Dopo il 3-0 rifilato ai croati della Dinamo Zagabria, lo Sheriff Tiraspol non è mai stato così vicino a diventare la prima rappresentante nella fase a gironi di Champions League di uno stato fuorilegge (la Transnistria) e di uno stato del quale non fa davvero parte (la Moldavia).

Al di là del fiume Dnestr, provenendo da occidente, si estende uno stretto lembo di terra autoproclamatosi indipendente dalla Moldavia, all’interno del quale i residenti sono completamente liberi di sottrarsi ai diktat partoriti dalle autorità di Chisinau: un fazzoletto di territorio denominato "Transnistria".
Dotata di una propria autonomia amministrativa e finanziaria, di proprie leggi e regolamenti, di una propria bandiera, di una propria moneta, di un proprio inno, di un proprio parlamento e persino di un proprio esercito, questa repubblica, nota anche come "Repubblica Moldava di Pridniestrov" (PMR), è un vero e proprio stato de facto, ovverosia una nazione a tutti gli effetti, eppure, ciò non di meno, priva di riconoscimento ufficiale, se si escludono quelli effettuati nei suoi confronti dall’Abcasia, dalla Repubblica del Nagorno Karabakh e dall’Ossezia del Sud (anch’essi, Paesi non riconosciuti da alcuno stato al mondo).

Transnistria, un po' di storia

A differenza di quelle tre nazioni "fantasma", però, la storia della Transnistria come entità a sé stante non affonda le proprie radici nei secoli dei secoli, ma è "relativamente" breve.
Per qualche centinaia d'anni, infatti, la regione è stata contesa tra l’impero ottomano e quello russo, finché, nel 1918, il territorio pridnestroviano passò sotto il controllo della Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, che all'epoca faceva parte dell’Unione Sovietica. Questo passaggio di consegne sembrò risolvere definitivamente l'annosa questione relativa alla sua appartenenza politico-amministrativa, ma l'equilibrio raggiunto dopo la rivoluzione d'ottobre non durò a lungo. Lo scenario geo-politico, infatti, mutò nuovamente nel 1924, quando il territorio entrò a far parte della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Moldava, e poi ancora una volta nel 1939, quando, tramite il patto Molotov-Ribbentrop, il terzo Reich concesse all'URSS la possibilità di sottrarre impunemente alla Romania la regione ad ovest del Dnestr, la Bessarabia, e gli permise di accorparla alla Transnistria per formare la Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia.

Dall'occupazione della Bessarabia in poi, datata 1940, le due regioni divennero, quindi, una cosa sola e nemmeno la dissoluzione dell'URSS, cinquant'anni più tardi, separò le loro strade. Quando, infatti, nel 1991 la Repubblica Moldava dichiarò la propria indipendenza dall'Unione Sovietica, le autorità moldave, pur rinnegando il patto del 1939, non scelsero di tornare ai confini anteguerra, ma decisero di confermare quelli che erano derivati dalla conclusione di quel medesimo accordo, ed il motivo fu semplice: non avevano nessuna intenzione di rinunciare a mantenere il controllo sulla Transnistria.
La scelta fu in parte contraddittoria, da un lato perché la popolazione pridnestroviana era prevalentemente russofona e solo per un terzo rumena, dall'altro perché la zona ad oriente del Dnestr non aveva comunque fatto parte della Romania prima della seconda guerra mondiale, eppure fu perfettamente logica se si pensa che all'interno di quel lembo di territorio apparentemente insignificante, chiuso dall'Ucraina ad est e completamente privo di sbocco sul mare, si trovavano (e si trovano tutt'ora) molte delle potenziali risorse economiche del Paese. Risorse che, se fossero finite nelle casse di Chisinau fin dal principio, avrebbero probabilmente evitato che lo stato diventasse ben presto il più povero d'Europa e che, di riflesso, avrebbero migliorato l'odierna condizione della Transnistria stessa (ma questa è tutt'altra storia).
La pacifica convivenza sotto lo stesso tetto non fu possibile, tuttavia, perché i pridnestroviani, per la maggioranza filorussi, nei primi anni novanta avevano il fondato timore che Chisinau desiderasse tornare a far parte della Romania e che la loro regione potesse, di conseguenza, anche per ragioni squisitamente linguistiche, finire per essere relegata ai margini dello stato romeno, in qualità di sua lontana ed estrema periferia. Per questa ragione, e non per motivi di odio razziale, i pridnestroviani osteggiarono fin dal principio qualunque tentativo delle autorità moldave di recarsi in Transnistria.

