"L'ipocrisia è l'omaggio che la verità rende all'errore", diceva lo scrittore e drammaturgo irlandese George Bernard Shaw. E ne abbiamo avuta l'ennesiva riprova ieri, quando il Consiglio di Lega ha ufficializzato la proposta del nuovo format per la Coppa Italia 2021/2022. 

NO AL CALCIO ELITARIO
- Ieri stesso il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, intervenuto alla tavola rotonda virtuale organizzata da Formiche.net in collaborazione con Standard Football, parlando tra le altre cose del progetto Superlega, ha dichiarato: "In quarantott'ore siamo stati assaliti da attentati continui che abbiamo dovuto rintuzzare, perché anche l'Italia era uno dei Paesi che avrebbe potuto presentare alcune società in questo progetto maldestro. Quanto accaduto è stata l'occasione, e lo è ancora oggi, per interrogarci su cosa dobbiamo fare per preservare il futuro del calcio". Dichiarazioni chiare, in linea col pensiero dominante e col sentire comune, quello che aveva portato David Sassoli, presidente del Parlamento europeo nonchè tifoso della Fiorentina, a dire che in Europa "il calcio è del popolo" e che sono da rifiutare format e modelli "non nostri", con chiaro riferimento alla Superlega e ad un modo americano di intendere lo sport professionistico. Il mantra comune, ripetuto per giorni e giorni a tutti i livelli, è stato il medesimo: no alle leghe chiuse, sì alla meritocrazia, perchè "anche il Chievo deve avere il diritto di sognare la Champions League", cosa che effetivamente fece nel 2006 ("grazie" alle penalizzazioni di Calciopoli) uscendo però ai preliminari. Perchè, in fondo, l'Atalanta dei miracoli lo scorso anno ha conteso una semifinale di Champions League al miliardario PSG degli sceicchi (perdendo, oltretutto, solo nel finale): cosa che nella wannabe Superlega sarebbe teoricamente e praticamente impossibile. E cavalcando a pieno ritmo questa convinzione condivisa, lo stesso Gravina ebbe modo di dichiarare che "Il patrimonio sportivo e culturale delle singole competizioni rappresenta un valore aggiunto (..), vogliamo difendere il merito sportivo e la possibilità per ogni squadra di inseguire un grande sogno, insieme ai propri sostenitori. Il calcio è dei tifosi, va modernizzato, ma non snaturato. Il calcio è partecipazione e condivisione, non è un Club elitario". Ripetiamo: il sistema calcio italiano, da lui rappresentato nella maniera più alta e compiuta, vuole difendere il merito sportivo e la possibilità (udite udite) per ogni squadra di inseguire un grande sogno, insieme a propri sostenitori. Perchè il calcio non è un club elitario, è di tutti. Chiaro, no? Qualcuno potrebbe controbattere alle parole sacrosante del presidente della FIGC? Nessuno, per carità: parole così giuste da sembrare quasi ovvie. Quasi offensive per il sentimento di tutti i tifosi ed appassionati di calcio italiani.  Anche il noto economista e consigliere del Fondo Monetario internazionale Carlo Cottarelli, in un'intervista a Radio 105, ha fatto il coro alle dichiarazioni di Gravina, ruggendo contro una Superlega "elitaria" e nemica della concorrenza. Anche lui, quindi, tra i pasdaran del "calcio del popolo". 

