Chiamare in causa la complicità di Dio nelle vicende calcistiche è sempre apparso esagerato e dissacrante alle persone di buon senso, tutt’al più frutto di esternazioni emotive del momento, spesso della tifoseria più plebea, qualche volta di illustri addetti ai lavori (si pensi alla “mano de Dios” ravvisata da Maradona nel mondiale 1986). Pensare addirittura di trovare negli episodi sportivi le prove dell’esistenza del soprannaturale potrebbe rasentare il ridicolo.
Però, considerato che la filosofia da molto tempo è scesa dal piedistallo della disciplina per pochi iniziati, rivendico che sia concessa a tutti la facoltà di giocare. Ricordo poco tempo fa una vignetta che girava su whatsapp raffigurante un imbronciato Platone, alquanto contrariato di dover considerare Fabio Volo un suo collega. Del resto, anche i filosofi del passato, quelli veri, non è che abbiano fornito prove tanto convincenti dell’esistenza di Dio. Per esempio, Leibniz riteneva di vederla nella necessità di trovare alla finitezza del mondo e degli uomini una Entità infinita di riferimento; non ero forte in filosofia, ma mi è sempre sembrato un accorato auspicio più che una dimostrazione.

Viene da chiedersi se sia solo casualità che il miglior difensore centrale del mondo, al termine di una gara in cui la sua squadra ha rimontato tre gol sul campo della storica rivale, svirgoli una palla in modo da infilare con precisione goniometrica il sette del proprio portiere, lui che due anni fa aveva segnato su quel campo il gol di una vittoria che aveva rilanciato prepotentemente il Napoli nella corsa allo scudetto, e che per quell’ardire era stato già punito dopo una settimana a Firenze nella partita “persa in albergo”; proprio Koulibaly, a lungo inseguito quest’estate dalla Juventus, secondo la consolidata politica societaria del “se non puoi batterli comprali”, proprio lui incappa in questo infortunio, dando l’ennesima soddisfazione allo sterminato popolo “ascaro” che abita tutte le regioni d’Italia meno il Piemonte e che proprio non riesce a sentirsi tifoso se non siede comodamente sul carro del vincitore. Trionfo completato dal sesto gol di Higuain contro il Napoli da quando, nell’estate del 2016, decise il clamoroso cambio di casacca, passando dalla seconda classificata alla squadra che aveva già vinto cinque scudetti consecutivi e consumando un atto di viltà sportiva senza precedenti in serie A. Ma, evidentemente, il tradimento paga. Del resto fu proprio Higuain a segnare il gol-scudetto nel 2018, sul perfetto cross di Pijanic che doveva essere espulso già nel primo tempo, nei minuti di recupero di un Inter-Juve che l’arbitro Orsato rivivrà nei suoi incubi finché sarà in questa vita. Il tradimento paga, se lo stesso anno la Juve trovò altri tre punti d’oro sul campo della Fiorentina con gol di Bernardeschi, dopo un rigore concesso ai viola e poi annullato dal VAR con una interpretazione molto discutibile.

Ma lasciamo Orsato a consumarsi nei suoi rimorsi; si consolerà con la buona compagnia di altri suoi colleghi, come Ceccarini, tristemente noto ai tifosi dell’Inter, protagonista nel ’98 del rigore non concesso a Ronaldo il Fenomeno, come Bergamo che annullò a Turone (1980-81) il gol che ancora popola gli incubi dei romanisti, come Mattei che all’ultima giornata (1981-82) cancellò il gol di Graziani facendo rompere in escandescenze perfino un uomo geniale e mite come Zeffirelli, come Toselli (1971-72) che annullò il gol di Toschi che poteva dare ai Granata di Giagnoni la gioia dello scudetto con quattro anni di anticipo su quella vera, giunta poi con Radice. Lasciamo stare loro ed anche gli arbitri di Calciopoli dei primi anni 2000, poi sospesi in seguito al processo. E se fossero tutti innocenti strumenti di un volere perverso?

Lo sfortunato autogol di Koulibaly arriva alla seconda giornata, quindi non è un episodio decisivo. Ma come non pensare ai minuti finali della sfida-scudetto del 2016, quando Higuain giocava ancora nel Napoli… una partita da 0-0, poi all’88° uno dei centravanti più mediocri che abbia mai indossato la maglia della Nazionale (Zaza), meteora nella Juventus, entra e fa un tiro che, deviato da un difensore del Napoli, si impenna e scavalca le mani di Reina. I meno giovani ricordano il campionato 1974-75, quando il trentasettenne Altafini, un altro ex, suggellò all’88° un altro Juve-Napoli decisivo per lo scudetto. Qui gli arbitri non c’entrano. Come non c’entravano nel lontano 1973, quando all’ultima giornata Cuccureddu all’87° segna all’Olimpico il gol che consente alla Juve di scavalcare il Milan, forse stanco per una finale europea vinta il mercoledì, travolto a Verona dopo aver condotto in testa tutto il campionato. E che cosa fa sì che l’ottima Roma di Eriksson, testa a testa con la Juve, alla penultima giornata del campionato 1985-86 perda in casa col già retrocesso Lecce che quel pomeriggio sembrava il Real Madrid? O che l’Inter di Vieri e Ronaldo il Fenomeno all’ultima giornata della stagione 2001-02 crolli sul campo della Lazio, mentre la Juve la scavalca vincendo comodamente a Udine?

Sono proprio tante per essere chiamate a volte coincidenze, a volte scherzi del destino, sviste o frutto di sudditanza degli arbitri nei confronti del club con dietro il più potente gruppo industriale del Paese. Piuttosto sembrano l’opera del Maligno. E se esiste una divinità cattiva, (ecco la necessità che non sembra affatto un semplice auspicio) deve esistere anche Dio.

Dunque quali conclusioni si evincono da queste considerazioni e sintetizzano questi dati? Fondamentalmente due:

  1. Il diavolo esiste e tifa Juve
  2. Dio non si interessa di calcio (giustamente, ha cose più importanti di cui occuparsi) però per motivi suoi e imperscrutabili segue con attenzione la Champions League.

E noi confidiamo che non ne distolga mai il paterno sguardo.

 

06/9/2019 Timeodanaos