolo bue", sancendo che "è brutta la fame, ma anche l'ignoranza..." (per inciso, è provato che le mascherine sono utili solo se ad indossarle è il personale degli ospedali e quelli che hanno già contratto un contagio, per proteggere chi dovesse venire a contatto con loro; per contro, una mascherina senza filtro a carboni attivi e senza rigenerazione a 40 euro è certamente un business interessante per chi le produce e per chi le vende - meglio se sul web, così non c'è bisogno di uscire per andarle ad acquistare)

Milano si ritrova, impaurita, a limitare le sue attività: leggo che Armani rinuncia all'evento della sua sfilata e non sono così sicuro che la motivazione vera invece che la paura del contagio sia che la maggior parte dei compratori asiatici ha rinunciato al viaggio (però in termini di comunicazione è un gesto certamente con un bel ritorno d'immagine), non ci sarà la partita allo stadio, domani le scuole saranno chiuse, ma questa logica non può che essere parziale, in quanto domani bisognerà andare in ufficio, prendere la metro, i mezzi pubblici, stare con colleghi in ufficio, frequentare supermercati e negozi; insomma una miriade di contatti nei quali le occasioni di contagio saranno 100 volte maggiori di quelle per le quali è stato deciso un intervento.

Che fare? Domanda cardine dei momenti topici (dal post rivoluzione d'ottobre in poi). Con modestia, ho provato a mettermi nei panni di Conte (Giuseppe, non Antonio) e di Fontana e di Sala; non perché mi ritenga in grado di prendere decisioni al loro posto, ma solo per tentare di comprendere meglio quali sarebbero - a mio modesto avviso - le direzioni da seguire per giungere a delle decisioni che coinvolgono il benessere e la tranquillità dei cittadini e - non so perché - mi è ritornata alla mente l'Italia degli anni '60: quel paese nel quale si provava, anche con errori e superficialità, a migliorare la propria situazione economica e sociale.
Il ricordo specifico è per quel compito di divulgazione che svolse la RAI e che, comprendeva un programma splendido che diede modo a molti - in un momento di analfabetismo ancora altissimo - di imparare a leggere e scrivere. Si chiamava "Non è mai troppo tardi" ed il presentatore era un maestro elementare.
Mentre la mia generazione era alle scuole elementari e fu - se non la prima - una tra le prime che ebbe accesso alla scolarizzazione di massa, i genitori ed i nonni di quella generazione miglioravano, attraverso i media, la propria cultura, massicciamente influenzata dal passaggio dall'agricoltura all'industrializzazione o  dall'emigrazione: era un programma che non poteva che prescindere da qualunque manipolazione ideologica o sociale perché era necessario si concentrasse sulla "pura tecnica", sull'insegnamento di concetti base che furono d'aiuto per una moltitudine di persone.

Così, mi sono trovato ad ipotizzare la creazione di un programma analogo, nel quale un virologo ci spieghi i dettagli della trasmissione del virus in maniera diretta e scientifica, senza spazi per valutazioni, commenti e giudizi e senza "sponsor" - né palesi, né nascosti -; potremmo magari tutti scoprire che dovremo combattere qualcosa di appena più serio di un'influenza e che alcuni accorgimenti non particolarmente complicati da gestire potrebbero renderci meno ansiosi soprattutto a proposito della trasmissione del virus stesso e che la ns. vita quotidiana non sarebbe modificata se non in maniera estremamente marginale.

E' stato solo un attimo, ritorno al punto di partenza: la parte in discesa della mia vita è manipolata.