Il dibattito, aperto da sempre e con tutta probabilità per sempre e che coinvolge stampa, procuratori sportivi, tifosi, calciatori e allenatori stessi è il seguente: l’allenatore è decisivo per le sorti di un’equipe? Se si in che percentuale? Oppure sono i giocatori scendendo in campo a determinare le proprie fortune? Fermo restando che, a mio modo di vedere il tecnico incide in maniera importantissima nello sviluppo dei ragazzi il nocciolo della questione è perché ciò avviene. Ecco la mia chiave di lettura. Un coach riesce ad essere efficace poiché è parte integrante di una rete, un sistema o per essere più specifici e chiari di una struttura granitica e organizzata il cui centro di gravita’ non e’ rappresentato dalle competenze del singolo per quanto esse siano unanimemente riconosciute bensì è costituito da un progetto e dalla strategia necessaria per concretizzarlo con l’imput primario che arriva dall’azionista di riferimento, ovvero la proprieta’ che, avendo un obiettivo importante, un grande sogno per coltivarlo, farlo crescere e portarlo a compimento deve in prima battuta scegliere dei collaboratori adeguati a portare avanti il progetto in questione e garantirgli l’autonomia necessaria per agire secondo le proprie competenze mentre in seconda battuta è altrettanto importante che essa conferisca al club una filosofia, una linea guida la quale deve poi sfociare nella linea programmatica che spetta poi ai dirigenti sviluppare assieme all’allenatore. La linea programmatica nasce dalla necessaria e assoluta condivisione tra societa’ (proprieta’ e dirigenza) e allenatore,- i quali devono essere una cosa sola – di una strategia atta ad arrivare ad un’idea, che si sviluppa di anno in anno, step dopo step attraverso la pianificazione industriale comprensiva delle risorse finanziarie (budget o capacita’ di fuoco). Senza pianificazione non puo’ esserci progetto. Come si sarà compreso non reputo vincente il modello inglese che, talvolta alcune società italiane decidono di portare avanti vedi, con riferimento all’attualità Inter e Roma le quali, per decisione dei loro patron Eric Thoir e James Pallotta hanno scelto di affidare le proprie sorti rispettivamente a Roberto Mancini e Luciano Spalletti, i quali sulla base per l’appunto del succitato modello britannico sono da considerarsi gli uomini forti sui quali è stato edificato un progetto che non ho timore a catalogare come presunto visto e considerato che, in prospettiva non riesco ad individuare delle fondamenta solide. Liofilizzando il concetto il ritorno di Luciano Spalletti a Roma ha rivitalizzato l’ambiente e riconsegnato alla compagine giallorossa la personalita’ e l’identita’tattica che erano andate progressivamente smarrendosi all’interno della precedente gestione tecnica. Volgendo invece, lo sguardo a casa Inter bisogna dire che la situazione è molto più delicata poiché, lo scettro del potere è nelle mani di un allenatore, Roberto Mancini che da quando ha cominciato la sua seconda vita in nerazzurro – novembre 2015 – non e’ ancora riuscito a far diventare l’insieme di giocatori a sua disposizione una squadra vera e propria, trasmettendo quindi loro dei principi di gioco che possano portarli ad acquisire sia una mentalita’ che un’identita’ chiare, riconoscibili ed uniche. Siamo al cospetto di un tecnico inadeguato ad un top club, sopravvalutato, troppo spesso santificato dalla stampa italiana (al suo ritorno in nerazzurro e’ stato accolto come il salvatore della patria interista); egli si appoggia esclusivamente sulle qualita’ dei singoli i quali, dal suo punto di vista devono essere calciatori gia’ affermati poiche’, evidentemente attraverso questi ultimi il mancio nasconde le sue carenze didattiche e quindi il fatto di non essere un eccellente sarto. Al contrario, l’ex fantasista e’ un autentico specialista nel sedurre, nell’acquistare, nel bruciare e nell’accantonare giocatori dopo essersene innamorato. A mio modo di vedere, un club e’ chiamato, non esistendo un parametro definito di perfezione ad alzare progressivamente l’asticella dei propri traguardi e questa crescita non può passare attraverso delle proprietà assenti che, come nel caso di Inter e Roma per mascherare la loro mancanza