Premessa. a) Il titolo è ispirato da Raymond Carver, quindi calma con i giudizi estemporanei. b) Non prendete niente di ciò che scrivo come fosse qualcosa di assiomatico. Di cosa parliamo quando parliamo di calcio? O meglio ancora, di cosa parliamo quando parliamo di quelli che parlano di calcio? Oramai da anni (anni '90 in poi) veniamo bombardati da programmi radiofonici e televisivi che trattano di calcio in maniera più o meno seria o approfondita, cercando di sviscerare concetti e realtà che magari possono restare chiuse a chi non ha frequentato o non frequenta il grande calcio. Lo vediamo soprattutto negli opinionisti televisivi che sono spesso e volentieri ex giocatori di grandi squadre o giornalisti (quando va bene). Lasciamo stare per un attimo la dubbia sfilza di veline, minus habens e personaggi folkloristici che a volte infesta le televisioni nazionali come muffa attaccata al cartongesso, ma teniamoci anche gli Zazzaroni della situazione, che magari non brillano per intelligenza ma almeno non trasmettono l'idea del ridicolo. Ecco, concentriamoci su questo popolo delle tv, su questa intelligentia pallonara da salotto buono del calcio che ogni settimana analizza le partite in radio cronaca e nelle interviste e nei dibattiti televisivi. Pensiamo un attimo a quello che fanno e perché lo fanno. Mi piace che ci siano ex giocatori che capiscano di calcio in maniera tattica o analitica, o che ci siano giornalisti che approfondiscano dati statistici non immediatamente visibili e analizzabili. Certo poi viene chiesta a tutti un'opinione per poter dare il via a uno scambio dialettico, e lì si può condividere o meno, ma d'altronde è il loro lavoro e di qualcosa bisogna riempire quello speciale di due ore sul dopo-partita di Palermo-Frosinone (giusto per fare un esempio). Questo teatrino è tutto molto bello e stimolante ma fino a un certo punto, ma provo a spiegarmi meglio. Perché l'analisi calcistica delle televisioni di "qualità" punta verso una specializzazione tecnico-tattica e non umana o "umanistica"? A me piace sentire Bergomi (o chi per lui) spiegare l'abilità di un particolare difensore nel prendere il tempo o un terzino nel "fluidificare" sulla fascia, ma è davvero tutto qui? E' bello sentire Leonardo parlare dei meccanismi societari e di spogliatoio in un club della massima serie, ma al di là della curiosità non sarebbe possibile stimolare anche la fascinazione e il sentimento? Il calcio perde un po' di romanticismo ogni giorno ma ciò accade anche perché ci vengono proposte solo fredde analisi o storielle da cinepanettone. Con tutto il rispetto per i diretti interessati, ma il bacio di Florenzi alla nonna poteva essere posto in mille modi a un telespettatore e invece è stato raccontato come una favoletta per bambini, impacchettata a uso e consumo dello spettatore, semplificando, svilendo. Lo stesso accade ogni anno per una squadra che viene promossa o in Serie A o in Serie B. Facciamo un altro esempio. Perché quando si parla di Cristiano Ronaldo si sottolineano sempre le qualità tecniche, fisiche, l'allenamento, ma non si parla mai delle sue debolezze umane? Ad esempio del fatto che ha fatto abbattere la casa della madre a Madeira per non far vedere quant'era povero, o il fatto che ha pagato 12 milioni per impedire alla madre di suo figlio di rivelarsi pubblicamente e di poterlo incontrare fino a che non sarà grande? Beninteso, a me non interessa dare un giudizio morale sull'uomo, ma penso che approfondire dal punto di vista umano uno dei più grandi giocatori della modernità possa far capire cosa è il calcio e i calciatori ai nostri giorni. In sostanza, perché l'unico modo di "qualità" (non mi piace questa definizione ma tant'è...) di raccontare il calcio è quello analitico? Se lo sport, come io credo, è un aspetto sociale e culturale non è limitante e riduttivo ridurlo a una fredda analisi tecnico-tattica? Non è quasi svilente? C'è un retroterra di cultura, di storia, di geografia, politica e quant'altro spaventoso dietro una palla di cuoio eppure ci limitiamo a una fredda superficie di parole. Ci lamentiamo della perdita di romanticismo del pallone e siamo i primi a crogiolarci in questa pigrizia dell'animo e a rinunciare volontariamente a tutto il bello che si nasconde sotto la superficie del tubo catodico o dell'hd o di chissà quale nuova diavoleria. Noi ci accontentiamo, e loro? I vari Costacurta, Sconcerti, Sabatini, Bergomi, Mauro, Leonardo, ecc. sono davvero la sola "qualità" dell'analisi calcistica italiana? O possiamo ambire a qualcosa di più ricco e umano, qualcosa che sia in grado di restituire al calcio una dignità artistica ed emozionale che ci sembra di aver perduto? A me cosa importa sapere della lettura tattica che aveva Miccoli in una partita di Serie A se non posso emozionarmi nel pensare al modo in cui lui, piccolo com'era, prendeva botte da tutti, giocava contro gente più alta di lui e non aveva paura, e cadeva, e si rialzava e io mi emozionavo perché mi sentivo come lui, e volevo avere la forza d'animo che aveva lui? Deve per forza essere tutto o un tugurio o una fredda analisi? Trovo paradossale che Buffa abbia tutta questa risonanza. Badate bene, io adoro Federico Buffa, ma lui non fa che applicare al pallone la sua effettiva umanità e restituirgliela in tutta la sua interezza. Non è lui che fa qualcosa di straordinario, siamo noi che ci siamo fossilizzati nella povertà dei nostri stimoli e quello che è un bel gesto ha una risonanza spropositata. Dunque di cosa parliamo quando parliamo di calcio? Di cosa parliamo quando parliamo di quelli che parlano di calcio? Stiamo davvero parlando di calcio?