Il calcio italiano si appresta a riprendere i rassicuranti ritmi abituali, dopo l’irregolarità della sosta mondiale.
Tutto torna lentamente nell’alveo della tradizionale immutabilità delle stagioni calcistiche. Ripreso il campionato e inaugurato il calciomercato invernale (come consuetudine portatore di fumose chiacchiere e ben poco “arrosto”) proprio sui titoli di coda del 2022, una notizia ha scosso il torpore di queste strane festività: il ritorno di Claudio Ranieri a Cagliari.
Ecco, se dovessi condensare anni di passione per il calcio, e materializzarli nel volto rappresentativo di un protagonista di questo sport, uno dei primi nomi che farei è proprio quello di Ranieri.
Ignoro colpevolmente (pur con qualche giustificazione anagrafica) la consistenza del suo passato da calciatore, ma ho avuto modo di apprezzare per intero la sua lunga carriera di allenatore.
Una militanza ininterrotta e variegata, nella quale l’ho visto attraversare nei decenni intere ere geologiche calcistiche, cambiare paesi, categorie e tipologie di gestione tecnica. Una sorta di turismo esperienziale sportivo che gli ha consentito di stringere in un simbolico abbraccio più di una generazione di calciatori: da Francescoli a Totti, da Del Piero a Batistuta, da Lampard a Zola.
Sempre credibile nel suo rassicurante abito di anti-personaggio, al tecnico romano non ho mai sentito pronunciare le parole “il mio calcio” con la spocchia di tanti suoi meno titolati colleghi. Nessuna rivendicazione di proprietà, anzi un’intera carriera a dimostrare che il calcio è di tutti, e che ogni sua interpretazione se eseguita con competenza e professionalità, può avere una preziosa e coerente utilità.
E questa sua duttilità, questa capacità di essere un “tecnico buono per tutte le stagioni” (nel senso migliore di questa definizione) me lo propone da anni come il miglior esempio di “trasversalità” applicata alla professione di allenatore.
Fin dall’inizio di questa sua lunga avventura in panchina, con pragmatismo e concretezza i risultati li ha sempre portati a casa.
Il primo ricordo è quello del Cagliari di fine anni '80. La squadra isolana è nell’inferno della terza serie con i fasti dello scudetto e della serie A ormai lontani. Eppure il buon Claudio costruisce il miracolo perfetto: doppia promozione e salto dalla C alla A.
Anche con mezzi tutto sommato limitati il suo Cagliari, grazie ad uno strepitoso girone di ritorno, conquista pure una preziosa salvezza. E’ la squadra del trio uruguagio (Francescoli, Fonseca, Herrera) e del ritorno di Matteoli.
Poi nell’estate del 1991 l’approdo al Napoli. Subito un buon campionato con quarto posto finale, che ha l’effetto di nascondere sotto il tappeto i cocci del post - Maradona. A Napoli, archiviati gli anni gloriosi del Pibe, si cerca una nuova dimensione e il tecnico romano sembra il condottiero ideale. Invece i primi risultati negativi che si addensano all’avvio della seconda stagione, anticipano la fine del rapporto e arriva il primo esonero.
L’ingaggio successivo, serve a confermare la sua bravura nel disimpegnarsi in situazioni ambientali emergenziali. A Firenze con i gigliati Ranieri riparte dalla B, e ottiene promozione immediata, poi piazzamenti e i primi trofei: Coppa Italia e Supercoppa.

Forte di questi risultati si concede l’esperienza all’estero. La sua parentesi spagnola contempla un passaggio con alterne fortune sotto i colori di Atletico Madrid e Valencia, ma quantomeno si conclude portando a casa il suo primo trofeo “straniero”: la Coppa del Re ’99.
Ancora un cambio epocale, e il nuovo decennio vede Ranieri in Premier League. Credibilissimo anche da manager “british”, nelle sue stagioni a Londra prepara il Chelsea al salto di qualità che sarà completato successivamente dalla diarchia Abramovic / Mourinho.
