L'11 novembre scorso è uscito nelle sale cinematografiche italiane "Zlatan", un bio-pic dedicato alla vita di Zlatan Ibrahimovic. Un film drammatico sapientemente girato da Jens Sjörgen, eppure incapace di coinvolgere a pieno lo spettatore. Una storia dai tratti universali, utilizzata per dipingere il ritratto di un individuo troppo particolare, però, per esservi incastrato. Una storia profondamente diseducativa.

"Zlatan", il film parzialmente tratto da "Io, Ibra" (l'autobiografia scritta dall'attuale numero 11 del Milan con il preziosissimo e fondamentale contributo del noto giornalista e scrittore David Lagercrantz), avrebbe dovuto trasporre sui maxischermi le gesta di un calciatore che Andrea Occhipinti, il fondatore della Lucky Red (la casa di produzione che ha finanziato la pellicola), ha definito una leggenda dello sport; una celebrità dai modi unici ed assolutamente irripetibili; un mito contemporaneo che, proprio in Italia, ha ottenuto la sua definitiva consacrazione e che, pertanto, non poteva essere ignorato dal cinema nostrano.

Invece, Jens Sjörgen, il regista incaricato di filmare l'opera, ha intrapreso una strada molto diversa, alternativa a quella indicatagli dal suo produttore.
Sjörgen ha deciso di raccontare Zlatan prima che diventasse il professionista affermato che tutti gli appassionati di calcio, nel corso degli ultimi decenni, hanno imparato ad apprezzare; il fenomeno che, per intenderci, almeno una volta nella vita, hanno desiderato emulare.
Il regista svedese ha voluto filmare una pellicola che potesse aiutare lo spettatore a comprendere, innanzitutto, la persona che si nasconde dietro al calciatore, anziché mostrare le arci-note gesta di quest'ultimo, e per questa ragione ha posposto il legame che Zlatan ebbe col pallone a quello che lo stesso asso svedese ebbe con altre componenti rivelatesi altrettanto fondamentali nella sua formazione, nel suo percorso di crescita e nello sviluppo della sua personalità.
Il risultato è che all'interno del film viene concesso parecchio spazio alle vicissitudini di Zlatan bambino ed ai periodi meno noti della sua adolescenza, mentre non compare, neanche da un piccolo pertugio, lo spettacolo che Zlatan sapeva regalare in campo anche da ragazzino (segnando in rovesciata, di tacco, in girata, di pura potenza, etc., etc.).
Una scelta, quella compiuta da Sjörgen, sicuramente coraggiosa ed originale. Una scelta, tuttavia, che lascia l'amaro in bocca e non convince del tutto.

La trama di "Zlatan"
Il sipario si apre sullo Zlatan giovane-adulto, in aperto conflitto con l'allenatore Ronald Koeman ed in procinto di lasciare l'Ajax per approdare alla Juventus. Ma ben presto la narrazione passa dall'ultimo periodo trascorso da Ibra in Olanda, ai travagliati rapporti che Zlatan ebbe con i membri della propria famiglia, coi genitori Sefik e Jurka (separatisi quando era ancora molto piccolo), con la sorella Sanela, col fratellino "Keki" ed il fratellastro Sapko, con la scuola e gli insegnanti di sostegno, con gli amici e col gentil sesso, con i compagni di squadra nelle giovanili, con la povertà e con i piccoli espedienti che quasi sempre essa comporta, il tutto attraverso una nutrita serie di flashback che, incastrandosi senza soluzione di continuità all'interno della vicenda principale, finiscono per relegare quest'ultima soltanto sullo sfondo.
Ne consegue che Zlatan, nella sua dimensione di professionista affermato, compare giusto tra un salto temporale e l'altro, in qualche piccolo intermezzo dove viene raffigurato mentre è intento a discutere con Raiola - il cui primo incontro con Ibra, però, ci non viene mostrato - o mentre viene sbeffeggiato da Luciano Moggi - ancora una volta presentato al pubblico come un boss mafioso, in modo da rinforzare nell'immaginario collettivo uno stereotipo tanto diffuso, quanto assolutamente insensato - ed è proprio questo a fare di "Zlatan", alla fine, un film sostanzialmente poco riuscito.
La pellicola, infatti, concentrandosi esclusivamente sullo Zlatan ragazzino, finisce irrimediabilmente per tradire l'alta aspettativa riposta in essa dal pubblico pagante: quella di venire a conoscenza del comportamento di Ibra lontano dai riflettori, magari tramite qualche succoso ed inedito aneddoto.