Moldavia vs. Transnistria, una guerra politica che ha reso tutti più poveri

Alla base dei dissapori tra la Pridnestrovie e la Repubblica Moldava, dunque, non vi era alcun forte astio tra le due rispettive popolazioni, bensì vi erano interessi di natura squisitamente politica, economica e finanziaria.
Fu con l'intenzione di scongiurare l'ipotesi che il proprio territorio potesse venire sfruttato, saccheggiato e depredato delle sue risorse per consentire ad un ristretto manipolo di avidi burocrati di Bucarest di rimpinguare le proprie tasche, che la Pridnestrovie si autoproclamò in fretta e furia indipendente da Chisinau e formò rapidamente una milizia che potesse respingere sul nascere ogni tentativo dei funzionari e delle forze di polizia moldave di oltrepassare il fiume Dnestr.
Per un po', i miliziani della PMR riuscirono effettivamente ad impedire ai moldavi l'accesso in Transnistria e ad evitare che la situazione precipitasse in un sanguinoso conflitto armato, ma alla fine, in seguito all'assassinio di un loro leader, la guerra, latente ormai da qualche mese, non poté che scoppiare. Le ostilità si aprirono il 2 marzo 1992, lo stesso giorno in cui la Repubblica Moldava entrò ufficialmente a far parte dell'ONU, e proseguirono imperterrite fino all'estate seguente.
I combattimenti si conclusero il 21 luglio, ma sorprendentemente non fu l'esercito moldavo ad uscire vittorioso, furono le forze della Pridnestrovie ad uscirne vincitrici. I miliziani difesero i confini della propria repubblica combattendo con caparbietà e determinazione, ma decisivo si rivelò l'aiuto fornitogli dalla "madre" Russia. L'argine orientale del Dnestr, infatti, resistette all'assedio soltanto grazie al prezioso contributo dei soldati russi: un appoggio che il Cremlino non prestò affatto casualmente e che non fu nemmeno motivato da nobili propositi.
A Ribnita, cittadina situata nel nord del Paese, si trovava e si trova tutt'ora, infatti, un gigantesco deposito di armi e munizioni. Gli esperti hanno stimato che la sua esplosione sprigionerebbe una potenza distruttiva superiore alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki messe insieme e che cancellerebbe ogni forma di vita esistente nella regione. Pertanto, se i russi decisero di appoggiare i miliziani della Pridnestrovie, non fu di certo per esprimere la loro solidarietà nei confronti della causa transnistriana, bensì, per il timore di perdere il controllo di questo fondamentale avamposto militare.
Il risultato, all’indomani della pace, mantenuta ancora oggi da un contingente formato principalmente dall'esercito russo e solo in parte dai soldati moldavi e pridnestroviani, è che le economie di entrambi i paesi sono sprofondante in un voragine più profonda di quella che la sola dissoluzione dell’URSS avrebbe scavato e che gran parte del loro dissesto finanziario si sarebbe potuto evitare, se solo le due nazioni avessero deciso di rimanere unite.

Tiraspol, l'ultimo baluardo del comunismo sovietico in Europa

Oggi però, nella capitale della Transnistria, Tiraspol, la vita scorre tranquilla e le persone sembrano non prestare attenzione alle vicende della confinante Moldavia e alla spada di Damocle che pende perennemente sulla loro testa, 115 chilometri più a nord.
Tiraspol è una città d'altri tempi, all'interno della quale i ritmi di lavoro sono lenti, la vita scorre rilassata e si respira un clima profondamente diverso da quello che si può apprezzare ad ovest. Attraversandone gli ampi viali desolati, concepiti per un afflusso di traffico inesistente e adornati da una lunga serie di vessilli sui quali campeggiano ancora, in tutto il loro dorato splendore, la falce e il martello, si potrebbe dire che tutto è rimasto come era quarant'anni fa o che, comunque, pochissimo è cambiato. Il grigio degli aridi blocchi di cemento brutalisti, intervallato soltanto dal rosso e dal verde (i colori della bandiera pridnestroviana), la fa ancora da padrone, mentre sulle strade deserte che tagliano a cubetti i diversi isolati, moderni pullmini dai vetri fumé si alternano, ancora oggi, alle tante autovetture di fabbricazione sovietica rimaste in circolazione (Lada, Žiguli, Moskvich 408, etc.) creando un curioso, quanto netto, importante contrasto.
La Transnistria può anche aver abbracciato il capitalismo, ma le numerose statue di Lenin che decorano la città, sono soltanto una delle tante testimonianze che la repubblica di Pridnestrovie non ha mai davvero rinnegato il proprio amore per la defunta Unione Sovietica, con la quale, anzi, il legame è ancora piuttosto evidente.
Forse, Tiraspol guarda con parecchia nostalgia al passato, perché il futuro in città latita, o per meglio dire, praticamente non esiste.
Nella capitale transnistriana, infatti, ci sono ben poche cose da fare per divertirsi o anche semplicemente per ingannare il tempo, ma soprattutto, mancano del tutto le possibilità di realizzarsi. Molti giovani, per evitare di sbattere la capoccia contro la spessa lastra di vetro invisibile che si infrappone tra le loro aspirazioni e la concreta possibilità di realizzarle, fuggono all’estero per evitare la disoccupazione, mentre i pochi che scelgono di rimanere nel Paese (dove, nel migliore dei casi, quando si studia parecchio e si è intellettualmente dotati, si riesce a strappare un misero stipendio di 250 euro al mese), lo fanno perché sono privi di alternative o perché adorano trascorrere le proprie serate in locali dai nomi suggestivi (quali "Casta" e "Mafia") che la dicono lunga sulla mentalità del posto.
Eh già, c’è tutto a Tiraspol, ma non funziona bene quasi niente (soprattutto ciò che è gestito dal governo), ad eccezione di un paio di cose: il crimine organizzato, che per anni ha finanziato la Pridnestrovie e ne ha consentito la sopravvivenza, ed il club calcistico locale, lo Sheriff Tiraspol.

