Dopo novanta giorni di stop il calcio è tornato a essere il protagonista del weekend. Perlomeno in Germania, dove la Bundesliga (in attesa del resto delle competizioni) ha provato a regalarci un piccolo assaggio di normalità. Anche se nel nuovo “calcio 2.0” assolutamente nulla è sembrato essere normale.

Tutti gli occhi puntati sulla Germania

All’appuntamento, fissato per le 15.30 si è presentato tutto il mondo calcistico. E forse è anche per questo, come sostiene il vecchio detto “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, che la Bundesliga ha deciso di ripartire mentre Premier League, Liga e Serie A non potevano far altro che rimanere a guardare. I tedeschi, invece di perdersi in inutili battibecchi e giochi di potere (vero Ministro Spadafora?) si sono rimboccati le maniche e quando la situazione dei contagiati è iniziata a stabilizzarsi, è stato ideato un piano per far ripartire il calcio.
Il cosiddetto “modello tedesco”, a differenza di quello nostrano ancora in discussione della FIGC, prevede una quarantena particolare per le squadre di club in caso di un membro dello staff o calciatore positivo al COVID-19. Mentre da noi, l’attuale protocollo ancora al vaglio, prevedrebbe una quarantena di quindici giorni per tutto il gruppo, in Germania l’unico a rintanarsi in quarantena sarebbe il giocatore stesso, per un periodo di dieci giorni. Una differenza netta, che ha per ora spostato l’ago della bilancia verso il sì, consentendo alla Germania di tornare a tirare calci ad un pallone.
Ma quello di sabato 16 maggio non è stato un normale pomeriggio di pallone. Anzi, per certi versi, forse non è stato neanche calcio. I giocatori sono scesi in campo visibilmente spaventati, tanto che nonostante la contemporaneità di ben cinque campi, la prima emozione calcistica post – è forse prematuro parlare di un post COVID-19? – epidemia è arrivata dopo ben trenta minuti, quando il giovane prodigio Erling Haaland ha ripreso da dove aveva lasciato, ovvero da un goal. E se per un attimo quel pallone consegnato alle spalle di Schubert ci ha regalato un improvviso ritorno alla normalità, l’esultanza dell’autore di quel gesto, a distanza di sicurezza con i propri compagni – mentre un attimo prima si strattonavano per il possesso della palla come se non ci fosse un domani – ci ha subito riportato alla triste realtà.

Un calcio all’ipocrisia

Vedere Haaland esultare a distanza di sicurezza dai propri compagni, non è però stata l’unica scena ipocrita di questo “primo” sabato calcistico. Sempre nel primo tempo infatti, un giocatore dell’Hoffenaim, dopo aver divorato un’occasione clamorosa sullo zero a zero, ha espresso tutta la sua frustrazione abbracciando il palo della porta avversaria. Ovviamente – è nostra premura sottolinearlo – senza guanti, un gesto assolutamente vietato in un calcio dove il contatto fisico con compagni, avversari e oggetti in campo dovrebbe essere ridotto al minimo. La celebre scena di Paul Gascoigne che ammonisce l’arbitro raccogliendo da terra il cartellino giallo, oggi sarebbe vista come un possibile vettore di contagio. Molto simbolica è stata anche l’immagine dei giocatori del Friburgo, che per festeggiare la rete di Manuel Gulde al 34° minuto si sono scambiati un “cinque di gomito”, mentre a servire la cosiddetta ciliegina sulla torta è stata la presenza di una scala dell’aeroporto (sì, avete letto bene), per permettere ai giocatori e ai membri dello staff di sedere in tribuna, rispettando così il distanziamento sociale. Che poi in campo sarebbero venuti ugualmente a contatto tra di loro è a quanto pare, solo un dettaglio.

Tutto ciò dovrebbe far riflettere: quello che abbiamo vissuto oggi non è stato un ritorno al calcio giocato, ma un inizio di un calcio che al netto dei risultati, dei goal segnati e di quelli subiti, calcio non è.
Alcuni diranno che la Germania ci ha mostrato la via per portare a termine la stagione calcistica; vero. Ma siamo davvero cosi sicuri di voler intraprendere una strada piena di ossimori?