Un americano è atteso a Roma nelle prossime ore, l'ennesimo della recente storia giallorossa. 
Dopo gli ex presidenti Thomas Di Benedetto e James Pallotta, nonché l'attuale numero uno della società Dan Friedkin, suo figlio Ryan e l'indimenticabile Michael Bradley (centrocampista transitato nelle fila della “maggica” nelle stagioni 2012-13 e 2013-2014), sbarcherà in giallorosso, positività al Covid19 permettendo, Bryan Reynolds, un giovanissimo terzino destro classe 2001 messosi in luce nel Dallas F.C. (la stessa franchigia della MLS in cui è cresciuto, calcisticamente parlando, Weston McKennie, la mezzala che ha rapidamente stregato la Juventus). Il neo-direttore generale Tiago Pinto ha battuto proprio la concorrenza del club bianconero. I campioni d'Italia desideravano acquistare il talentino americano per poi parcheggiarlo a Benevento o a Cagliari, ma sono stati frenati all'ultimo da inaspettati intoppi burocratici. La Roma, invece, non ha riscontrato gli stessi problemi e così, aggiudicandosi per 7 milioni di euro le prestazioni del giovane texano, ha concluso il suo lungo viaggio di mercato alla ricerca di un terzino destro, posizione solo apparentemente ben coperta da Karsdorp, Bruno Peres e Santon. Il primo infatti, nonostante si sia rivelato una delle note più liete di questo girone d'andata romanista, continua a non convincere del tutto sul piano tecnico. Il suo livello di gioco non è mai stato in linea con quello raggiunto in stagione da altri centrocampisti laterali/terzini destri (da Lazzari a Cuadrado, passando per Calabria) e la sensazione vedendolo all'opera è sempre la medesima: tanto impegno, disponibilità al sacrificio e spirito di abnegazione espresso a favore della squadra, ma quando il gioco si fa duro, la tendenza ad essere determinante principalmente in negativo. Mentre Santon e Bruno Peres (ribattezzato non proprio affettuosamente “Bruno Céres” dai tifosi) non si sono mai rivelati all'altezza del ruolo, in particolare l'italiano. Di qui la decisione di fornire immediatamente Reynolds a disposizione di Fonseca, senza prima concedergli un periodo di ambientamento al calcio nostrano in prestito ad una società minore.

Bryan Reynolds: l'identikit
Nativo di Forth Worth (Texas), città a ovest di Dallas, e quasi omonimo dell'attore canadese Ryan Reynolds, Bryan non assomiglia né al protagonista di “Pokémon, detective Pikachu”, né allo stereotipo del texano tipo: niente stivaletti, cinturone e cappello da cowboy a tesa larga per lui (quantomeno negli scatti pubblicati sul suo account instagram), bensì carnagione scura, viso da ragazzino e capigliatura afro simile a quella già sfoggiata nel corso degli anni settanta da Al Green, il cantante soul di “Call me” e “Let's stay together”. In pratica, Bryan potrebbe fare da controfigura al terzino destro del Liverpool Trent Alexander Arnold, con cui condivide anche la spiccata attitudine offensiva, se non fosse che dall'alto del suo metro e novanta (sito del Dallas F.C. alla mano) lo sovrasta in altezza di ben undici centimetri.

Bryan Reynolds: i punti forti
In ogni caso, il confronto tra i due non reggerebbe neanche dal punto di vista squisitamente tecnico, sebbene il giovane statunitense si sia rivelato molto precoce (stipulò il primo contratto professionistico alla tenera età di 14) e abbia già dimostrato sul campo di possedere interessanti doti di rifinitura, oltre che un piede destro molto educato.  I precisissimi ribaltamenti di lato e le verticalizzazioni alte caratterizzate da un elevato coefficiente di difficoltà, tratti distintivi del terzino britannico, non fanno (ancora) parte del bagaglio tecnico dell'americano, ma i cross e i traversoni bassi sono altrettanto pericolosi e precisi. Inoltre, a dispetto della costituzione fisica e della struttura longilinea (un punto a suo sfavore, a giudizio di molti guru dello scouting moderno), Bryan possiede un'invidiabile frequenza di corsa, una buona rapidità sul breve ed un'ottima coordinazione, qualità che lo rendono anche molto abile nel dribbling.

Bryan Reynolds. i punti deboli
Nel corso dell'ultima stagione la sua valutazione di mercato si è rapidamente impennata, anche perché i 4 assist, fatti registrare in appena 17 presenze, gli sono valsi il triplice premio di “rivelazione dell'anno”, “difensore dell'anno” e “MVP assoluto dell'anno” del Dallas F.C.. Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il suo apporto alla causa della franchigia è stato piuttosto discontinuo. Reynolds si è guadagnato un posto da titolare fisso, sì, ma ha alternato prestazioni molto positive (contro avversari mediocri, a dire la verità) a performance decisamente scialbe e scadenti, inevitabilmente condizionate dai sui punti deboli: la scarsa consapevolezza tattica e la poca solidità difensiva. Soprattutto in relazione a queste mancanze, nonostante la giovanissima età (e gli ampi margini di miglioramento che questa ovviamente gli concede), non è detto che Reynolds, a Roma, riesca a migliorare il proprio gioco, perché la tendenza a voler spingere a tutti i costi sembra essergli innata. Certo è, comunque, che al giorno d'oggi i terzini difensivi accorti e prudenti non vanno più di moda, mentre spopolano quelli estremamente offensivi (vedi Hakimi ed Hernandez), ragion per cui potrebbe non essergli richiesto, in giallorosso, di combattere contro le proprie attitudini.