Proprio come quasi la totalità di tutti i settori, anche il mondo del calcio sta subendo, per via della pandemia dovuta al COVID-19, un periodo di grande difficoltà. I campionati sono infatti ormai fermi da quasi tre mesi e Francia, Olanda e Belgio a parte (che hanno già dichiarato chiusa l’attuale stagione), per Italia, Inghilterra, Spagna e Germania, ripartire si fa giorno dopo giorno sempre più difficile.
A risentirne sono ovviamente le stesse federazioni delle rispettive competizioni, oltre alla Fifa, che ovviamente sta facendo letteralmente di tutto per provare a portare a termine la stagione calcistica.
C’è però un settore che più di tutti gli altri basa il proprio ecosistema su quello del calcio (e dello sport in generale) e che con questi vari stop, pur di provare a sopravvivere, si è rapidamente spostato fuori dall’Europa, per approdare, ad esser pignoli, in Nicaragua e in Bielorussia. Quello in questione, se ancora non si era capito, è il mondo delle scommesse, che nel piccolo paese dell’America Centrale ha trovato quella che con ogni probabilità potrebbe essere la sua ultima spiaggia.

I numeri
In sostanza, il problema dei bookmakers, ovvero le società che consentono a ludopatici e giocatori occasionali di scommettere, hanno visto ridurre le proprie entrate in concomitanza dello stop dei campionati di calcio.
Il primo campanello d’allarme è arrivato dallo stop della Serie A, e in poco tempo la situazione è precipitata a picco: a chiudere i battenti sono stati infatti anche la Premier League, la Bundesliga, e la Liga, le competizioni più “scommesse” dagli appassionati del settore. Inizialmente i bookmakers hanno iniziato a “tenere botta” grazie ai campionati minori (la Serie B ad esempio, ha giocato un turno in più rispetto alla Serie A) e agli altri sport; un tentativo che però, complice anche lo stop della NBA lo scorso 10 marzo, si è rivelato completamente inutile. Secondo i dati elaborati da Agipronews, l’agenzia di stampa per giochi d’azzardo e scommesse, nel mese di marzo 2020 si è registrato un calo del 73% per quanto riguarda le scommesse effettuate in agenzia; per quelle effettuate online invece, il calo si assesta attorno al 42%.
Quella dello scorso 10 marzo è da considerarsi come la data dell’ultimo evento sportivo degno di questo nome che i “book” abbiano potuto quotare. Da allora infatti i palinsesti settimanali sono stati riempiti esclusivamente da competizioni di fama davvero poco rilevante: dal campionato nicaraguense, fino alle competizioni del tennis da tavolo, meglio conosciuto come ping-pong. Se poi queste statistiche non siano ancora riuscite a far capire la gravità della crisi che sta improvvisamente affrontando un settore che finora di rallentare non ne aveva mai sentito parlare, ecco un altro dato davvero simbolico: il 31 marzo scorso sarà ricordato come “il giorno zero del calcio scommesse”. Già, perchè a distanza di ben trentotto anni dall’ultima volta, non è stato possibile scommettere su di una partita di calcio.

Non tutto il male viene per nuocere
Giocare un evento di cui si conoscono i probabili andamenti è un conto; giocare su di un evento di cui si conoscono appena i nomi delle squadre (e nella maggior parte dei casi neanche quelli) è un altro. Se per una partita di Premier League, Liga o Serie A, gli scommettitori godono di un buon margine utile a indovinarne il pronostico, scommettere su Sagadam-Kopetdag Asgabat (ndr, terminata uno a zero a favore dei padroni di casa) sarebbe come scegliere a scatola chiusa, con grande soddisfazione del banco, che aumenta a dismisura le probabilità di vittoria. D’altronde, quello del gioco è un vizio che non dispone di mezze misure: o si gioca saltuariamente, magari in compagnia degli amici, e quindi in questa situazione, in assenza di campionati, ci si riesce a tenere alla larga in maniera molto facile, o ne si è dipendenti. A tal punto che tra la Serie A, la Premier League e quei campionati con i nomi delle squadre davvero impronunciabili, inizia a non esserci più alcuna differenza. Il tutto con la carta di credito in costante saldo negativo.
Se da una parte questa situazione ha dunque finito per mettere alle corde i bookmakers di tutto il mondo, ha anche contribuito a peggiorare la situazione dei ludopatici, ancora una volta abbandonati a se stessi. E se dover fermare i campionati fino al prossimo settembre rappresentasse il prezzo da pagare pur di veder sparire alcune di queste agenzie, allora che stop sia.
Perché a giovarne, oltre che le persone affette da questa subdola malattia, sarebbe anche l’intero sistema calcistico, italiano e non.