Quando si pensa ai calciatori brasiliani che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del calcio mondiale, inevitabilmente vengono fuori i nomi di gente come Ronaldinho, Ronaldo, Romario, Rivaldo. Tra i nomi che invece passano immeritatamente inosservati, c’è spesso quello di un giocatore che ha rivoluzionato il ruolo del trequartista: stiamo parlando di Ricardo Izecson dos Santos Leite, meglio conosciuto come Kakà.

Dinamico, rapido e leggero
Ricardo Izecson dos Santos Leite, cresciuto calcisticamente nel San Paolo, approdò nel calcio che conta nel lontano 2003, grazie al trasferimento che lo portò a vestire la maglia del Milan. L’allora dirigente sportivo della società rossonera, Adriano Galliani, riuscì a strappare la firma del giocatore garantendo al club brasiliano la cifra di 8,5 milioni di euro. Una cifra importante nel 2003, irrisoria invece con le attuali valutazioni di mercato. Con la maglia del Milan, Kakà, il cui soprannome nacque grazie a suo fratello Digão, conquistò uno scudetto, due Supercoppe Uefa, una Champions League e un Mondiale per club. La sua importanza nel calcio italiano però, aldilà di un palmares di tutto rispetto, è riconosciuta per aver letteralmente reinventato il ruolo del trequartista. Il primo segnale di aver pescato un vero e proprio diamante arrivò un mese dopo l’esordio, quando Kakà firmò la rete del due a zero nel derby contro i rivali interisti: assist di Gattuso a premiare l’inserimento di un giovanissimo Kakà che di testa, mise la firma sul goal del due a zero.
Quell’occasione però, oltre a decidere un derby che poi il Milan vinse con il risultato di 1-3, consegnò agli occhi della Serie A un’esultanza tanto bella quanto genuina: quella delle dita al cielo, che Kakà mostrerà dopo ogni rete per ringraziare dio, responsabile di avergli (secondo lui) salvato la vita dopo un’incidente in piscina che per poco non gli avrebbe causato una paralisi. Alla sua prima stagione con la maglia rossonera, per Kakà saranno solo gioie: grazie alle dieci reti messe a segno, il Milan conquistò lo scudetto, fermandosi in Champions League ai quarti di finale, per mano del Deportivo La Coruna. Ma è alla sua seconda stagione in Serie A che Ricardo Izecson dos Santos Leite diventò adulto.

Il dramma di Liverpool
Si dice che le sofferenze aiutino a crescere. A far crescere e maturare – perlomeno in senso calcistico – Kakà fu il “dramma di Liverpool”: dopo 7 reti in campionato e un percorso in Champions League praticamente perfetto, il 25 maggio 2005 il Milan si ritrovò a giocare, nello stadio Olimpico di Atatürk, la finale della 50° edizione della Champions League, contro il Liverpool. Nei giorni precedenti alla partita, tutti i pronostici erano a favore dei rossoneri, che con ogni probabilità avrebbero alzato al cielo un altro trofeo europeo, il primo per Kakà. Ma quella sera qualcosa andò storto, anche se tutto sembrasse girare a favore dei milanisti: al primo minuto il goal di Maldini mise la partita in discesa, e al 38° Crespo firmò il raddoppio, regalando appena cinque minuti dopo, il colpo di grazia del tre a zero. Il Liverpool, dopo appena quarantacinque minuti di gioco sembrava completamente distrutto, annientato.
Ma nel secondo tempo successe qualcosa che ha portato “quella finale” nella storia. Gerrard al 54°, Smicer appena due minuti dopo, e poi Xabi Alonso a trenta minuti dalla fine. Tre a tre e giochi incredibilmente riaperti. Come finì quella partita è poi storia: si andò ai calci di rigore e gli errori di Serginho, Pirlo e Andrij Ševčenko, nonostante le reti dal dischetto di Kakà e Tomasson, consegnarono la coppa con le orecchie ai reds. Una coppa che dopo i primi quarantacinque minuti era già nelle salde mani del Milan. Da quel giorno “quel Milan” non fu più lo stesso di sempre.

