Entra nel vivo la stagione delle coppe Europee e con un discreto contingente di italiane in corsa (oltre ai soliti big match), il menu televisivo del calcio infrasettimanale è tornato ad essere abbondante.
Eppure, concessa la doverosa priorità alla mia Roma e al suo percorso in Europa League, poco altro mi ha ispirato al punto di valere un paio d’ore di attenzione. Negli ultimi turni mi sono limitato al 1° tempo di Milan-Tottenham, e a qualche sprazzo di Inter-Porto: poca roba, e purtroppo abbastanza in linea con il trend degli ultimi anni.
Anni di un interesse per i tornei continentali sempre più attenuato: questione di format delle competizioni, di troppe partite dall’esito scontato, della sempre maggiore inflazione del calcio in tv.

Ma non è in questa sede che voglio approfondire le motivazioni di questa freddezza. Non credo sia rilevante far affiorare le radici di tale personale disaffezione. Piuttosto, mi sembra più curioso e interessante provare a restituire (soprattutto ai lettori più giovani) il solenne entusiasmo dei ricchissimi mercoledì di Coppa di qualche anno fa.
Già, perché per gran parte degli anni '80, l’unico calcio visibile in tv (nazionale azzurra a parte) era proprio quello dei club italiani impegnati nelle tre coppe Europee.
Le partite di Coppa Campioni, Coppa Coppe e Coppa Uefa si giocavano TUTTE il mercoledì ed erano trasmesse dalla Rai, che spesso si trovava ad incastrare anche 3/4 gare in poche ore di programmazione (chissà che affanni per gli autori del palinsesto, artefici in quegli anni di autentici equilibrismi, soprattutto nei primi turni ancora affollati di partecipanti italiane).

Per me, molto prosaicamente, tutta quell’abbondanza era fantastica e basta. Mi bastava organizzarmi con i compiti, e poi godermi in pace quelle serate “fantozziane” di calcio davanti alla tv, con la certezza che nel mio caso nessun mega-direttore avrebbe potuto mai minacciare la solenne quiete di quel beato momento.
Ad accompagnarmi puntuale in quelle maratone europee c’era sempre mio padre. Puntuale in quei mercoledì, rincasava dal lavoro e occupava subito il posto a fianco a me, pronto a seguire la partita serale che di solito era anche la più importante.
Mio papà, tifoso giallorosso d’adozione era un appassionato di calcio molto particolare: seguiva tiepidamente il campionato, ma era pronto a trasformarsi in un ultrà tricolore per qualsiasi contrapposizione tra italiani e stranieri.
La nazionale italiana era la “stella polare” da seguire con devozione.
Degli azzurri papà non si perdeva nessuna partita, pronto ad esultare scompostamente al goal di Tardelli nella finale di Spagna ‘82, e capace, esattamente allo stesso modo, di festeggiare il 2-0 di Altobelli in un’insignificante amichevole con la Cina.
Il mercoledì di coppa, con le squadre italiane impegnate sul fronte internazionale, tornava a coinvolgerlo in questa sua patriottica ostinazione. Una singolare battaglia che trascendeva il tifo, e nella quale lo affiancavo orgogliosamente convinto anch’io che fosse una cosa oltre che bella, molto giusta.
E così, magari suggestionato dal libro di storia appena chiuso, armato di telecomando mi preparavo a sostenere e difendere la Patria. Manco fossimo ancora sul Piave nel 1918…
Con questo coinvolgimento, seguimmo la sfortunata avventura della Roma in Coppa Campioni nell'‘84, fino alla beffarda finale con il Liverpool.
Poi la stagione successiva, con la Roma fermata in Coppa Coppe dal Bayern di Matthaus nei quarti, ci affidammo all’Inter che in Coppa UEFA arrivò fino alle semifinali col Real Madrid. Un promettente 2-0 nell’andata a S.Siro venne vanificato dal crollo al Bernabeu nel ritorno. Sconfitta 3-0 da Butragueño e soci, seppur eliminata l’Inter usci comunque a testa alta (oltretutto nella serata della biglia piovuta dagli spalti che colpì Bergomi), così nella stagione successiva - 1985-86 con la Roma fuori dalle coppe - accordammo proprio ai nerazzurri la priorità ufficiale nelle nostre scelte televisive.

