"Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte di creta. Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciar traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione. [...] il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre." Daniele (2, 31-44) Questo fu il sogno premonitore che Nabucodònosor chiese all'ebreo Daniele di interpretare. Il profeta rispose che quattro regni si sarebbero succeduti al suo e che il Quinto sarebbe stato voluto da Dio stesso. Quando nel XVII secolo Antonio Viera lesse per la prima volta questo passo della Bibbia dovette rimanergli qualcosa impresso. Le Parole sono semi che possono germogliare in ogni momento e un giorno, inspiegabilmente lo fecero. Magari fu colpa di quel Dom Sebastiao, re portoghese asceso al titolo di Messia, come fosse una speranza mistica che il Portogallo potesse tornare ad essere la grande potenza che nel Cinquecento dominava i mari del mondo. Magari era colpa di quello strano stato dell'anima che si coltiva sulle rive dell'Atlantico, là dove un Oceano che è limite e orizzonte di un popolo intero è salato per le lacrime dei portoghesi. Magari tutto ciò messo assieme, perché i desideri e i dolori di un popolo non sono solo una matrice dell'inconscio. Perché, come anche pensava Pessoa, i Portoghesi non hanno un inconscio, hanno un'anima. Tutto questo e molto di più portarono Vieira a profetizzare l'arrivo di un Quinto Impero dopo quello di Nabucodònosor, che sarebbe successo agli Assiri, ai Persiani, ai Greci e ai Romani: quello Cattolico Portoghese. Un impero destinato a governare il mondo. C'è da chiedersi (al di là del Millenarismo evidente) se non si possa prendere spunto da questa storia di mistica portoghese, da questo popolo il cui dolore è un umore del corpo e non della mente. Mi domando: questo europeo potrebbe essere l'inizio di qualcosa? Potrebbe essere che il Portogallo, una squadra giovane e piena di talenti e capitanata da un fuoriclasse, dia inizio a un regno dominante al pari della Spagna (l'odiata Spagna)? Mi viene da dire di sì, mi viene da pensare ai giovani talenti portoghesi che si sono presi il compito di portare un paese intero al di là della sua atavica tristezza e hanno gettato via una tradizione di sconfitte che troppo a lungo li ha relegati ai limiti del calcio europeo. Mi viene da Pensare alla nascita di questo Quinto Impero calcistico da parte di una nazione che ha perso il proprio splendore coloniale secoli fa e che è salita sul tetto d'Europa grazie ai figli di quei popoli conquistati. Mi viene da pensare a Pepe, Bruno Alves, William, Nani, Eder, Danilo, Renato Sanches, Eliseu, Adrien Silva, Guerreiro, Lopes, Quaresma... figli che non sono nati in Portogallo o che sono figli di immigrati. In un'Europa sconvolta dalla xenofobia e dal malcontento del diverso la finale dell'Europeo è stata un tributo alla storia coloniale e al suo superamento, grazie al modo più semplice e più genuino di abbattere le differenze: con un pallone. Magari la mia è solo un illusione ma siamo a due anni dai mondiali e abbiamo di fronte una generazione d'oro che potrà solo crescere. E se Antonio Vieira avesse avuto ragione quattrocento anni fa? Se questo Regno non fosse fatto di uomini, d'oro, di ferro o d'argento, ma fosse fatto di cuoio? Io ci credo e ci spero, a due anni esatti da adesso: Portugal Campeão do Mundo.