di conoscenze tanto manageriali quanto calcistiche fanno ricorso all’esperienza e al blasone del singolo individuo finendo per caricarlo di troppe responsabilità e mettendolo in difficoltà poiché costretto a cimentarsi in settori che non dovrebbero essere di sua competenza considerando che lo vedono sprovvisto del necessario e opportuno bagaglio didattico; bensì questa crescita può avvenire esclusivamente passando attraverso una proprietà che sia realmente e continuamente presente rispetto alla vita delle squadre infatti quella che va in campo la domenica e’ lo specchio di quella che agisce dietro la scrivania. Tutto ciò mi porta ad affermare che l’allenatore non rappresenta un elemento di contorno, non e’ un uomo solo al comando e allo sbaraglio bensì, e’ una figura chiave e decisiva poichè egli e’ parte di una struttura che lo mette nelle condizioni di esprimere i suoi principi di gioco e di conseguenza la sua idea di calcio, di crescere e di sentirsi realizzato esso, rappresenta e racchiude sia la filosofia che la linea programmatica di cui sopra. Il coach trova il consenso unanime tanto della proprietà quanto della dirigenza perché possiede sia i requisiti umani che didattici per guidare e gestire gli atleti; egli cattura l’attenzione della società poiché essa, monitorandolo per lungo tempo ha modo di comprenderne la metodologia di lavoro e di valutarne l’efficacia. Una volta scelto il mister, con l’avvallo dell’azionista di riferimento dirigenza e tecnico devono optare per degli interpreti che siano persone affidabili, di notevole spessore morale, che abbiano passione e amore per la loro professione, che siano generosi, talentuosi, intelligenti e disciplinati oltre ad essere funzionali all’idea di calcio dell’allenatore e complementari tra loro (in grado di colmare a vicenda le rispettive lacune); in questa fase, a mio modo di vedere il primo passo da compiere e’ valutare attentamente i calciatori che sono gia’ in casa, in altre parole decidere chi tenere in rosa e chi invece mettere sul mercato. Così come la costruzione di una casa parte dalle fondamenta lo stesso presupposto vale per il lavoro dell’allenatore il quale deve riuscire innanzi tutto a fare breccia nell’anima (testa e cuore) dei giocatori in modo tale da conquistarli ed ottenerne la disponibilità e stabilire prima un contatto e poi una connessione che gli permetta di portare avanti la sua proposta, di plasmarli e farli diventare una squadra vera e propria. L’allenatore trasmette il proprio credo calcistico ai giocatori durante gli allenamenti e, se in partenza questi ultimi si presentano solo come un insieme di atleti poichè non consapevoli delle proprie potenzialita’ , diventano un gruppo quando sono totalmente coinvolti, rapiti e motivati dalle idee del tecnico in altre parole sicuri di poter sia mettere in evidenza che di accrescere il loro talento mediante queste ultime cosi’ da lottare per raggiungere traguardi importanti; in conclusione l’evoluzione in squadra viene raggiunta quando i ragazzi si muovono in campo appoggiandosi a meccanismi preordinati, ovvero provati fino allo sfinimento in allenamento e che permettono al puro talento del singolo di fondersi nella qualita’ del collettivo fino ad esaltarsi e fare la differenza. Come sostiene arrigo sacchi – ed io mi trovo completamente d’accordo con lui – il mister e’ incisivo perche’ pone il gioco di squadra al centro del suo progetto, lo considera imprescindibile; esso prevale sul singolo. Ecco il pensiero del tecnico romagnolo. “il singolo puo’ far vincere una partita ma solo la squadra puo’ far vincere il campionato. Quando il gioco e’ il leader tutti ne traggono vantaggi. Solo una squadra nello spirito del gioco permette una connessione che si trasforma in sinergia che moltiplica le qualita’ di tutti. Credo sia limitativo pensare che il singolo possa fare sistema”. Secondo il mio punto di vista gli allenatori si dividono in tre categorie: Masochisti - accettano offerte da societa’ dove la parola progetto viene solo scritta su carta. Essi sono consapevoli dì non trovare le condizioni giuste per lavorare, esprimersi e crescere; cio’ che li muove e’ la smania di’ allenare oltre che di incrementare il loro conto in