In generale molti stadi italiani di calcio sembrano avvertire il peso degli anni. I principali impianti risalgono al 1990 quando, tranne poche eccezioni, sono stati ristrutturati o costruiti.

Dal ’90 ad oggi le esigenze delle Società di Calcio e del pubblico sono cambiate sensibilmente.

In primis la quotazione in borsa delle Società richiede che le stesse posseggano uno Stadio proprio. Tale impianto dovrebbe essere dotato dei migliori comfort sia al suo interno che al suo esterno.

Soprattutto è richiesta una capienza adeguata e un’ottima visibilità del campo. All’interno il pubblico desidera servizi come bar e altro. All’ esterno, vicino all’ impianto, sono necessari strutture di ricezione, ristorazione e commerciali su modello di complessi sportivi stranieri. Questi asset, necessari per soddisfare il pubblico, permetterebbero di aumentare sensibilmente l’auto-sostenibilità di una Società di calcio.

Per realizzare un impianto conforme agli standard moderni sono necessarie ingenti risorse precedute da un serio e preciso processo decisionale che coinvolga enti pubblici e privati.

Uno dei primi obiettivi di tale processo è operare una scelta fra l’edificazione di un nuovo stadio o la ristrutturazione di uno stadio esistente.

Tale processo è già in corso, in stato più o meno avanzato, in città come Milano, Torino, Roma, Bergamo; probabilmente anche a Firenze, Bologna e altre ancora.

Al fine di contribuire ad una sensibilizzazione sulla valorizzazione degli stadi esistenti, si cercherà di toccare alcune tematiche e di analizzare la storia e la situazione di Stadi in esercizio, non affrontando, al momento, le tematiche degli Stadi di nuova esecuzione, dalle diverse peculiarità.

 

CHE COSA E’ UNO STADIO?  CHE COSA PUO’ RAPPRESENTARE?

Trattandosi di un argomento complesso, si ritiene necessario partire da concetti basilari.
Generalmente s’intende per stadio, ai nostri tempi, un impianto stabile, prevalentemente adibito a competizioni calcistiche, costituito da una serie di gradinate per il pubblico intorno allo spazio destinato alle manifestazioni, sotto le quali sono ricavati spogliatoi, palestre e altri servizi.

Inoltre, per quanto riguarda un impianto già in funzione da anni, occorre considerare che cosa può rappresentare per la comunità ed in particolare per tifosi o gli abitanti locali che lo conoscono bene: può essere un monumento o un’opera d’arte?

Prendiamo ad esempio lo Stadio Olimpico Grande Torino[1] di Torino.Inaugurato nel 1933, è un autentico monumento di architettura razionalista.[2]  

Un attento osservatore, considerando l’aspetto esteriore dell’edificio ed il suo contenuto di statue, targhe o altro, può ottenere precise indicazioni circa l’epoca della sua costruzione, il suo impiego di allora o di altri avvenimenti successivi. Lo stesso osservatore, se dotato di conoscenze sportive, potrà utilizzare le sue capacità mnemoniche e di fantasia, magari innescate dalle silenziose gradinate deserte, per far rivivere nella sua mente, o nei suoi racconti, scorci di episodi di sport, anche remoti, con i loro colori, movimenti e personaggi tipici.

Un edificio capace di creare queste sensazioni ed emozioni, si ritiene possa essere considerato come un “contenitore di storia”, come un monumento storico. Non solo, potrebbe essere definito un opera d’ arte?

Con queste sole motivazioni probabilmente no, risponderebbero gli esegeti dell’arte. Per il momento, non possiamo ancora parlare di opera d’arte, ma di edificio di rilevanza storica..

Proviamo allora ad entrare nel campo dell’ arte.

Prendendo a prestito alcune definizioni in letteratura, possiamo intendere per arte, la capacità di agire e di produrre, secondo un particolare complesso di regole e di conoscenze ed esperienze tecniche, un manufatto che generalmente è un’opera d’arte.

L’arte è fine a se stessa al di fuori di ogni preoccupazione di carattere morale o utilitaristica

Seguendo queste definizioni possiamo probabilmente affermare che l’Olimpico Grande Torino è un’espressione dell’arte del tempo in cui fu costruito e quindi è un opera d’ arte.

Infatti chi l’ha progettato si è basato “su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche” (dettati dai canoni estetici del razionalismo). Non ha nessuna importanza che quell’ edifico sia stato commissionato da un regime che portò la Nazione alla rovina, inviso anche a chi scrive. Va da sé che, in quanto tale, occorre porla “al di fuori di ogni preoccupazione di carattere morale o utilitaristiche” evitando strumentalizzazioni.