Lo Sheriff Tiraspol

Lo Sheriff è sorto quasi dal nulla ed è una delle poche realtà sportive (e non) che, al momento, contribuisce a dar lustro alla città.
E’ comparso dall’oggi al domani, nel 1997, e a distanza di quasi venticinque anni, dopo aver superato per 3 a 0 la Dinamo Zagabria nella partita di andata dello scorso turno di playoff, rischia concretamente di diventare contemporaneamente la prima rappresentante nella fase a gironi di Champions League di uno stato del quale non fa parte (la Moldavia) e di un altro di fatto inesistente (la Transnistria), perché, almeno nel calcio, le due repubbliche sono ancora unite (a testimonianza dell'assenza di un vero e proprio astio tra le due popolazioni).
Cosa abbia spinto la proprietà dello Sheriff a finanziare un squadra senza tifosi, però, è ancora oggi un mistero.
Un bel mistero alimentato ulteriormente dall'estremo riserbo che gli alti piani dell'organigramma societario continuano a mantenere nei confronti delle operazioni portate avanti dal club.
Finché si contatta l'ufficio stampa per chiedere informazioni o accrediti, infatti, i suoi funzionari rispondono precisi e puntuali, ma quando si cerca di dialogare coi vertici societari, la corrispondenza mail si interrompe bruscamente, tranciata di netto.
E’ pressoché impossibile per la stampa straniera ottenere la possibilità di intervistare i massimi dirigenti del team, e allora non resta che provare a comprendere il loro piano speculativo (perché di questo si tratta) ricorrendo a semplici ipotesi e congetture.
La prima, è che alla base della decisione di investire ingenti somme nel club si sia posta la volontà della compagnia che lo controlla (più potente delle massime cariche politiche del Paese e già attiva, al di là dello sport, in ogni altro settore economico fondamentale: dal petrolchimico, alla pubblicità, passando per la distribuzione alimentare e l'industria del tabacco) di diversificare ulteriormente i suoi investimenti, ma è più probabile che alla base degli stessi vi siano anche altre ragioni. Anzi, ci devono essere molte altre ragioni.
Riciclaggio? Possibile, ma non vi sono prove. Ciò che è noto, è che la Sheriff LCC, fondata da due ex miliziani della Pridnestrovie (Viktor Gushan e Ilya Kazmaly), nonché ex membri del KGB, è spuntata fuori all'improvviso nel 1993 e che certamente non può essere diventata ricca e potente dalla sera alla mattina, semplicemente prestando la propria assistenza alle famiglie dei veterani delle forze di polizia locali (l'ufficiale scopo "caritatevole" per il quale sarebbe stata fondata).
No, in realtà la Sheriff LCC deve le sue fortune al contrabbando di merci di ogni genere e specie, e questa sua dubbia fama è piuttosto risaputa in città.
Dalle armi, alle sigarette, passando per l'alcool e per i generi alimentari, tramite la compagnia pridnestroviana a Tiraspol è transitato di tutto, sia con la complicità delle autorità politiche del Paese, (soprattutto in passato) legate a Gushan, sia con quella dei tanti funzionari doganali corrotti (secondo rumours, capaci di intascare fino a 100000 dollari al mese per chiudere un occhio sui traffici illeciti delle varie organizzazioni criminali, o per chiuderli entrambi).
Gushan è riuscito a mettere in piedi un enorme (quanto proficuo) giro di contrabbando perché, per tanto tempo, il governo della Pridnestrovie gli ha permesso di non pagare alcun dazio su tutti i beni che ha regolarmente "importato", e perché Tiraspol è un vero e proprio crocevia; un punto di passaggio obbligato tra Chisinau e Odessa, città ucraina situata sul Mar Nero e distante appena 60 chilometri dal confine.
