Domenica scorsa, i tifosi del Legia, stanchi di vedere la propria formazione occupare i bassifondi dell'Ekstraklasa, hanno aggredito fisicamente alcuni componenti della squadra. Un episodio gravissimo, che ha riproposto uno degli interrogativi che da sempre divide il tifo organizzato: i supporters devono sempre rimanere fedeli alla squadra, oppure, in presenza di pessimi risultati, possono legittimamente contestarla, senza per questo venire bollati come pseudo-tifosi?

Andare a vedere una partita di calcio allo stadio Wojska Polskiego, il tempio del Legia Warszawa, è un’esperienza unica per qualsiasi appassionato di calcio. La tifoseria del Legia, infatti, non è solamente tra le più calde d’Europa, è anche tra le più fantasiose dell’intero pianeta. Lo dimostra il fatto che alcune delle più brillanti, controverse e discusse scenografie mai apparse all'interno di un impianto di gioco siano state esposte, proprio, sulle tribune del Wojska Polskiego Stadion. Su tutte, come dimenticare quella in cui i “legionari” (così vengono soprannominati i sostenitori locali), raffigurarono la Uefa come un gigantesco maiale, “because football doesn’t matter, money does”? O quella molto più recente, nella quale scrissero “kneel before his majesty” (inginocchiati di fronte a sua maestà) contando sul fatto che di lì a poco i giocatori del Leicester si sarebbero genuflessi nella loro direzione per esprimere la propria solidarietà nei confronti delle vittime del razzismo? Impossibile, anche per via delle polemiche che ne scaturirono.

Allo stesso tempo, però, recarsi al Wojska Polskiego Stadion per assistere ad un incontro dei padroni di casa non è un'esperienza consigliabile ai deboli di cuore, né a chi soffre di ipersensibilità ai suoni. Durante l’intero arco del match, infatti, la tifoseria organizzata del Legia, munita di pesanti felpe e passamontagna, canta, salta e balla ininterrottamente all’interno della tribuna Żyleta (“il rasoio”), oltrepassando spesso e volentieri il numero massimo di decibel tollerabili dall’udito umano. Ed oltretutto, se è pur vero che negli striscioni i “legionari” eccellono per originalità, non si può certo dire la stessa cosa per i cori, visto che sono sempre gli stessi e si ripetono all'infinito, martoriando ad oltranza le povere orecchie dei fortunati/sfortunati spettatori occasionali. Si va, infatti, dal banalissimo “Legiaaa, Legia Warszawaaaa, Legiaaa, Legia Warszawà”, all'appena poco più articolato “jestesmy zawsze tam, gdzie nasza Legia gra, ale ohoo, ale ohooo” (siam sempre qua, dove il nostro Legia gioca, ale ohoo, ale ohooo) passando, infine, per

tańczymy labada, labada, labada” (balliamo la “labada”, la “labada”, la “labada”), “tańczymy labada małego walczyka, hej!” (balliamo la “labada”, un piccolo valzer, hej)! “Tańczą go kibice, kibice, kibice” (lo ballano i tifosi, i tifosi, i tifosi), “tańczą go kibice Legii Warszawa, hej!” (lo ballano i tifosi del Legia Warszawa, hej!).

Quando parte quest’ultimo coro, decine di sconosciuti si abbracciano e cominciano a zompettare da un lato all’altro della tribuna, facendo letteralmente tremare l’impianto di gioco. Ed il risultato prodotto da tutto questo trambusto è che al triplice fischio finale, oltre ad un pesante mal di testa, ciò che rimane impresso nella mente dello spettatore è soprattutto un immenso groviglio di colori: il bianco, il rosso e il verde, ovverosia, i principali colori sociali del Legia. 