Non solo l’ Olimpico Grande Torino, ma molti altri stadi, per cui bisognerà operare la famosa scelta (nuovo o ristrutturare), sono opere d’arte, la cui perdita sarebbe irreparabile.

 

COME SI PUO’ MANTENERE NEL TEMPO IL VALORE STORICO E ARTISTICO?

Vediamo all’estero come hanno trattato questa problematica.

Prendiamo ad esempio l’Olympiastadion di Berlino. Costruito in occasione dei giochi olimpici del 1936, questo stadio, riusciva a contenere in origine oltre 100.000 spettatori.

In quei giochi olimpici quello stadio fu teatro dei trionfi di Jesse Owens.[3]

Successivamente l ’Olympiastadion ospitò  la finale del Mondiale di Calcio del 1936 che vide l’Italia di Pozzo trionfare di misura sull’Austria.

Dopo aver ospitato queste pietre miliari nella storia dello sport, ospitò le Olimpiadi del 1974 della Germania Ovest, senza subire modifiche sostanziali fino al 2000, in occasione dei Mondiali di Calcio 2006.

L’Olympiastadion di Berlino nel 2006 ospitò la storica finale dei Mondiali di calcio tra Italia e Francia vinta dagli azzurri ai calci di rigore, in quello che ad oggi resta ancora l’evento sportivo più seguito da sempre alla TV.

I due impianti di Torino e di Berlino, indubbiamente molto diversi fra loro, sono accomunabili: sono sorti nello stesso periodo (metà degli anni ’30), entrambi impiegati senza soluzione di continuità sino ai giorni nostri e conservati integri. Infine sono stati entrambi ristrutturati in occasione di due eventi complementari: le Olimpiadi estive del 2004 e le successive Olimpiadi Invernali del 2006.

E’ evidente che in entrambi i casi ci troviamo di fronte a due opere d’arte ed a due testimoni della storia del paese di appartenenza, i cui valori storici ed artistici sono stati mirabilmente mantenuti nel tempo. E’ stato coniugato passato e presente, preservando un simbolo storico per trasformarlo in un simbolo positivo moderno.

Se, invece di ristrutturarli, fossero stati demoliti, che cosa sarebbe accaduto?

 

A CHE COSA SI PUO’ ANDARE INCONTRO CON UNA DEMOLIZIONE?

Proviamo ad effettuare un grosso passo indietro nel tempo.

A Torino esisteva un piccolo stadio, costruito nel 1921, denominato Filadelfia, già “Camp Turin”, dalla storia tragica ed incomparabile: era lo stadio in cui giocò e trionfò una leggendaria Squadra di Calcio, l’indimenticabile Grande Torino.[4]

Dopo la tragedia di Superga del 4 maggio 1949, ogni pietra, ogni sasso, ogni filo d’erba e l’atmosfera stessa di quello stadio, trasudavano storia e ricordi indelebili. Eppure l’ingordigia, la bramosia di denaro inviarono le ruspe che iniziarono ad abbatterlo il 18 Luglio 1997.

Era (nel 1984 n.d.r) un Campo di calcio con tribune e recinzione. Complesso di valore storico – artistico, unico esempio superstite tra i primi stadi calcistici in Torino, integralmente conservato negli impianti, nelle strutture e nelle parti accessorie. Costruito negli anni 20”.[5]

Perché si volle distruggerlo essendo pericolante se solo 13 anni prima lo stadio era definito “ …Integralmente conservato…”? Si trattava del simbolo autentico a ricordo del Grande Torino “unico esempio superstite tra i primi campi di calcio in Torino”?!?!

Perchè questo “complesso di valore storico – artistico” non fu salvato e protetto da chi ne aveva l’autorità e la responsabilità?

Nel 1997 fu abbattuto per “barattare” i terreni su cui era costruito, con terreni sui quali furono edificati centri commerciali!

Ci vollero quasi vent’ anni per iniziare a ricostruirlo, posando la prima pietra il 17 ottobre 2015

Ora è un gioiellino moderno, ma cos’è rimasto del suo fascino, della sua atmosfera, delle voci che avevano risuonato sui suoi muri, delle impronte lasciate sul ciottolato del cortile proprio da quei Campioni volati in cielo e di tutti quelli che li seguirono?

Per quanto possibile si cerca di rinnovare il suo pathos, sebbene siano rimasti solamente il  ricordo di chi lo vide e lo visse com’era. Ed i ricordi, con le emozioni, le sensazioni… si sa... sono destinati a svanire con i loro custodi.

