L'Affaire Guardiola è un unicum nella recente storia del giornalismo calcistico italiano. Se non nella sua sostanza, almeno nel suo significato più immediato ed evidente: lo scetticismo reciproco tra gli organi d'informazione e i loro destinatari.

Negli ultimi giorni molti giornalisti hanno espresso i loro dubbi e il loro disappunto nei confronti di internet quale punto di aggregazione, di condivisione e d'informazione. Esemplari sono state le parole di Caressa sull'argomento, portando il noto telecronista e commentatore sportivo a rivendicare per la propria categoria un'autorità e una professionalità messa in discussione sempre più frequentemente.

La stessa cosa è occorsa anche da parte di molti altri giornalisti. Nella giornata di ieri Sandro Sabatini, tramite un video piuttosto informale su Youtube, criticava il web e molti dei suoi protagonisti "poco professionali", per aver dato un eccessivo credito alle voci che vogliono l'attuale allenatore dei Citizens sulla panchina della Goeba. La critica del giornalista Mediaset si estendeva poi anche all'utenza, fortemente polarizzata e selettiva.

Non è mio interesse cercare di capire se questi atteggiamenti da parte di autorevoli giornalisti siano giusti o meno, quello che mi preme sottolineare è questa sorta di antagonismo, questo dialogo tra sordi che vede da un lato la massa scettica del web, che crede solo a ciò che vuole credere e cerca conferme a sostegno della propria ipotesi (sia pro che contro); mentre dall'altro lato una categoria professionale che alza un muro e si sente attaccata, sminuita, ridimensionata nell'opinione pubblica e decide di reagire con atteggiamenti anche aggressivi.

Dobbiamo chiederci come è stato possibile arrivare a questa situazione, com'è stato possibile che una categoria di professionisti abbia perso di credito presso il proprio pubblico al punto da sentirsene sminuita. La risposta non è immediata e neanche troppo semplice da individuare ed è ragionevole supporre che più concause abbiano portato a tutto ciò. Non è sensato puntare il dito e accusarsi gli uni con gli altri come sta succedendo in queste ore, anche perché questo scontro non avrà altro risultato che screditare una delle due parti.

Iniziamo dal lato più semplice e più facilmente osservabile, ovvero il web. Su internet i social si sono configurati, fin dalla loro prima creazione, non come punti d'incontro e di scambio di parole e punti di vista, ma come gruppi di aggregazione ideologica. Le stesse piattaforme, minimali nei contenuti e nelle capacità di espressione, hanno favorito la superficialità delle discussioni e degli individui, finalmente in grado di chiudersi in una bolla virtuale che esalta il loro pensiero e acriticamente lo esalta. 

Non è nulla di nuovo, le persone si sono sempre convinte che fosse vero ciò che volevano fosse tale, come successe in Russia per gli innumerevoli Pietro III che apparvero, o l'eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, fino a giungere ai complotti globali del Gruppo Bildelberg. Se è vero che la massa tende a ragionare come massa, rispondendo a logiche assolutamente uniche, è anche vero che nell'odierno mondo globalizzato questo fenomeno ha assunto una portata e una forza fino ad oggi mai neanche immaginate. E' stato un processo graduale che ha tolto all'informazione la capacità di essere critica e ai giornalisti la loro indipendenza.

Se la massa oggi si fa forte delle proprie convinzioni, il giornalismo si è più volte piegato al profitto cercando di inseguire il nuovo mercato dell'informazione online, un mercato che vive in tempo reale e che chiede bulimicamente sempre nuove informazioni. E' triste osservare come negli ultimi anni si sia creata una corsa al sensazionalismo a discapito della professionalità, o come molti giornalisti o presunti tali siano passati dall'inorridire all'idea di essere anche dei tifosi, fino al punto di sbandierarlo. Non che ci sia una reale colpa in tutto ciò, ma è inevitabile che in questo modo la percezione di credibilità e d'imparzialità venga meno. Il crollo della percezione dei media di fronte alla loro audience ha permesso che il livello si abbassasse, fino al punto in cui la massa si è fatta carico di quell'autorità e i giornalisti sono diventati degli utenti in più, etichettabili come haters o autorità a seconda delle circostanze di comodo.

E' un inquinamento che per osmosi non ha rispettato neanche professionisti esemplari e onesti, in evidente buonafede, come Di Marzio, Momblano o altri. Tutti con le proprie fonti e le proprie piste giornalistiche, a volte vere e a volte no, ma sempre e comunque veritiere e plausibili, sempre rispettosi del lavoro altrui, purtroppo strumentalizzati da chi è contro o da chi è favore del loro lavoro.

E la massa? La massa è tutto e niente, è fruitrice del lavoro altrui e come tale deve criticamente pensare e scegliere, ognuno secondo la propria coscienza e il proprio pensiero. Il guaio vero non è che esistano due gruppi che sono agli antipodi dell'Affaire Guardiola, ma che entrambi si oppongano tra loro con violenza, incapaci di dialogare e di stimarsi.

E il risultato quale sarà? L'unico possibile: o i giornalisti perderanno ancor più di considerazione, o la massa si risentirà per gli atteggiamenti dell'altra parte. In entrambi i casi i toni potranno solo inasprirsi.