E' stato principalmente sfruttando la "fortunata" posizione geografica della capitale pridnestroviana, nonché la possibilità di portare avanti impunemente varie attività illegali, che la Sheriff LCC ha rapidamente costruito un impero commerciale ed è riuscita a racimolare la disponibilità economica per fare del proprio club calcistico, un vero e proprio fiore all'occhiello della regione.
Certo, non bisogna commettere l’errore di credere che la compagnia e la squadra di calcio siano la stessa cosa, ma è innegabile che La Sheriff LCC non avrebbe mai potuto investire nella sua società sportiva così tanto, se non fosse cresciuta a dismisura ricorrendo al credito generato dal business illecito.
Tanto per fare un esempio, lo stadio dello Sheriff, costruito nel 2002, e l’intero complesso adiacente, comprensivo di strutture ricettive all'avanguardia e di molteplici infrastrutture destinate all’allenamento, sarebbero costati più di 200 milioni di dollari. Per contestualizzare, poco più della metà del budget di cui gode annualmente il governo della stessa Pridnestrovie.
E tra l'altro, mentre tutti gli altri club moldavi (ad eccezione dello Zimbru) erano (e sono) ancora costretti a noleggiare l'impianto di gioco ed i campi d'allenamento dalle municipalità locali, il centro sportivo dello Sheriff veniva costantemente ampliato fino a raggiungere le dimensioni di un sobborgo cittadino e si dotava di numerosi terreni modernissimi, praticabili in tutte le stagioni, in qualunque condizione climatica e/o ambientale.
La ricostruzione più plausibile per spiegare i motivi di questi importanti investimenti e di questa continua espansione vuole che la proprietà fosse inizialmente intenzionata a guadagnare notevoli somme di denaro rivendendo giocatori stranieri cresciuti nel suo centro d'allenamento e affittando proprio questi campi alle società sportive dei paesi dove l'inverno colpisce duro e dura a lungo, ma col passare del tempo è chiaro come questa strategia si sia rivelata fallimentare.
Per qualche anno, infatti, numerosi club dell’ex Unione sovietica, dal passato glorioso e dal presente ancora più luminoso, si recarono effettivamente nella Repubblica pridnestroviana e qualche buona plusvalenza venne anche realizzata (Nel 2004, Odiah fu venduto al Cska Mosca per 1,2 milione di euro, mentre, tre anni più tardi, Cocis passò al Lokomotiv Mosca per una cifra praticamente doppia. Senza dimenticare che Mamah prese la via dello Spartak Vladikavkaz nel 2010 per poco più di un milione e mezzo di euro), poi però lo Sheriff è praticamente diventato vittima di se stesso e dell’egemonia che è riuscito ad instaurare nella Divizia Nationala.
La squadra pridnestroviana si è ben presto guadagnata la posizione di dominatrice incontrastata del campionato di calcio locale (da quando è approdata nella massima divisione moldava, ha conquistato 19 volte su 23 il titolo), e paradossalmente è stata proprio questa sua potenza eccessiva a far sorgere un ambiente poco favorevole per la rivalutazione dei suoi stessi calciatori.
Lo Sheriff ha ucciso la competizione e, con essa, anche molti dei restanti club pridnestroviani: il Tiligul Tiraspol si è sciolto nel 2009, mentre l'FC Tiraspol è sparito nel 2015. Inoltre, le squadre straniere si sono ben presto disinteressate ai suoi giocatori a causa dell’impossibilità di valutare effettivamente la bontà delle loro prestazioni, in un campionato che definire assolutamente non probante, è dire poco.
E così, il club pare sia finito in costante perdita e si sia ridotto a sperare di entrare nell’olimpo del calcio europeo dalla porta principale per tornare a realizzare qualche plusvalenza.
Parecchie volte in passato, il traguardo è sembrato clamorosamente vicino, ma ora sembra davvero ad un passo.

Un piccolo passo per i giocatori dello Sheriff, un grande passo per la Sheriff LCC, i pridnestroviani, gli intrighi di palazzo, la criminalità, Tiraspol e tutta la Transnistria.