Il loro tricolore è identico a quello italiano ed è ovunque: è sulle sciarpe; è sulle felpe; è sulle magliette. Insomma, è su qualunque capo d’abbigliamento indossato dai “legionari”, e se non c’è, è perché vi è presente una grande “L” nera in sfondo bianco, racchiusa all'interno di un piccolo cerchio, ovviamente, nero anch’esso. Per recarsi al Wojska Polskiego Stadion, i tifosi del Legia non sembrano conoscere indumenti alternativi a quelli ufficialmente messi in commercio dal club, tant’è che chi va a vedere il Legia senza indossarli deve fare attenzione, perché ai loro occhi potrebbe, sì, passare per un semplice curioso, ma anche per un fastidioso nemico, e non è il caso di inimicarsi i tifosi del Legia; soprattutto, perché sanno essere parecchio molesti quando bevono (e guardate che bevono!), figuriamoci quando si trovano di fronte qualcuno che non conoscono, non temono e magari neanche rispettano.  Prendeteli, ad esempio, quando si recano allo stadio sfruttando i trasporti pubblici. Salgono a bordo degli autobus mezzi ubriachi e da quel momento in poi li trasformano in dei veri e propri luoghi di festa, infischiandosene delle rimostranze dei passeggeri a bordo. I “legionari” cantano, ballano e si spostano da un settore all'altro dei filobus come se fossero già nella Żyleta, mettendo a dura prova le deboli sospensioni dei mezzi e, con esse, la pazienza dei malcapitati presenti. Se poi, ad un certo punto del tragitto, qualche tifoso dovesse intonare, come spesso accade, il 

tańczymy labada, labada, labada” (balliamo la “labada”, la “labada”, la “labada”), “tańczymy labada małego walczyka, hej!” (balliamo la “labada”, un piccolo valzer, hej)! “Tańczą go kibice, kibice, kibice” (lo ballano i tifosi, i tifosi, i tifosi), “tańczą go kibice Legii Warszawa, hej!” (lo ballano i tifosi del Legia Warszawa, hej!).

Auguri! Per i poveri passeggeri sarebbe la fine. L'intero pullman inizierebbe a tremare e tutti i trasportati verrebbero inghiottiti nel medesimo vortice di colori che ingoia qualunque persona che ha la fortuna di vedere il Legia dal vivo: un groviglio bianco, rosso e verde, in questo caso, un groviglio di colori da incubo.

Meglio, dunque, non trovarsi faccia a faccia con i “legionari”; e meglio ancora, non condividere con loro alcun mezzo di trasporto, specialmente quando sono infuriati. L'hanno capito anche gli stessi giocatori “bianco-rosso-verdi” quando, la scorsa domenica, un manipolo di loro sostenitori, molto delusi per la nona sconfitta rimediata dalla squadra nelle precedenti dieci partite di Ekstraklasa, ha fatto irruzione a bordo del pullman con il quale stavano rientrando nel nuovissimo centro sportivo di Książenice. Più di tutti, l'hanno compreso tre dei tanti stranieri che sono arrivati a rinforzare i campioni di Polonia nelle ultime stagioni: Luquinhas, Emreli e Rafael Lopes. Sono stati loro, infatti, i calciatori maggiormente presi di mira dagli inferociti ultras “bianco-rosso-verdi” nel corso del “bollente” post-partita di Wisła Płock – Legia Warszawa, terminata per 1 a 0 in favore dei padroni di casa. I “legionari” li hanno dapprima insultati e poi ripetutamente colpiti alla testa. Un episodio gravissimo che la società ha condannato con colpevole ritardo e che ora rischia di scontare anche a livello economico, visto che Emreli e Luquinhas, due delle tre vittime dell'attacco, non solo sono finiti in ospedale per i colpi ricevuti, ma hanno pure deciso di verificare coi loro legali rappresentanti se sussistono gli estremi per ottenere la risoluzione anticipata del loro contratto col club (per questo motivo e per le ferite riportate, tra l'altro, entrambi non figuravano tra i convocati per il recupero della terza giornata di Ekstraklasa andato in scena lo scorso mercoledì).