Ripartimmo dunque con il collaudato schema casalingo dei mercoledì di Coppa: esproprio coatto della tv e occupazione militare dei posti in salotto. A mia madre, rassegnata all’ineluttabilità del sequestro di tutto l’entertraitment di casa, non rimaneva che sfornare il dolce ufficiale del mercoledì: una sorta di variazione sul tema tiramisù, una bomba calorica di savoiardi affioranti da una teglia di crema gialla e rossa (alchermes).
La sera dell’11 dicembre '85, proprio dopo aver archiviato quella sontuosa minaccia glicemica, ci preparammo a seguire di nuovo l’Inter impegnata nella trasferta di Varsavia contro il Legia, dopo lo 0-0 dell’andata a Milano.
La partita in Polonia rimase bloccata sullo 0-0 e, con la prospettiva dei supplementari sempre più concreta, mio padre cominciò a invocare interventi dalla panchina. In particolare la sua premura si concentrò sull’ingresso in campo di Fanna.
Lui, Pietro Fanna, onesta ala destra di origini friulane, dopo una deludente esperienza juventina e soprattutto dopo lo storico scudetto al Verona, era da poco approdato all’Inter. Aveva pure una discreta manciata di presenze nella nazionale azzurra di fine ciclo-Bearzot. Purtroppo per lui, però, il desiderio di mio padre di vederlo in campo era motivato da ragioni appartenenti alla sfera delle casualità.
Il mio papà era sì un appassionato di calcio, ma la sua conoscenza tecnica era limitata allo stretto necessario, di molti giocatori non conosceva neanche il nome. Non leggeva Gazzetta o Corriere. In quell’occasione, per sottolineare la sua partecipazione a quei trepidanti mercoledì sera, credo che semplicemente tirò fuori un nome a caso. Forse Fanna con la sua caratteristica precoce calvizie gli venne in mente per primo. 
Quella sera, però, Fanna entrò davvero in campo nel freddo di Varsavia, e al minuto 108, incornando un traversone di Altobelli, siglò il gol decisivo per l’1-0 finale e conseguente passaggio del turno.
E per rivendicare orgogliosamente l’intuizione della mossa risolutiva, papà si lasciò andare a un’esultanza molto colorita. Sicuramente sproporzionata al valore di un ottavo di finale di una squadra per la quale al massimo simpatizzavamo. Eppure quell’episodio saldò ulteriormente la sacralità di quel rito condiviso delle serate di Coppa, e per qualche stagione continuammo senza troppe variazioni a celebrarlo con entusiasmo, partecipando - sempre dal divano - al periodo d’oro delle italiane in Europa a cavallo degli anni '80 e '90.
Poi, come molte cose della vita che mutano così lentamente da non farti percepire il cambiamento, la tradizione di casa nostra si perse, ancor prima che l’Uefa, rivoluzionando i tornei, diluisse le gare di coppa in più giorni, introducendo le noiose fasi a girone ecc..

Oggi, dopo l’antipasto della Conference la scorsa stagione, le nostre squadre tornano in Europa ad avanzare candidature concrete al successo finale. Perciò, ispirato dai ricordi appena narrati di quelle suggestive serate e soprattutto dalla sportività cristallina e l’autentica genuina passione tramandatemi dalla persona con cui condividevo quei momenti, voglio riprovare a seguire con partecipazione anche le altre italiane in coppa.
Saranno pure trasmesse da Amazon e Dazn, fanno 5 cambi e il gol in trasferta non vale più doppio, ma c’è ancora il brivido dell’eliminazione diretta, e anche se son passati quasi 40 anni, in fin dei conti son sempre partite di pallone…