Ha attraversato il Napoli di Benitez, di Sarri, di Ancelotti, ora quello di Gattuso, sempre da protagonista.
E’ stato il giocatore di maggior rendimento, insieme a Koulibaly, in tutti questi anni.

Professionista esemplare, Callejon è un giocatore di rara intelligenza in campo, con ottimi fondamentali, una disciplina tattica rigorosa. Ha dato il meglio di se’ soprattutto nella versione Sarri: con i suoi ripiegamenti, il sapiente ricucire il gioco, il perfetto inserimento nel fraseggio, le sue incursioni in area, tante volte premiate dal gol, che hanno contribuito parecchio ai punteggi stratosferici raggiunti dal Napoli in classifica, purtroppo non sufficienti a vincere un campionato. A 33 anni suonati, questa potrebbe essere la sua ultima stagione con la maglia azzurra, dopo aver vinto la seconda Coppa Italia, che ha fatto perfino dimenticare incautamente ai tifosi la pandemia.
A mio modesto avviso, se il Napoli sta pensando a un avvicendamento, il sostituto non si trova in famiglia; se pensano così, fanno meglio a tenerselo.
Ha incarnato il Napoli operaio che in questi anni ha saputo divertire i suoi tifosi e gli spettatori neutrali con il suo football, senza primedonne, senza i top-player, ma con la forza del gioco di squadra, con il miracolo del collettivo; quel collettivo che Sarri e Agnelli avrebbero voluto riprodurre all’ombra della Mole Antonelliana, senza riuscirvi.
Napoli operaio, sì, di cui José, antidivo autentico, è stato ed è uno degli operai a più alta specializzazione. Perché, detto fuori dai denti, Callejon non è Garrincha.
Non ha dribbling. Non ha lo scatto bruciante che ogni ala destra che ambisce ad essere un fuoriclasse possiede. Tutte le volte che lo abbiamo visto presentarsi davanti al portiere, segnando (non sempre ma spesso), non lo ha fatto dopo aver dribblato un avversario, ma in virtù del suo intuito di calciatore, di capire dove arriverà la palla, della sua intesa coi compagni. Dote questa di immenso valore, preziosa per ogni giocatore, che tuttavia per essere veramente grande deve poter contare anche su altri talenti.
Non ha il tiro. I suoi gol sono appoggi, dalla breve o brevissima distanza, ma i suoi diagonali sono tutt’altro che irresistibili. Anche i suoi traversoni lasciano a desiderare: se sono fatti dall’area di rigore risultano puntuali ed efficaci, ma se sono da più lontano, se richiedono di imprimere forza ed effetto, sono quasi sempre corti.
Eppure questo giocatore ha dato tantissimo alla squadra; lui come altri giocatori del Napoli. Uno su tutti, Insigne, meno continuo di Callejon nel rendimento, tuttavia è certamente il giocatore di maggior classe della squadra, eppure con degli enormi limiti: ha tutti gli svantaggi di essere minuscolo, senza essere abbastanza veloce per trarne vantaggio; per tacere poi che non ha proprio il sinistro. Loro due, insieme a Mertens, l’aletta di riserva della nazionale belga che a 31 anni si è scoperto centravanti, sono l’immagine del Napoli che, a parte quest’ultima stagione, ha gettato il cuore oltre i propri limiti, ci ha divertiti, emozionati, qualche volta commossi, come nel 2018 nella rimonta contro il Chievo nei minuti di recupero o nella vittoria a Torino contro la Juventus. L’immagine della classe operaia che non va in paradiso; il Napoli, il bell’incompiuto di questi campionati, forte eppure gracile, quasi un ossimoro che si fa squadra.

Callejon-Mertens-Insigne: gira che ti rigira, dopo cinque anni sono ancora loro tre quelli che in attacco danno maggiore affidamento. Se potenziamenti in questo reparto non ce ne sono stati, al di là della nota attenzione del Presidente ai bilanci, non vanno dimenticati i non pochi milioni buttati dalla finestra per Lozano, Politano, Inglese, Petagna, per non dire che il Napoli aveva in casa un certo Zapata…
In questi cinque anni il Napoli ha cambiato tre allenatori, mentre il direttore sportivo è rimasto sempre al suo posto. Bisogna perciò dedurre che il Presidente conosce i pregi di Giuntoli molto, ma molto meglio di noi.

16/7/2020 Timeodanaos