Ricordo ancora tutta la bile che mi presi, da tifoso italiano quando nel 1983 la fantastica Juventus di Rossi e Platini lasciò una Champions al mediocre Amburgo, e quando Del Piero e Zidane nel 1997 dovettero inchinarsi al Dortmund, una squadra costruita con scarti del campionato italiano. Altra Juve, altro stile quello dell’Avvocato. Mi chiedo cosa resta di quello stile se Allegri, alla diciottesima di questa stagione, con già 8 punti di vantaggio, commentando Atalanta-Juventus esordisce invocando sanzioni contro il presidente del Napoli, reo di aver espresso le sue preoccupazioni per la designazione di Mazzoleni a dirigere Inter-Napoli, rivelatesi poi fondate con Koulibaly “cornuto e mazziato”, insultato per il colore della sua pelle ed espulso per un applauso ironico.

Oggi non mi arrabbio più quando perde in Coppa, anzi. Nessuna esultanza, ci mancherebbe. E’ meschino fare trionfalismo per la sconfitta in Coppa degli avversari di campionato come se la propria squadra avesse vinto qualcosa. Meschino e puerile. Ma dire sommessamente “gli sta bene” non è peccato.

Tanto per cominciare, sgombriamo il campo dai sensi di colpa di alto tradimento. Le nostre squadre non rappresentano più l’Italia ne’ il nostro calcio se non si introduce qualche normativa che le obblighi a schierare almeno 5 giocatori nostrani (come ad esempio hanno fatto in Russia); forse la Roma credeva di più nei giovani italiani ma ora, senza Di Francesco, non so che strada prenderà. Perciò non vedo più le ragioni di prendere a cuore le sorti delle squadre italiane nelle coppe solo perché hanno domicilio fiscale in Italia, come se si trattasse della Nazionale.

La scorsa stagione la Juventus ha creduto di essere alla pari del Real Madrid, pluricampione d’Europa, dopo la rimonta quasi riuscita al Bernabeu e l’eliminazione seguita ad un rigore (ritenuto ingiusto solo da loro) all’ultimo minuto. Hanno pensato: ci prendiamo il loro miglior giocatore, così noi diventiamo più forti, loro più deboli e la vittoria della Champions sarà di conseguenza. In campionato aveva già funzionato: tre anni fa quando, dopo aver vinto 5 scudetti consecutivi, mettendo in campo il loro strapotere economico si sono accaparrati il miglior giocatore della seconda e della terza squadra classificata, Higuain e Pijanic, scavando un solco ancora più profondo con le altre, e Higuain li ha ripagati con 40 gol, quasi sempre decisivi per altri due scudetti.

Neanche Berlusconi, che quando dirigeva il Milan divideva il mondo in metà da vendere e metà da comprare, aveva osato tanto. La politica societaria della Juventus non è esattamente l’esaltazione dei valori sportivi.

Sugli “aiutini” dello scorso campionato, di cui a Milano con l’Inter quello che ha avuto lo strascico più lungo, meglio glissare perché ti liquidano subito con l’etichetta del vittimismo, ma forse il pur cospicuo margine qualitativo e quantitativo non sarebbe bastato alla Juve. Comunque il timore di non vincere il settimo scudetto dovette essere tanto se, a gennaio 2018, quando il Napoli andò a bussare alla porta del Sassuolo per avere Politano (non certo Messi), poiché gli infortuni avevano falcidiato una rosa già ristretta per la parsimonia del suo presidente, l’allora DS Marotta fece pronta azione di disturbo fingendo un interessamento della Juve, pur di non farlo prendere al Napoli, riuscendoci. Anche questa avrebbe ripugnato il duo Berlusconi-Galliani.

Ma, mentre in campionato ad insidiare la Juventus c’è stato solo il Napoli, che ha patito l’assenza del suo top-player in attacco, in Champions League il piano machiavellico non ha pagato. Demolito il Real Madrid, restano diverse squadre forti che non solo hanno grandi attori, ma giocano di squadra e hanno un’anima; è bastato un Ajax di giovanotti, bravi e assatanati, ma che soprattutto sanno fare squadra, per mandare a picco la corazzata dal tifo più apolide dell’universo calcistico.

La Juventus è composta di calciatori eccellenti, ma poco votati al gioco di squadra; in campo non si aiutano, laddove i ragazzini dell’Ajax erano in un fazzoletto a rubare palla e a dettare il passaggio al portatore. La società bianconera e il suo allenatore prediligono i giocatori forti nell’uno contro uno, quelli capaci di farti ottenere il risultato con la prodezza personale, ma poco propensi a sacrificarsi per la causa comune. Basta vedere giocare il Manchester City, il Liverpool, il Barcelona, altro ritmo, altro modo di stare in campo, per capire che difficilmente questa squadra e questo allenatore realizzeranno il sogno dei loro tifosi.

La vita è molto più semplice per i solisti di Allegri nel nostro depauperato e derelitto campionato, fatto di piccole realtà, a volte piccolissime, da 8000 spettatori paganti, solo bene amministrate, con le loro difese a zona per decreto, altissime come avanguardia impone ma senza la necessaria qualità ne’ la tradizione. E come potrebbero queste squadre rodare e “indurire” la Juventus e le altre nostre compagini che giocano le coppe europee? Quanta invidia fanno gli stadi stracolmi e festanti in Inghilterra, in Germania, in Spagna, in Francia, dovunque. Quasi.

Quindi perché dovremmo intonare tutti il “De profundis” per questo ennesimo flop bianconero in Europa? dovremmo unirci al lutto dei tanti tifosi juventini di Palermo, di Bari, di Reggio Calabria, di Perugia, di Ancona, di Bologna, di Vicenza, che hanno lasciato andare in crisi e/o fallire nell’indifferenza le squadre delle loro meravigliose città, degne di figurare in serie A da protagoniste, innescando la catastrofe tecnica ed economica della serie A? dovremmo solidarizzare con gli “Ascari”, come li definiva Stinchelli, grande giornalista romano scomparso, per i quali sembra ci si possa emozionare e avere dignità di tifoso solamente se si vincono gli scudetti? Già Platini quando arrivò alla Juve si stupiva del fenomeno tutto italiano del tifo di convenienza; chissà se in cuor suo, da Francese, avrà pensato che questo Paese ha fatto due guerre mondiali aspettando quasi un anno prima di decidere se schierarsi, per cercare di capire chi avrebbe vinto: la prima volta gli andò bene per un pelo, la seconda no. Non lo sapremo mai, “Le roi” aveva senso di diplomazia.

E allora: esultare no, non sarebbe serio. Ma dire sommessamente “gli sta bene” non è peccato.

 

 

17-4-2019                                                                                                               Timeodanaos