Qualcuno si stupisce se il Napoli, dominatore dello scorso campionato, a metà stagione è soltanto ottavo? Se ha smarrito il suo gioco, fino allo scorso giugno dominante e fluido, insieme alla via del gol, se ha subito fin qui 25 reti, di cui molte imbarazzanti, a fronte delle 28 incassate in tutte le 38 partite del torneo appena vinto?
Fuori dalla Coppa Italia per mano del Frosinone. La qualificazione agli ottavi di Champions è arrivata, col secondo posto nel girone, grazie soprattutto a due autogol nelle gare col Braga.

Se si analizzano le premesse maturate la scorsa estate direi proprio che ci sia poco da meravigliarsi.
Il Napoli ha vinto lo scudetto con una squadra composta da due top player, Osimhen e Kim Minjae, diversi buoni giocatori, alcuni mediocri, molti se si guarda anche alla panchina. Senza un giocatore dotato del tiro dalla distanza, in grado di trasformare un calcio di punizione, e perfino i rigori (ci hanno provato in tanti, sbagliando). Senza un sufficiente apporto di gol dall’ala destra, dove si sono alternati, con 3 gol ciascuno, Lozano e Politano (il primo, titolare di fatto e anche il più veloce dei due, ceduto!). Senza un centrocampista con i requisiti per giocare tra le linee e fare da trait d’union con l’attacco, avendo Zielinski quasi sempre deluso quando ci si aspettava da lui questa qualità. Senza difensori veloci (tranne Kim, ceduto!), che per questo sono apparsi in difficoltà le rare volte che la squadra non li ha coperti adeguatamente. Con un portiere non esattamente una garanzia.

Eppure quella squadra ha vinto e ha incantato tutti con il suo possesso di palla, la sua circolazione, i suoi inserimenti, la sua tranquillità, la sua capacità di andare in porta con la palla, quando non ha dovuto affidarsi alle prodezze personali di Osimhen. Ovvero, il gioco di squadra che nasconde i limiti dei singoli.
Frutto del lavoro di due anni di un gruppo ben coagulato attorno al suo allenatore, Spalletti, e di una campagna trasferimenti una volta tanto azzeccata in pieno, nell’estate del 2022, in cui il DS Giuntoli aveva lasciato partire diversi senatori (Insigne, Koulibaly, Mertens, Fabian Ruiz), alcuni che avevano fatto il loro tempo a Napoli, altri allettati da ingaggi all’estero, e aveva imbroccato gli acquisti di un difensore e di un’ala sinistra pressoché sconosciuti, Kim e Kvaratskhelia. Era più probabile attendersi un campionato di transizione e di crescita, piuttosto che lo scudetto. Invece l’alchimia del gruppo saggiamente dosata dall’allenatore, l’alto e insperato rendimento dei nuovi acquisti, la bassa frequenza di infortuni contrariamente all’ecatombe dell’anno precedente, hanno dischiuso la via di un successo tanto bello quanto inatteso. Non da ultimo va ricordato che non c’è stata una inseguitrice che ha fatto sentire al Napoli il fiato sul collo; nessuna delle più blasonate avversarie ha avuto nè sufficiente regolarità di rendimento nè “aiutini”, a differenza di quanto avvenne al meno fortunato Napoli del 2018 che, sotto la guida di Sarri, stava per fare un analogo miracolo, con pochissima spesa societaria; quel Napoli aveva fatto un punto in più di quello scudettato.

Ma, all’indomani dei festeggiamenti per il terzo scudetto, il Napoli perde nell’ordine: l’allenatore Spalletti, il difensore Kim, l’attaccante Lozano, il DS Giuntoli, il preparatore atletico Sinatti.

Il patron Aurelio De Laurentiis non batte ciglio di fronte a queste devastanti defezioni, ostentando la sicurezza di chi ormai ha capito tutto di come funziona; si rammarica e polemizza solo quando poi Spalletti firma per la Nazionale, per reclamare penali. Ma, del resto, nessuno è indispensabile, tanto è lui il fil rouge del successo. Non mostra neanche premura di sostituire i tasselli del mosaico andati persi, con l’inizio del campionato imminente e il girone di Champions League alle porte. Con calma olimpica mette in scena questa estate un valzer di allenatori e di difensori, mentre i tifosi erano sulle spine, optando alla fine per le scelte più economiche: un tecnico, Garcia, reduce da dieci anni di insuccessi in Francia, in Italia e in Arabia Saudita, e un giovanissimo centrale brasiliano, Natan, senza alcuna esperienza internazionale. Sostituisce Lozano con Lindstrom, l’unica spesa rilevante (ma molto inferiore a quella che avrebbe sostenuto per rinnovare il contratto del Messicano) per un giocatore quasi mai utilizzato ne’ da Garcia ne’ da Mazzarri. Assume un DS disoccupato da due anni, Meluso, reduce da una esperienza in serie A con lo Spezia; intendiamoci: Giuntoli dieci anni fa non era molto più accreditato, solo che stavolta c’erano uno scudetto da difendere e una Champions League da onorare. Tutti comprano e il patron sta alla finestra, certo di possedere ormai la pietra filosofale del pallone e tronfio degli introiti prodotti dalla sua creatura.

Dopo dodici deludenti, quando non avvilenti, giornate di campionato, esonera l’allenatore, per sceglierne un altro non meno polveroso del Francese. Dopo ulteriori sconcertanti prestazioni, si presenta davanti ai microfoni e recita il mea culpa, promettendo un robusto correttivo di mercato. Ma appena si appresta a trattare qualche giocatore di qualità scappa via ritenendolo troppo caro, pertanto i nomi che ora vengono accostati al Napoli sono giocatori mediocri o a fine carriera.

Improvvisazione, mancanza di progettualità, supponenza, nessuna visione. Il Napoli non ha uno stadio, e questa è una deficienza comune a molti club italiani, ma non ha neanche un centro sportivo proprio.
Non investe nel vivaio, che non è mai in grado di fornire alla prima squadra giocatori all’altezza di figurare in serie A quando serve; basti pensare che nell’anno in cui il Napoli vinceva lo scudetto, la squadra primavera scivolava mestamente nella serie B di categoria.

Sono sempre stato indulgente con te, Presidente, memore della rinascita della società dopo il fallimento, del ritorno in A dalla serie C, della accorta amministrazione di questi anni, ma io ora ti accuso di aver dato il peggio di te, proprio nel dolce momento della vittoria.

Timeodanaos