Oggi 11 Giugno 2017 Pep Guardiola ha letto di fronte a 40.000 persone il manifesto degli indipendentisti catalani, che da anni chiedono al governo centrale di Madrid di poter parlare di una secessione pacifica. Nelle precedenti 18 volte la Spagna ha negato loro questo diritto conscia del risultato facilmente pronosticabile. Il governo di Madrid infatti teme la riproposizione dei risultati del referendum "informale" del 2014, quando l’80% dei Catalani si disse favorevole all’indipendenza, per questo oggi denuncia come incostituzionale un referendum di questo tipo e minaccia sanzioni e carcere per chi si presenterà alle urne il 1° Ottobre. Il tema politico è complesso e di difficile soluzione. Alla capacità di autodeterminazione di un popolo e agli accordi di Helsinki del 1975 bisogna aggiungere una definizione giuridicamente valida di “popolo” che ad oggi manca nel diritto internazionale e che torna a vantaggio degli stati nazionali nel non riconoscere i diritti del popolo o dei popoli che rappresentano. Il diniego di Madrid non fermerà gli abitanti della Catalogna a recarsi alle urne, perché questi si sentono vittima “di uno Stato che ha messo in atto una persecuzione politica indegna del XXI secolo” (come letto da Guardiola) e che non gli concede la possibilità di auto-amministrarsi, forte degli accordi del 1979 in cui la Catalogna, uscita dal franchismo come tutta la Spagna, si riprometteva di collaborare col governo di Madrid per risollevare le sorti di una nazione arretrata al resto d’Europa e ancora spaventata dal terrorismo basco. E tutto questo perché, come legge Guardiola, "Non ci sono abbastanza carceri in Spagna per rinchiudere tutti i catalani che vogliono partecipare al referendum".

A Guardiola va il plauso di averci messo la faccia, di essere sceso in campo con tutto il suo carisma e la sua persona nel difendere una causa che gli sta a cuore e che sente giusta. Plaudo all’onestà intellettuale di quest'uomo che è conscio della sua figura e della sua credibilità al punto di capire che è necessario esporsi. Abbiamo sempre pensato che questo bel giochino che è il calcio fosse qualcosa di scisso dalla realtà, un luogo di bellezza e divertimento in cui il mondo reale non potesse mai entrare, una torre d’avorio nel quale isolarsi dal mondo. Eppure sono anni che le squadre catalane si fanno portavoce dell’identità culturale di tutto un popolo, come anche le squadre basche.

La Spagna moderna passa anche dal Madrid, dal Barca, dall’Espanyol, dall’Athletic o dalla Real Sociedad, e così anche l’Italia attraverso il referendum del dopoguerra, gli anni di piombo e gli anni più recenti. Il calcio ha la capacità e il dovere di mettere i luoghi sulla mappa, far conoscere a tutti le questioni più importanti perché partecipiamo tutti alla storia di questo gnocco minerale sparato attorno al sole. Ed è per questo che Guardiola e la Catalogna tutta hanno chiesto aiuto alla comunità internazionale perché i loro diritti siano tutelati.

Il calcio si dimostra una volta di più un modo per conoscere e apprezzare il mondo che ci circonda e capire che anche un gioco può trascinarsi dietro le aspettative e le speranze di milioni di individui che cercano soltanto una voce che li possa rappresentare.

Guardiola non è il primo e non sarà l'ultimo ma oggi tocca a lui, ancora una volta, incarnare la voce di tanti Catalani di fronte al consorzio umano del XXI secolo, e ammetto che è bello che sia così.