banca anche se non soprattutto a discapito della loro dignita’ umana e professionale. A salvadanaio – allenano esclusivamente per puro interesse economico, per questi soggetti il denaro e’ al centro di’ tutto. A progetto – accettano esclusivamente offerte da club per i quali la parola progetto rappresenti un valore morale e non una forma di esibizionismo, uno spot autoreferenziale e un mezzo cattivo per illudere i tifosi senza i quali il calcio non esisterebbe. Siamo in presenza di realta’ organizzate dove ogni figura professionale ha un ruolo ben definito e tutte le componenti societarie remano dalla stessa parte per realizzare il grande sogno che si sono prefissate e che le fa sentire viva Considerazioni finali: Per riuscire a trasmettere i suoi concetti e ad incidere sui giocatori l’allenatore ha bisogno di una societa’ organizzata, dotata di coerenza progettuale (coraggiosa,capace di fare scelte chiare e impopolari), seria, competente e paziente, in una parola forte; che gli permetta di esprimersi e lo tuteli nei momenti difficili evitando, conseguentemente di togliergli autorevolezza e di delegittimarlo agli occhi dei giocatori. Su queste basi la struttura societaria puo’ lasciare un segno importante, contraddistinguersi rispetto alla concorrenza, diventare un modello, un punto di riferimento e una fonte di ispirazione. Per centrare l’obiettivo e’ necessario che tutte le componenti societarie diano il massimo (l’anima). L’allenatore alimenta il proprio talento con passione e motivazione altissime esse infatti lo portano attraverso la sua sensibilita’, lo studio, la sperimentazione, l’applicazione e la didattica ad incrementare le proprie conoscenze – pasword necessarie per superare barriere che altrimenti sarebbero insormontabili e ad alzare continuamente l’asticella per raggiungere l’eccellenza ossia la trasformazione di un’idea forte in uno stile unico, in un gioco convincente, divertente, spettacolare e possibilmente vincente. Il condottiero non esaurisce mai la curiosita’, la voglia di aggiornarsi perche’ chi si ferma resta indietro ed e’ perduto; inoltre per lui e’ indispensabile e doveroso rigenerarsi quotidianamente per evitare che il feeling costruito con i giocatori si spezzi. Tra le competenze dell’allenatore rientra anche la creazione di regole chiare che stabiliscano, scandiscano e caratterizzino la vita della squadra, intesa come la sua quotidianita’. Il trainer, attraverso le sue attitudini psicologiche, la sua personalita’ e il suo carisma riesce a trovare una chiave esclusiva per – a seconda del loro carattere - pungolare i ragazzi affinche’ riescano scavando nella loro intimita’ ad estrarre tutte le loro sfumature per sviluppare una connessione sempre piu’ completa con se stessi e una sinergia migliore al servizio della squadra. (autoanalisi) da esprimere quindi all’interno del suo stile di gioco. Riassumendo: Proprieta’ – e’ ambiziosa, coltiva un sogno, un obiettivo importante, di conseguenza per dargli forma conferisce al club una linea guida, una filosofia; in altre parole ne scrive la sceneggiatura. Dirigenza – con la piena autonomia conferitale dalla proprieta’ valuta e sceglie insieme all’allenatore gli interpreti da inserire all’interno della sceneggiatura. Allenatore – e’ il direttore d’orchestra, colui che permette ai giocatori di diventare una squadra vera e propria ossia un’orchestra che suona la stessa musica. Giocatori – sono gli interpreti della sceneggiattura. Rispondono e reagiscono positivamente al messaggio, alla proposta e alle sollecitazioni dell’allenatore concretizzando il suo stile di gioco quindi, il segnale di ritorno e’ talmente forte che si verifica una crescita esponenziale da parte di tutte le figure professionali che lavorano affinche’ il sogno diventi realta’ con il concetto di squadra che si manifesta nella sua globalita’. Tifosi – rappresentano il motore e l’anima del calcio, come si usa dire il 12°uomo. Per questa ragione non devono essere dati per scontati bensi’ vanno corteggiati, coccolati, sedotti, coinvolti e conquistati quotidianamente. Quando sono allo stadio devono emozionarsi, provare piacere e divertirsi. Non devono assolutamente sostenere la squadra e darle calore a prescindere.