Vogliamo trattare così i nostri stadi storici, le nostre opere d’arte?... i sentimenti di chi li vide funzionare e fu testimone di trionfi e dell’ intera storia di uno Stadio ?

PROVIAMO A INTRODURRE UN DIBATTITO 

Quella che abbiamo visto, applicata al Filadelfia, è la logica del profitto (lecito o illecito?) con una dissacrazione profonda dei valori autentici alla base della nostra società.

  1. Sono questi i valori in cui crediamo oggi? Vogliamo forse distruggere la cultura, la storia, i ricordi del nostro passato? Vogliamo forse impiegare un mare di plastica, una devastante cementificazione, cioè costruire un enorme rifiuto da smaltire in futuro? Vogliamo creare cattedrali nel deserto impiegate esclusivamente in occasione di eventi sportivi?

Qualora ci fossero le condizioni per operare in una ristrutturazione, ciò avrebbe senso?

PUO’ ESISTERE UN’ ALTERNATIVA ALLA DEMOLIZIONE? IL CASO TORINO.

Proviamo a ragionare ancora su Torino, sull’Olimpico e sul Filadelfia, data la breve distanza che li separa (circa 500 m.).[6]

Tentiamo una sorta di analisi pseudo-urbanistica di due stadi che potrebbero essere fra loro interconnessi.

Lo Stadio Olimpico Grande Torino nel 1984[7]era considerato: “Un edificio per lo sport, di valore storico artistico e documentale eccezionale, tra i primi esempi di tipologia sportiva riferite all’ architettura razionalista in Italia, in buon stato di conservazione, Inaugurato nel 1933”

La scelta della dislocazione dello stadio è rilevabile da documenti dell’epoca: [8]

”La sua ubicazione tra (vie di transito che costituiscono il perimetro dell’ area del complesso sportivo - n.d.r.) è particolarmente felice …… per la facilità di accesso da qualunque punto della città , in particolare dalle stazioni …., infine per la vicinanza di aree ancora disponibili …. Per futuri ampiamenti.”.

Oggi la situazione non è variata molto. L’accessibilità è la stessa. Molti sono gli spazi potenzialmente usufruibili, a Nord, Nord – Est dello Stadio Olimpico.[9].

Altre grosse aree, già dismesse, si trovano nei pressi dello Stadio Filadelfia, appena ricostruito, a sua volta adiacente a vaste aree dismesse (ex Dogana ed ex Mercati Generali).

In tutte queste aree potrebbero essere costruiti tutti gli asset esterni che necessitano al uno stadio moderno, a sevizio principalmente dello stadio Olimpico, ma anche del Filadelfia.

Questa, ovviamente, non è altro che una semplice ipotesi, un sogno, la cui fattibilità è tutta da verificare.

CONCLUSIONI

Costruire uno stadio partendo da un prato verde può essere più veloce e più semplice, talvolta più economico.

Per contro la prospettiva di una riqualificazione non solo degli stadi ma dei loro quartieri, potrebbe essere maggiormente appetibile e più stimolante, soprattutto in quanto socialmente utile, a minor impatto ambientale, a favore dell’occupazione locale, contribuendo a ridurre il degrado urbano.

Si tratta forse di acquisire nuove logiche mentali, sviluppando la capacità di pensare al futuro, con lungimiranza ed ampio respiro?

 

 


NOTE:

[1] In origine chiamato Stadio Municipale Benito Mussolini.

[2] Questo stile architettonico non fu un caso isolato in Italia. Dopo essere stato teorizzato da Le Corbusier nel 1923, questa tipologia di architettura fu in collegamento con il Movimento Moderno internazionale, seguendo i principi del funzionalismo,

[3] Atleta di colore americano che smentì tutte le teorie naziste sulla razza bianca superiore a tutte le altre, riuscendo a conquistare ben quattro medaglie olimpiche.

[4] Il Filadelfia fu teatro di sei scudetti del Torino. Il settimo fu vinto al Comunale, oggi Stadio Olimpico Grande Torino, nel 1976

[5] Guida dei beni culturali e ambientali del Comune di Torino – Edizione 1984 (Tav. 65 – sk. 6 – pag. 470)

[6] Le condizioni descritte possono essere esclusive della città di Torino, non ripetibili in altri casi.

[7] Guida dei beni culturali e ambientali del Comune di Torino – Edizione 1984 (Tav. 65 – sk. 29 pag. 480).

[8] Rivista " L' Economia Nazionale"  Aprile 1933:

[9] Tali spazi, oggi come allora, sono antiche caserme da tempo vuote, di cui si auspica una soluzione prossima, come l’ex Ospedale Militare A. Riberi, dall’ architettura liberty dei primi del novecento in un complesso molto versatile