Quando pensiamo alla Lazio in chiave nostalgica, ai più viene subito in mente “quella” Lazio di Sven-Goran Eriksson sulla panchina e degli undici (ma non solo) campioni in campo. Ma c’è una Lazio, un po’ più retrodatata di quella del 99’-00’, che tricolore a parte, è ricordata con una vagonata di nostalgia. Perché se quella di Eriksson è ricordata come la Lazio che fu, quella di Dino Zoff è invece ricordata come la Lazio che non fu.

Il potenziale inespresso

A guardarla sulla pagina di Wikipedia, o nel migliore dei casi su quella di un vecchio almanacco sportivo, la Lazio 1993-1994 sembrerebbe essere una squadra come tante, anzi, una Lazio come tante. Il quarto posto in classifica, valso la qualificazione all’Euro Cup, omonimo dell’attuale Europa League, assomiglia moltissimo a quello ambito dall’attuale Simone Inzaghi; ma le analogie non si limitano solo alla classifica. Cosi come quella di Inzaghi nella passata stagione, anche la Lazio di Zoff, Gascoigne e Winter avrebbe potuto vincere lo scudetto. A frenare Immobile è stato il Covid-19; a fermare la Lazio di Signori fu invece la sfortuna.

L’ago della bilancia di quella stagione, sia nel bene che nel male, fu ovviamente Paul Gascoigne, arrivato a Roma nell’estate del 1991, nonostante il terribile infortunio rimediato nella finale di FA CUP del 18 maggio 1991. Dopo un lungo periodo di riabilitazione, Gascoigne esordì con la maglia biancoceleste nella stagione successiva, il 27 novembre 1992, ma la conferma definitiva arrivò nella stagione 93’-94’, prima di infortunarsi di nuovo.

Con Luca Marchegiani tra i pali, Bacci terzino destro, Cravero nel ruolo di libero, Negro al centro della difesa e Favalli a destra; Fuser ala destra, Di Matteo e Winter in mediana e Paul Gascoigne sulla fascia destra; Boksic (arrivato nel mercato di gennaio) e Giuseppe Signori, la Lazio di Zoff, per gran parte della stagione sembrò davvero in grado di poter contendere lo scudetto al Milan di Fabio Capello. Dopo un avvio di campionato fatto di alti e bassi, la svolta arrivò il 12 dicembre, quando allo Stadio Olimpico, il ritorno in campo di Gascoigne dall’infortunio coincise con una stupenda vittoria sulla Juventus di Giovanni Trapattoni. A quella vittoria seguirono altri importanti risultati, come la vittoria sull’Inter a San Siro il 6 febbraio e quella nel derby di marzo, con la data sul calendario che segnava sempre il numero 6. Fino alla fine la Lazio era lì, attaccata alle due strapotenze del campionato; i tifosi sognavano, ma poi la sfortuna decise di giocare un bruttissimo scherzo.

Il passaggio di consegne

Il 7 aprile 1994 Dino Zoff stava dirigendo i suoi in un classico allenamento in quel di Formello, prima di affrontare in campionato l’Atalanta. Allenamento a cui da un po’ di tempo aveva iniziato a partecipare anche un giovane ragazzo della Primavera, di ruolo difensore centrale. Il suo nome? Alessandro Nesta. Se ne era iniziato a dire un gran bene, ma in quel pomeriggio passò alla storia per ben altri motivi. In un contrasto di gioco Paul Gascoigne si lanciò sulla palla con molta foga, a cui Nesta rispose con la stessa moneta: seguirono momenti davvero pieni di tensione, con Gascoigne a terra, urlante, e con le mani sulla gamba. Sì, quella gamba, la stessa che si toccò con le lacrime agli occhi nella finale di FA CUP, quando ancora vestiva la maglia del Totthenam. Sul Giornale (edizione di Roma) del giorno seguente, Dino Zoff dichiarerà che quella sia stata “la tegola più pesante dell’anno”. E infatti costerà lo scudetto.

Fattore nostalgia

Ma a rendere quella Lazio così nostalgica non fu solamente lo scudetto mancato. In una Serie A che in caso di vittoria prevedeva in premio due punti e non i soliti tre, a rendere quella Lazio “immortale” furono appunto le giocate di Gascoigne, a cui dobbiamo aggiungere le goliardiche gesta fuori dal campo; le stupende maglie e tute di rappresentanza targate Umbro, che rappresentano oggi terreno di caccia per collezionisti sfegatati, e i goal di Boksic, un altro talento cristallino che forse, è riuscito a esprimere solo una piccolissima parte del suo sconfinato talento. E chissà come sarebbe andata quella stagione, se solo un Nesta appena maggiorenne non fosse entrato in contrasto su Gascoigne.