In questi ultimi mesi, si è parlato forse troppo a mio parere, dell’idea di dare vita nel prossimo futuro nerazzurro, all’azionariato popolare, una cordata chiamata Interspac, guidata dall’economista, nonché tifoso interista Carlo Cottarelli. Quest’ultimo, ha dichiarato durante una recente intervista: “Nelle prossime settimane avremo qualche notizia da dare sull’idea di azionariato popolare nell’Inter. C’è un grande interesse per l’iniziativa, inizialmente dovremmo entrare in quota di minoranza poi si vedrà in base a quanti tifosi vorranno partecipare a questo progetto. Spero potremo iniziare presto la campagna per le adesioni”. Durante un’altra intervista ha ammesso che : “Il nostro è un progetto a medio termine, non è che renderebbe subito disponibili centinaia di milioni”. Ora cari lettori, l’articolo avrebbe potuto fermarsi sull’ultima dichiarazione, per dare l’idea della “pochezza” in termini di concretezza della cordata in questione. Per la stabilità tanto pronunciata da Zhang, il “medio termine” o  il “non è che renderebbe subito disponibili centinaia di milioni, non possono avere spazio in un contesto così delicato che il club sta attraversando in questo momento. Capisco l’amore per i colori nerazzurri, ma è un fattore più che oggettivo il fatto che sentimenti e affari sono due componenti contrastanti fra di loro. La ricerca di capire con fatti reali, sul reale piano economico dell’ Interspac, non ha dato i frutti che speravo per alzare il livello d’interesse dell’articolo, essendo che nelle interviste che ha concesso alle varie testate giornalistiche, quest’ultimo, ha solo chiarito che la cordata è formata da manager di alto livello finanziario, dove di potenziali investitori non c’è stata traccia (si vocifera di Vip del mondo dello spettacolo, ma di investitori di spessore, neanche l’impronta). Nonostante io nutra dei dubbi sull’azionariato popolare (e vi spiegherò il perché in seguito), questo non mi ha dato la facoltà di fare delle ricerche specifiche al riguardo sulla reale fattibilità.

Come sapete, molte squadre hanno pensato di virare su sull’opzione dell’azionariato popolare, seguendo il modello tedesco in questo caso. Il problema rilevante non è il modello di per se, perché dal punto di vista etico, potrebbe essere una svolta epocale per il tifoso in Italia, dando la possibilità a quest’ultimo, di immergersi in un contesto che va al di là del semplice tifo, ma la cultura del calcio tedesco che si differenzia dal resto delle altre League europee.

Copiare il modello tedesco è complicato per due motivi: il primo é la storia che lo contraddistingue, e il secondo, é la cultura rimasta invariata da anni. Fino al 21° secolo, anche le squadre tedesche più grandi e ricche erano essenzialmente club dilettantistici gestiti da volontari e appassionati che  servivano la comunità locale. L'idea che il calcio in Germania non sia un business, e che le squadre di calcio non facciano parte dell'industria dello spettacolo, è un’ ideologia che permane tutt’oggi in una misura sorprendente, anche se, questo fattore, non è poi così scioccante, dato che la Germania è stata l'ultima nazione calcistica a legalizzare la professionalità e formare un campionato nazionale, cioè la Bundesliga, che è nata solo nel 1963!

Per quasi quattro decenni, dopo il professionismo, i club tedeschi sono stati in grado di tenere a bada il fenomeno della commercializzazione, anche se il boom calcistico degli anni '90, ha reso il modello tedesco sempre più "antiquato" , essendo che i club tedeschi vecchio stile, stavano gareggiando in Europa contro imprese e potenti investitori, quindi qualcosa doveva essere cambiato.
Nel 1998, infatti, l'associazione calcistica tedesca, ha cambiato le sue leggi e ha permesso ai club di trasformare le loro squadre di calcio professionistiche, in società per azioni. Nonostante i nuovi cambiamenti da dover affrontare, la lega tedesca , ha comunque continuato a salvaguardare il calcio nazionale. Una delle misure più importanti adottate in questo caso, per rendere impossibili le acquisizioni, estere e non, è stata la famosa regola del 50+1 (fonte della Bundesliga.com), che prevede che più del 50% delle azioni con diritto di voto debba rimanere in possesso del club capostipite, e quindi dei suoi soci. Se prendiamo il modello del Bayer Monaco, infatti, il 75% delle azioni, appartiene ai sui soci tifosi e non, l’8,33% ad Adidas, l’8,33% ad Audi AG, e il 8.33% ad Allianz SE . In effetti, è una regola particolare per quei investitori che investono soldi considerevoli in un'azienda senza poter mai acquisire una partecipazione di controllo, ma è al fine di proteggere un calcio che è sempre più vittima degli interessi a scopi di lucro.

In conclusione, non sono assolutamente contro le forme di evoluzione, perché il problema dell’azionariato popolare in Italia, è solo un problema di cultura e storia, dove l’Inter non ne beneficerebbe in questo caso(anche se questo è un mio soggettivo parere), in quanto rischierebbe di entrare in un conflitto d’interessi irreversibile, perché per storia, il calcio italiano e le altre League europee, sono basati prevalentemente sul business, e non su ideologie ferree come quello tedesco. In fine, cari lettori, vorrei menzionare una frase di Jesse Livermore che un giorno disse: “Non è tanto importante comprare al prezzo più basso possibile quanto comprare al momento giusto”. E’ il caso di Interspac? Che vorrebbe approfittare del momento delicato dell’Inter  per una questione d’interessi? Cosa ne pensate?