Proprio nel match di mercoledì sera, tuttavia, imponendosi per 4 a 0 sullo Zagłebie Lubin, il Legia ha avuto una forte reazione d'orgoglio che ha alimentato i precedenti sospetti di scarso impegno nutriti da una buona parte dei suoi sostenitori e ha finito per spaccare in due il suo tifo organizzato. Sono nate due fazioni contrapposte all'interno dei “legionari”; due frangie molto diverse tra loro per il loro modo di concepire il tifo. Da un lato, è nata la cosiddetta “vecchia scuola”, uno schieramento che, forte del clamoroso impatto che l'aggressione ha avuto su Rafael Lopes (doppietta per lui contro il Lubin) e sul resto della formazione, ha pienamente avallato l'accaduto. Dall'altro, è sorta una fazione più moderna e progressista che ha fortemente condannato le violenze commesse ai danni di Luquinhas, Emreli e Rafael Lopes e ha bollato come pseudo-supporters tutti coloro che le hanno commesse, sostenenendo che un vero tifoso sostiene sempre e comunque la propria squadra, indipendentemente dai risultati che essa consegue.

Insomma, all'interno del tifo organizzato del Legia si sono riproposti alcuni degli interrogativi che, da sempre, dividono gli ultras di tutto il mondo, ovverosia: sono legittime le contestazioni di massa, le proteste collettive che la contemporanea epoca del “politically correct a tutti i costi” sta definitivamente mettendo al bando, oppure non possono e non devono essere in alcun modo tollerate? Ed i supporters profondamente delusi dai risultati della propria squadra devono sempre e comunque rimanerle fedeli, o in presenza di prestazioni clamorosamente sotto le aspettative, possono legittimamente contestarla, senza per questo venire a loro volta bollati come pseudo-tifosi?

Ebbene, premesso che le manifestazioni di protesta che sfociano nella violenza fisica non possono essere mai scusate, né giustificate, e che i tifosi non hanno nessun diritto di pretendere che la propria squadra del cuore renda in conformità alle loro aspettative, non si può non riconoscere in capo ai calciatori la responsabilità di soddisfare il pubblico, né si può negare, anche alla luce del caso in questione, quanto possano rivelarsi utili certe pesanti lavate di capo in determinati contesti. Contesti come la crisi senza precedenti che ha colpito il Legia a partire dallo scorso ottobre. Una crisi assolutamente impronosticabile dopo le due vittorie consecutive che la squadra era stata in grado di ottenere ai danni del Leicester e dello Spartak Mosca nelle prime due partite valide per il girone C di Europa League (quello in cui era inserito anche il Napoli). 

Il Legia stava occupando l'ultimo posto in classifica, nonostante potesse contare sulla rosa migliore di Ekstraklasa, perché i suoi giocatori non si stavano impegnando a sufficienza, questa è la verita. I calciatori stavano dando il 50%, o al massimo il 60%, del loro potenziale. Correvano svogliatamente da una parte all'altra del campo fregandosene degli spettatori paganti, anzi, mancando loro di rispetto: un atteggiamento inaccettabile da parte di un gruppetto di privilegiati professionisti, soprattutto in un momento socialmente così difficile come quello attuale. Da questo punto di vista, ha ragione l'”old school”, un atto dimostrativo andava compiuto. Spiace solo che i “legionari” della vecchia scuola abbiano decisamente sbagliato i modi, perché ai calciatori deve pur sempre essere riconosciuta la possibilità di commettere errori senza che da essi derivino ripercussioni extra-professionali e tantomeno fisiche. Non sussiste, infatti, né il diritto, né il bisogno di compiere violenze ai danni di una squadra per spronarla a dare il 100% per la maglia. Bastano manifestazioni originali e pacifiche per far giungere a destinazione il messaggio. Nel caso del Legia, sarebbe bastato che i suoi tifosi avessero continuato a martoriare le orecchie dei propri calciatori (per farli sentire in colpa) cantando ancor più forte:

tańczymy labada, labada, labada” (balliamo la “labada”, la “labada”, la “labada”), “tańczymy labada małego walczyka, hej!” (balliamo la “labada”, un piccolo valzer, hej)! “Tańczą go kibice, kibice, kibice” (lo ballano i tifosi, i tifosi, i tifosi), “tańczą go kibice Legii Warszawa, hej!” (lo ballano i tifosi del Legia Warszawa, hej!).

#No alla violenza nel calcio, sì al diritto dei tifosi di esternare il proprio disappunto in maniera creativa e pacifica nei confronti delle società sportive, senza per questo venire bollati come pseudo-supporters: come sempre, “in medio stat virtus”.