Poi, dopo una breve parentesi a Valencia (con tanto di Supercoppa Europea) è tempo di tornare in Italia.
Ripartendo questa volta da un Parma che ha smesso da tempo di essere stellare e che sembra in quella stagione già condannato alla retrocessione. Invece altro capolavoro e una salvezza insperata, che gli vale un altro giro in questo Luna Park del calcio: per lui è pronta la Juventus del dopo Calciopoli appena ritornata in A.
A Torino, due onorevoli secondi posti e un ingrato benservito.
Ed è a questo punto che il percorso di Ranieri incrocia finalmente la sua città. E’ il settembre 2009, quando diventa allenatore della Roma. Per lui è un sogno che si avvera, per me da tifoso la certezza di aver scongiurato l’ennesima stagione tribolata.
Andrà meglio anche delle più ottimistiche attese perché quella Roma, in odor di sfaldamento dopo le dimissioni di Spalletti, con la società in crisi e in un ambiente costantemente inclinato verso le depressioni di fine ciclo, sarà una Roma incredibile. Forse la Roma più incredibile della storia recente.
Quella lunga rincorsa all’Inter coronata col sorpasso, il primo posto e il derby di Vucinic sembra ormai avviata a diventare l’impresa del secolo, solo un attimo prima che l’universo romanista collassi fragorosamente sotto lo striscione del traguardo la sera della sconfitta con la Samp.
Quell’1-2 all’Olimpico finisce per incenerire un happy ending tanto inverosimile tecnicamente, quanto scontato narrativamente, e forse per questo motivo improponibile come finale di una storia romanista.
Ed è un peccato che le immagini di quella sera restino il ricordo più persistente di quella stagione, anche perché l’avventura di Ranieri in giallorosso si conclude amaramente meno di un anno dopo (dimissioni dopo l’incredibile 3-4 col Genoa) e non c‘è tempo per le rivincite.
E se, almeno per noi tifosi giallorossi, quel campionato sfumato nel finale è ancora una ferita aperta, Sir. Claudio il rimborso della sorte lo ottiene pochi anni dopo. La vittoria in Premier col Leicester nel 2016 (arrivata dopo aver maturato nel frattempo altre esperienze assortite: Inter, Monaco e Nazionale Greca) è sicuramente il vero, unico miracolo sportivo concretizzatosi nell’era moderna del calcio.
E quantomeno personalmente, a quel trionfo ascrivo il merito di aver collaborato insieme agli anni trascorsi a diluire il dolore per quello scudetto mancato.
Così, con il cuore più alleggerito ho potuto applaudirlo nel maggio del 2019 quando, portando mio figlio per la prima volta allo stadio, sono stato accolto da una Roma travolgente e spettacolare come non capitava da mesi, una Roma di nuovo affidata a lui in un momento di emergenza. Una netta vittoria (3-0) contro un avversario evocativo (proprio il suo Cagliari).
Altri due campionati di serie A, salvando brillantemente dalla tempesta un’altra nave che imbarca acqua: la Samp di Ferrero e poi, solo qualche mese fa, l’immagine che secondo me racchiude insieme l’essenza dell’uomo Ranieri e il valore tecnico della sua carriera professionale: il suo sguardo commosso durante Roma-Leicester quando tutte e due le tifoserie insieme gli dedicano un’emozionante tributo.

E adesso, tra pochi giorni incomincia l’ennesima avventura e un altro giro di giostra. Di nuovo in serie B, di nuovo a Cagliari. Come trent’anni fa all’inizio di questa storia.
Come in passato, continuerò a seguirlo certo che la sua “trasversalità” sarà ancora utile, e che se il Cagliari ha anche solo una minima possibilità di centrare la promozione, Ranieri saprà sfruttarla.
Ancora una volta, un in bocca al lupo al vero “hombre transversal” del calcio moderno.