Chissà quali sono le motivazioni che spingono un allenatore di 76 anni a buttarsi nell’inferno della serie C. A guidare un Pescara da mesi condannato a sperare nel ritorno tra i cadetti, solo giocandosi tutto nella lotteria dei play-off.
Domanda pleonastica se l’allenatore in questione è Zdenek Zeman.
Protagonista rivoluzionario e controverso, sempre inclinato verso l’eccesso. Taciturno dalle scioccanti esternazioni, tattico estremo rispettoso delle individualità: non un allenatore buono per tutte le stagioni, ma predisposto a tutte le contraddizioni.

Faccio un salto indietro. Un quarto di secolo. Abbondante.
E’ un ricordo nitido, con contorni ben delineati nella memoria. E’ un’assolata mattinata di Maggio, sono al lavoro e con la testa ben lontana dal calcio. Sto attraversando Piazza Cola di Rienzo, quartiere Prati, quando vengo sconvolto dal titolo del Messaggero “strillato” dalla “civetta” (la locandina pubblicitaria coi titoli del giorno) esposta in edicola: “ZEMAN ALLA ROMA”.
Inizia così, a sorpresa una nuova era della storia giallorossa. Forse non troppo significativa sul piano dei risultati, ma tutt’altro che banale e di sicuro difficilmente dimenticabile.

In quel maggio del ’97 la Roma sta chiudendo una stagione fallimentare su tutti i fronti. Il mago argentino Carlos Bianchi, arrivato da trionfatore col Velez, si è meritato un inevitabile esonero. L’atteggiamento spavaldo e supponente non è bastato a mascherare mesi di risultati modesti e nefandezze tattiche (arrivando persino a chiedere - per fortuna senza ottenerla - la cessione del promettente Totti).
Dopo l’ennesima sconfitta (a Cagliari) Franco Sensi è corso ai ripari. Silurando il tecnico argentino e affidando la squadra a Liedholm (nominato anche consulente tecnico del presidente).
Proprio quel Nils Liedholm che vent’anni prima aveva aperto il primo storico ciclo vincente della Roma. E lo aveva fatto da pioniere di un nuovo calcio, con l’innovazione della difesa a zona, dell’insistito possesso palla ecc. E dopo il “Barone” era stato il turno di un altro avanguardista della zona : il connazionale Eriksson.
La Roma era stata per anni una squadra non solo competitiva, ma anche orgogliosamente bandiera di un calcio moderno. Quando però l’ennesimo ritorno di Liedholm termina con un fallimento, la Roma cambia radicalmente direzione aprendo un decennio di conduzioni tecniche filosoficamente quasi opposte.
Una restaurazione che si snoda nel susseguirsi di Radice, Ottavio Bianchi, Boskov, Mazzone, e il citato Carlos Bianchi.
In quei primi giorni di maggio ’97, sembra tutto fatto per aggiungere un seguito coerente a questa restaurazione. E’ infatti quello di Giovanni Trapattoni, il nome caldo per la panchina giallorossa. Ma quando sembra tutto fatto il Bayern non libera il Trap e Sensi si convince ad abbracciare il fascino della trasgressiva soluzione Zeman.
Il tecnico boemo è stato scaricato pochi mesi prima proprio dai rivali della Lazio. Il traghettamento da una sponda all’altra del Tevere che si concretizza in breve tempo finisce per amplificare il già cospicuo contenuto rivoluzionario delineato dalla scelta di affidare la Roma a Zeman.
Lui, il boemo, non si scompone e pronto a ricominciare come nulla fosse fa accelerare il processo di smantellamento della vecchia rosa. La Roma che si fa consegnare per la stagione 97/98 è profondamente rinnovata.
Eppure nel giro di poche settimane, l’incosciente Zeman propone una squadra già meravigliosamente interprete del suo calcio.

Incuriosito come non mai e orgoglioso dell’attenzione che l’Italia del pallone rivolge a noi giallorossi dopo stagioni di anonimato, torno pure allo stadio dopo mesi. Prima per lo 0-0 contro la Juve di Lippi, poi il 5 ottobre per il tennistico 6-2 al Napoli. Lo spettacolare 4-3-3 che regala quel pomeriggio a Balbo il centesimo goal in serie A (ne farà altri due) è la sublimazione delle aspettative accumulatesi in quei giorni. A cominciare da quella mattina, da quei titoli dei giornali, da quell’implicita ambiziosa promessa di un calcio innovativo e spettacolare, dall’intuizione di Franco Sensi e dalla consapevole incoscienza di Zeman che accetta il rischio dell’impresa di rilanciare una Roma reduce da stagioni appannate.
Sarà un anno di contraddizioni: tanti apprezzamenti e altrettanti rimpianti, quattro derby persi per poi riuscire a finire (dopo 6 anni) sopra la Lazio stellare di Cragnotti. Coccolerà Totti contribuendo ad affermare definitivamente il suo talento, ma si scontrerà con Balbo, costringendo l’argentino alla partenza.
Continuerà l’avventura giallorossa tra alti e bassi, non facendosi mancare altro clamore, come nell’estate del '98 quando denuncia l’abuso di farmaci nel calcio Italiano.
E ancor più dei risultati, saranno proprio i suoi incontrollabili attacchi al “sistema” a convincere Sensi a scaricarlo.
Zeman, dopo aver lasciato Roma, comincerà una fase di carriera fatta di scelte bizzarre e controcorrente, a partire da quella di accettare il Fenerbahce e mollarlo dopo poche partite.

Anni di brevi avventure e lunghe pause. Qualche esonero di troppo, e dopo il miracolo di Pescara pure un insensato ritorno nella Roma americana. Un tentativo di rilancio che naufraga definitivamente dopo mesi tormentati, nella serata in cui il Cagliari espugna l’Olimpico col ridicolo autogol di Goicoechea.
Sempre e in ogni caso, scelte perfettamente in linea con le venature anticonformiste di questo spiazzante Robespierre del calcio.
Così come il recente ritorno a Pescara (il terzo!) in serie C.
Un ritorno romantico e come al solito incurante dei rischi connessi. D’altra parte questa è “l’incoscienza di Zeman”.

“Zemanlandia” da Vocabolario Treccani :
s. f. Il sistema di gioco, fantasioso e votato all’attacco, ideato e adottato dall’allenatore di calcio boemo Zdenek Zeman.