I motivi per cui "Zlatan" non funziona
La scelta di tralasciare il comportamento del professionista dietro le quinte nell'auspicio che il film, raccontando la storia del calciatore in fieri, possa diventare fonte di ispirazione per tutti coloro che desiderano sfondare nel mondo del calcio, ha del coraggioso ed è certamente apprezzabile. Peccato che il lungometraggio dedicato al campione svedese non riesca a raggiungere nemmeno questo obiettivo. E non ci riesca, innanzitutto, per via del taglio freddo, drammatico e distaccato che lo stesso Sjörgen ha deciso di imprimergli.
Un taglio decisamente poco adatto ad una platea di giovani in piena crisi adolescenziale, spesso in cerca di un modello di vita da seguire, e molto più consono ad un pubblico più adulto e maturo, ricompreso in una fascia d'età nella quale si è ormai disinteressati, però, a trarre dalla vita di Zlatan preziosi consigli.
In secondo luogo perché la storia di Zlatan, nonostante sia ben raccontata, oltre ad essere piuttosto banale e comune a quella di tantissimi altri giovani cresciuti in una situazione famigliare disastrosa e complicata, è anche diseducativa.
Sì, avete capito bene, la storia di Zlatan è diseducativa (per lo meno quella narrata da Sjörgen). E lo è profondamente per via di come si conclude il film: [Spoiler] Luciano Moggi che, dopo aver ammirato lo splendido gol segnato da Ibra al Nac Breda, muta la propria precedente opinione su Zlatan e, pur sapendo perfettamente quanto Ibra sia rimasto pigro ed immaturo, chiama immediatamente Raiola per riuscire a portarlo alla Juventus [fine dello spoiler].
Per intenderci, tramite questa conclusione poco azzeccata, Sjörgen contribuisce a generare nello spettatore la convinzione (errata) che chiunque, nonostante possieda un carattere difficile o/e cresca in un contesto famigliare ed urbano sfavorevole ed opprimente, possa eccellere in una disciplina sportiva senza applicarsi troppo, purché, naturalmente, possieda per essa uno spiccato talento.
Sjörgen, riesce in quest'"impresa" narrando agli spettatori l'agevole approdo nel calcio professionistico di uno Zlatan incapace di allenarsi duramente, indolente e riottoso, determinato ad aggirare i molteplici problemi che la vita gli pone davanti ricorrendo sistematicamente all'ausilio di qualche scorciatoia, piuttosto che incline a risolverli in modo canonico, tramite il sacrificio o lo studio; raccontandoci uno Zlatan che combina un guaio dopo l'altro e si rende continuamente protagonista di svariate "ragazzate" ed atti goliardici; descrivendoci uno Zlatan che riversa sempre sugli altri le proprie mancanze e rifiuta costantemente di assumersi le proprie responsabilità.
Tra l'altro, quest'ultima sfaccettatura del carattere di Zlatan risulta talmente approfondita nel film che, giunti ai titoli di coda, si ha la netta sensazione che la pellicola sia solo una grande "apologia" della sua gioventù. Un mezzo utilizzato dal regista svedese per fornire una giustificazione esterna e plausibile ai tanti errori che Zlatan (supervisore dell'intero progetto) commise da ragazzo. Uno strumento utile ad (auto)assolverlo dai suoi peccati adolescenziali e dimostrare, ancora una volta, al mondo, la sua infallibilità ([Spoiler] tant'è che, quando Zlatan arriva tardi alle partite, è colpa del padre che non l'ha svegliato in tempo. Quando Zlatan scaglia un disco da hockey in faccia alla sua insegnante di sostegno, è colpa del sistema scolastico svedese, che reputa tutti gli immigrati poco dotati intellettualmente. Quando Zlatan tira una testata ad un suo compagno di squadra, è colpa dell'atteggiamento di quest'ultimo e del nervosismo che gli aveva scatenato, la sera prima, la ragazza di cui si era infatuato. E questo elenco potrebbe continuare ancora a lungo... [fine dello spoiler])

Insomma, all'interno della pellicola girata da Sjörgen, Ibra raggiunge il professionismo senza troppo sforzo, solo ed esclusivamente grazie al suo straordinario ed innato talento. E forse nella realtà è andata proprio così, ma questo crudo realismo abbatte e diseduca il giovane spettatore, annoia quello un filino più cresciuto e, alla fine, non rende giustizia nemmeno a Zlatan, la persona che si nasconde dietro al calciatore.