Ancora poche ore e il controverso mondiale in Qatar aprirà i battenti.
Adesso i miei bimbi, pure loro avviati a una carriera di calciofili televisivi, torneranno ad incalzarmi con la stessa domanda che da qualche tempo ripropongono regolarmente: “Papà, ma l’Italia?”
Spiegar loro le complesse premesse che hanno privato la nostra nazionale degli ultimi due mondiali è un rompicapo arduo ma intrigante, che proverò a risolvere in queste righe. Magari riservandomi di girare a loro, i bimbi interroganti, una versione più snella e comprensibile di questa mia analisi.

Già, poiché per motivare ai miei piccoli calciatori (e a tanti under 10) perché la loro generazione di fatto non ha mai visto l’Italia ai mondiali, bisogna alzare necessariamente lo sguardo oltre le recenti contingenze (vedi la Spagna nel girone di qualificazione a Russia 2018, o i rigori sbagliati da Jorginho contro la Svizzera, che ci hanno spinti alla trappola con la Macedonia).
Osservare il calcio da tanti anni, con un corposo database di mutamenti accumulato, mi costringe innanzitutto ad ammettere come il lento e inesorabile declino tecnico dei nostri campionati professionistici sia tremendamente lampante e solo in parte mitigato dalla massiccia presenza di stranieri, persino in serie B. E’ contestualmente evidente che la Nazionale abbia da tempo imboccato un trend di impoverimento ancora più netto di quello espresso dall’intero comparto calcistico nostrano. Appena quattro anni fa, nel momento in cui il deprimente 0-0 con la Svezia ci negava i mondiali 2018, la nostra Nazionale aveva partecipato a ben 18 delle 20 edizioni della rassegna iridata fino a quel momento disputate, collezionando 4 successi e altri 3 piazzamenti. L’involuzione post-Berlino 2006 (spiegata solo in parte con la progressiva desertificazione tecnica e depressione economica della nostra serie A) era però in atto già da un pezzo.
Forse una risposta parziale (magari pure piuttosto banale) è nascosta negli appassionanti e chiassosi pomeriggi di allenamento a scuola calcio dei nostri figli.
Per intenderci: la strutturata proposta formativa delle attuali scuole calcio, sostenuta dalle competenze e dalle capacità educative dei loro allenatori/istruttori, soprattutto nei suoi principi fondamentali e pedagogici, non è in discussione, però ho l’impressione che il sistema pecchi di un eccesso di organizzazione. Basta scorrere ad esempio i documenti della FIGC sul regolamento del settore giovanile, per accorgersi che tutto è scrupolosamente normato, in perfetta tradizione burocratese italiana, e disciplina meticolosamente il lavoro degli operatori.
Il risultato, contro ogni buona intenzione, rischia di materializzarsi in una sorta di allevamento intensivo, in una costante sovrapproduzione di piccoli automi ben intrisi di cognizioni tattiche avanzate e avviati a un atletismo la cui asticella va spinta continuamente oltre. Con l’ovvia controindicazione di considerare i lampi d’estro e fantasia come un’alterazione poco funzionale a tale percorso formativo, e relegare la tecnica pura a ruoli meno primari che in passato.
Per carità, questa democratizzazione delle inclinazioni calcistiche dei ragazzi è perfettamente compatibile con gli ubiqui processi di globalizzazione contemporanei, e non riguarda solo questo sport.

Se però nel giro di 16 anni siamo passati dalla coppa a Berlino (per visualizzare meglio pensiamo all’imperforabile difesa dei vari Buffon, Cannavaro, Nesta, all’imbarazzo di Lippi nel pescare un paio di attaccanti tra Inzaghi, Del Piero, Toni, Totti, Gilardino, alla “colta” regia di Pirlo, ecc.) al suicidio contro la Macedonia del Nord (nel caso rileggere anche qui il relativo tabellino per i dovuti raffronti), vuol dire che è arrivato il momento di ammettere che la rarefazione dei nostri talenti calcistici non è una semplice coincidenza.
E il trionfo agli Europei nel 2021, arrivato dopo un percorso di vittorie ai supplementari e rigori che lo inchiodano necessariamente al campo delle casualità, è stato più che altro un’eccezione.
La questione è che adesso, a forza di preparare ossessivamente al calcio moderno i nostri ragazzi eccedendo nella standardizzazione, abbiamo mortificato l’istinto, il genio, la fantasia, e così di “talenti fantastici” non ne abbiamo più, e forse non sappiamo neanche come ritrovarli.

Ovviamente il calcio dei cortili, degli oratori, quello di un Totti che gioca nei giardinetti a Porta Metronia appartiene al passato, e da padre di due bambini innamorati del calcio e felicissimi praticanti, neanche lo rimpiango, ma da semplice tifoso devo interrogarmi sulla possibilità che una revisione dei concetti alla base dello sport giovanile possa far sì che dagli ordinatissimi campetti sintetici dove scorazzano i nostri piccoli calciatori, torni ad emergere il talento puro.