Con il fallimento della Superlega si è persa una buona occasione per migliorare il calcio. No, non sto scherzando e no, state tranquilli, non sono improvvisamente andato giù di testa. Sono sempre io, Carloiannac, l’inguaribile romantico che ha nostalgia di un calcio diverso, meno orientato al business, più governato dal sentimento. Un calcio che ormai non esiste più (e di certo non a causa della Superlega, bensì in larga parte per opera della FIFA e dell’UEFA). Dico che si è persa una grande opportunità perché, semplicemente, non è stato esaminato a fondo l'impatto che l’introduzione di questa nuova competizione avrebbe avuto sull’intero sistema calcistico europeo. O, per essere più precisi, e per non essere frainteso (d’altronde quando si parla di Superlega il malinteso è sempre dietro l’angolo), non sono stati debitamente approfonditi gli aspetti positivi insiti in parte della sua innovativa, quanto semplice, formula. Si è preferito volgere l'attenzione altrove. Ci si è concentrati su altro, sui vari errori strategici e di comunicazione commessi dai 12 club fondatori, ed è un vero peccato.

E' un peccato perché il format della fase finale della Superlega possedeva una potenzialità immensa. L’introduzione di due grandi gironi da 10 squadre destinate ad affrontarsi sia in casa che in trasferta (in vista, ovviamente, della consueta, inalterata fase ad eliminazione diretta) avrebbe soddisfatto praticamente tutti. Avrebbe garantito ai tifosi più occasioni per poter ammirare da vicino la propria squadra del cuore, avrebbe fornito ai telespettatori, anche a quelli meno coinvolti, la possibilità di godere di un numero più alto di match dall’elevato grado di spettacolarità ed avrebbe concesso ai club chiamati a parteciparvi un’ulteriore chance di moltiplicare le proprie fonti di guadagno. 
In primo luogo, infatti, le squadre partecipanti alla Superlega avrebbero giocato, nel peggiore dei casi, 18 partite internazionali a stagione (contro le misere 6 garantite dall’attuale formula della fase finale della Uefa Champions League) e 9 di queste le avrebbero giocate in casa (per la felicità del pubblico amico, ma anche per la gioia del botteghino).
In secondo luogo, il maggior numero di partite di qualità promesso dalla Superlega avrebbe conferito ai suoi membri fondatori maggior potere contrattuale nelle trattative volte alla cessione dei diritti tv (negoziazioni che, tra l’altro, sarebbero avvenute senza l’intermediazione della Uefa, che oggi incamera il 6,5% delle cifre versategli dai broadcast. Per intenderci, circa 190 milioni di euro l’anno). Infine, le somme ricavate dall’accordo per la cessione di questi diritti sarebbero state redistribuite tra meno concorrenti, 20 e non più 32.
Certo, dall’introduzione della Superlega ne sarebbero usciti fortemente penalizzati quei 12 club che con l’attuale formula della Uefa Champions League usufruiscono ogni anno della possibilità di competere con squadre ben più forti di loro (e in merito a questo dovremmo chiederci se continuare a consentirgli di partecipare al posto di formazioni tecnicamente ben più attrezzate sia giusto), ma per il resto ne avrebbero guadagnato tutti, ma proprio tutti. Ne avrebbero guadagnato persino le squadre destinate, con tutta probabilità, a non farne mai parte, perché comunque anch’esse avrebbero indirettamente beneficiato della maggior solidità finanziaria che i 15 (12+3) fondatori della nuova competizione avrebbero acquisito tramite il colossale finanziamento di 3,5 miliardi di euro promesso loro da JP Morgan.

Invece, il progetto non si farà mai e sapete perché? Perché ancora una volta, l’ingordigia e l’avidità degli esseri umani hanno avuto la meglio sulla solidarietà e sull’altruismo e hanno trasformato una buona idea in un totale abominio. I promotori dell’iniziativa infatti (Florentino Perez e Andrea Agnelli su tutti), hanno deciso di non accontentarsi della prospettiva di risanare i propri bilanci attraverso le somme promesse loro dall’istituto bancario americano, si sono voluti spingere oltre. Hanno voluto trasformare la Superlega in una pagliacciata all’americana. Si sono auto-assegnati lo status di membro permanente della competizione e hanno stabilito che soltanto 5 altre squadre potessero accedervi, di stagione in stagione, sulla base del piazzamento conseguito nei rispettivi campionati nazionali, o peggio ancora, sulla base del più alto grado di popolarità raggiunto tra i tifosi. Ed è stato proprio questo a mandare tutto a rotoli e a vanificare ogni possibilità che questo, altrimenti molto valido, format potesse entrare in vigore.
Ed è un vero peccato che non si siano accontentati, perché chi si accontenta gode e perché probabilmente avremmo goduto con loro anche noi.