LA DEMOCRAZIA INGLESE - E in questo clima da rivoluzione bolscevica del pallone, in questo sentimento popolare universale della palla che rotola, arriva la decisione sul nuovo format della Coppa Italia, il trofeo calcistico nazionale per eccellenza, la nostra coppa federale sulla falsariga della FA Cup inglese, nata nel 1922 e quindi prossima al centenario. Vista l'aria che si respira, ci saremmo aspettati una competizione aperta a tutti, al calcio minore, ai più poveri ed indifesi, alle piccole realtà di provincia. In fondo la FA Cup, madre di tutte le competizioni calcistiche mondiali essendo la più antica in assoluto (fondata nel 1871) nonchè coppa federale per eccellenza, è un torneo aperto praticamente a tutti i club della federcalcio inglese, anche a quelli dilettantistici, per un totale di ben 736 partecipanti. Oltretutto, non ci sono teste di serie e si gioca ad eliminazione diretta su partita unica con accoppiamenti del tutto casuali decisi dal sorteggio, proprio come la scelta del campo su cui disputare il match. In questa concezione davvero democratica dello sport, i cosiddetti "Giant killig" (cioè le eliminazioni di club blasonati per mano di club di provincia) sono realmente possibili e sono realmente accaduti più volte nella storia. Si pensi al Wimbledon che nel 1988 vinse addirittura la competizione battendo in finale il grande Liverpool, oppure all'Hereford United che nell'edizione 1971/1972 eliminò il ben più quotato Newcastle. Si ricordi il miracolo del Wrexham, squadra di quarta serie, che nel 1992 eliminò l'Arsenal, facendo dichiarare all'allenatore dei Gunners George Graham: "E' il mio momento più basso da quando sono nel calcio". Ma forse il "Giant Killing" più importante di tutti è stato quello del Sutton, squadra di Non-League (cioè puramente dilettantistica), che nella stagione 1988/1989 eliminò al terzo turno il Coventry City, squadra che si trovava nelle zone medio-alte della prima serie e che solo due anni prima aveva vinto il prestigioso trofeo.

LA COPPA D'ELITE - E invece, cosa decide il nostro italianissimo Consiglio di Lega? Di restringere il format della Coppa Italia con l'obiettivo di spalmare meglio gli impegni delle squadre di Serie A nell'arco della stagione, nonchè di rendere le partite più appetibili dal punto di vista televisivo. Morale della favola: vengono fatte fuori, senza tanti complimenti, le formazioni di Serie C e di Serie D. Con buona pace del "calcio del popolo" e del romanticismo della provincia. Fino alla stagione in corso, infatti, le squadre partecipanti alla Coppa Italia erano in totale 78: 20 dalla Serie A, 20 dalla Serie B, 29 dalla Serie C e 9 dalla Serie D. Partivano fin dal primo turno eliminatorio i club della Serie D e 27 della C, poi dal secondo turno spazio alle restanti due società di C e alle 20 di B. Le "ultime" 12 squadre di Serie A entravano dal terzo turno, mentre le 8 big solo a partire dagli ottavi di finale.  Dal prossimo anno, invece, 12 squadre di Serie A prenderanno parte al torneo sin dal primo turno insieme a tutte le formazioni della serie cadetta. E il diritto della Sinalunghese di poter sognare una finale di Coppa Italia all'Olimpico contro la Juventus, non vale quanto quello del Crotone di sfidare il Real Madrid? Nessuno pensa alla legittima ambizione del Montespaccato, del Castrovillari o della Recanatese di eliminare il Milan, vincere la Coppa Italia e magari sfidare il Manchester United in Europa League? Non vedremo più un Pordenone, club di Serie C, che si presenta a San Siro e mette alle corde l'Inter di Spalletti e Icardi, arrendendosi solo ai calci di rigore dopo 120' a reti inviolate: fatto realmente accaduto nella stagione 2017/2018.

Tutto il gotha del calcio che ha cantato gli osanna alle dichiarazioni "per il popolo" di Gravina, Sassoli, Cottarelli e compagnia, farà lo stesso con le parole del presidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli? Eccole qui: "La decisione della Serie A di escludere i club di Serie C dalla Coppa Italia non solo viola diritti consolidati, ma è espressione di una concezione elitaria del calcio, incapace di avere una visione di sistema. Lunedì è convocato il Consiglio direttivo della Lega Pro che adotterà ogni iniziativa per tutelare i diritti delle proprie squadre e per salvaguardare una cultura del calcio che sia rispettosa dei valori più autentici dello sport. Innovare è giusto, ma salvando la coesione del sistema calcio". Ma forse la democrazia calcistica, tanto invocata "contro" la Superlega europea, vale solo per i club con fatturati milionari, il pallone di provincia (alla fine dei conti) può cadere vittima della peggiore dittatura senza che nessuno finga di essere indignato.