L’esplosione
Dopo la bruttissima delusione di Istanbul, Kakà entrò definitivamente nell’olimpo del calcio, passando dalla porta principale. Ad annunciarci tale esplosione definitiva fu un giorno di settembre, il 13 settembre 2005, per essere precisi. A San Siro il Milan affrontava il Fenerbahce, per la prima partita della fase a gironi della Champions League 2005-2006: a sbloccare la partita è proprio Kakà, che dopo l’assist su colpo di tacco di Pirlo, e un movimento a eludere il marcatore, consegnò la palla in fondo alla rete, a filo d’erba sul secondo palo. Al goal del vantaggio milanista, rispose il calcio di rigore di Alex, consegnando agli ospiti un momentaneo e immeritato pareggio. Ma i turchi del Fenerbahce, che a Milano portarono il ricordo di quella giornata di maggio all’epoca ancora cosi vicina, non avevano fatto i conti con il talento di Kakà. A pochi minuti dalla fine, il fantasista brasiliano ricevette palla da Ambrosini all’altezza del cerchio di centrocampo; saltò il primo marcatore intervenuto in scivolata, illuse il secondo, si avviò all’interno dell’area saltando anche l’ultimo difensore, e poi concluse a rete. Due a uno per i rossoneri, che poi a un minuto dalla fine chiuderanno i giochi con la rete del 3-1. I numeri mostrati sul campo dal Milan furono “rivalutati” dallo scandalo di calciopoli, che spedì la Juventus in Serie B, condannò il Milan a trenta punti di penalizzazione e consegnò il tricolore all’Inter, terzo in classifica. In Champions League non arrivò il riscatto sperato: la squadra si fermò in semifinale, per mano del Barcellona. Ma quella stagione sarà ricordata per aver visto l’esplosione definitiva di uno dei trequartisti più forti degli ultimi anni.

I goal importanti
Nella stagione 2006-2007, quella della consapevolezza dei propri mezzi, Kakà segnò moltissimi goal pesanti: decisivo negli ottavi di finale di Champions League con un goal nei supplementari nella partita di ritorno contro il Celtic, si ripetette anche nei quarti contro il Bayern Monaco e in semifinale contro il Manchester United, portando la sua squadra alla vera e propria “prova del nove”: un’altra finale di Champions League contro il Liverpool, stavolta ad Atene, in Grecia. Dove il Milan e Kakà stavolta non falliranno l’appuntamento con la coppa dalle orecchie.

L’addio che non è stato davvero addio
Quella di Kakà e il mondo del Milan è stata una storia d’amore davvero intensa. E come tutte le storie d’amore, ad un certo punto, proprio sul più bello, ecco che qualcuno iniziò a parlare di rottura. Quel qualcuno furono gli insider di mercato, che giorno dopo giorno, raccontarono di offerte provenienti da ogni dove: Manchester City, Barcellona, Liverpool, Chelsea, insomma, tutti i maggiori club europei, avrebbero fatto follie per il talento di Kakà. Quel Kakà che con la maglia rossonera era letteralmente diventato un uomo, per nessun motivo al mondo si sarebbe separato da quella maglia e dai suoi tifosi, capaci di amarlo e coccolarlo come se fosse un figlio. Fin quando però, alle porte del Milan si presentò il Real Madrid di Florentino Perez, che sul piatto portò la bellezza di ben 67 milioni di euro. Una cifra che convinse il Milan ad accettare l’offerta.

La delusione Real(e)
Quella di Ricardo Izecson dos Santos Leite al Real Madrid, è la storia di un qualcosa che non andò come tutti si aspettassero che andasse. La verità però, è che la colpa non fu soltanto del giocatore, ma di tutti quanti: dirigenza, allenatore, staff tecnico, compagni, insomma, la presenza di Kakà all’interno di quello spogliatoio, è stata e sarà sempre vista come qualcosa di superfluo, un’aggiunta extra di cui nessuno ne aveva finora sentito il bisogno. Mentre però il giocatore iniziava a programmare un futuro decisamente ben diverso. Possiamo provare a immaginarlo, quel Kakà in viaggio da Milano per raggiungere Madrid: andare a giocare per il Real Madrid vuol dire aver convinto il mondo intero di essere un fenomeno, ma non si tratta di un punto di arrivo, bensì di un punto di partenza. Ed è stata proprio questa la rovina di un talento come Kakà. Nonostante il trasferimento fosse arrivato nel pieno della sua carriera, l’esperienza al Real Madrid si è rivelata un punto di arrivo, una passerella per un campione sbocciato, maturato, ma mai definitivamente consacrato davvero nell’olimpo degli “immortali”, nonostante il titolo di un pallone d’oro.

Il ritorno a casa
Pur essendo nato in Brasile, la vera casa calcistica di Kakà è e rimarrà per sempre Milano. Proprio per questo motivo, nei primi giorni di settembre 2013, in accordo con i Blancos e con Adriano Galliani, Kakà firmò il suo ritorno in rossonero, dopo quattro anni lontano da Milano. Un vero e proprio gesto d’amore che il giocatore ricambiò appena due settimane dopo, quando dopo aver riscontrato una lesione all’adduttore sinistro, rinunciò al suo stipendio per tutto il periodo dell’infortunio. Nonostante questo amore reciproco però, la carriera di Kakà non si è chiusa “nel suo Milan”: il 30 giugno 2014, dopo aver rescisso consensualmente con la società rossonera, annunciò la firma con gli Orlando City, franchigia della MLS, passando prima in prestito al San Paolo, per circa cinque mesi, chiudendo poi la sua carriera calcistica negli Stati Uniti, il 17 dicembre 2017.