Pochi giorni fa ho pubblicato su Sportellate un lungo articolo nel quale illustro i vari modi conosciuti di battere un calcio di rigore. Nel tentativo di fare chiarezza tra "GK dependent penalties" e "GK independent penalties", ho colpevolmente trascurato la storia del penalty a due tocchi. Pertanto, rimedio in questa sede, accennando al suo inventore, il belga Rik Coppens, e al blogger che più di ogni altro ci ispira: Arsenico17. Buona lettura!

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Al liceo non ho studiato molto. Potrei quasi affermare di non aver studiato affatto, ma non voglio esagerare - e poi i miei genitori mi leggono e non voglio ricordare loro quanto li ho fatti penare, specialmente quanti pensieri ho dato a mia mamma. Diciamo così: i primi tre anni non mi sono sforzato. Ho campato di rendita e non mi sono mai dato da fare oltre il minimo indispensabile a guadagnarmi delle stiracchiate sufficienze. Ad un certo punto, però, i nodi sono venuti al pettine. Le conoscenze che avevo maturato alle elementari e alle medie - quelle si che le avevo fatte bene - non erano più sufficienti a permettermi di non aprire libro e quando me ne resi conto, a secondo semestre inoltrato del terzo anno, era già un po' troppo tardi. La mia posizione era particolarmente in bilico: oltre ad un'insufficienza grave, ne avevo altre quattro più leggere da riparare ed il rischio di dover ripetere l'anno era decisamente concreto. Per questo, ricordo distintamente quella mattina di giugno in cui, finalmente, furono esposti i "quadri". Mi rivedo, come se fosse ora, mentre scorro il dito sul tabellone dei giudizi, leggendo di cognome in cognome, in uno stato di evidente agitazione.

Amati... promosso.

Bianchi... promosso.

Boschetti... promossa.

Suspense… (in quel momento, l'ansia che incoscentemente non avevo avvertito prima d'allora, si stava manifestando in tutta la sua forza).

Ce l'ho il coraggio di guardare? Si, ce l'ho - Carloiannac... giudizio sospeso - Fiuuuu!

Penso di aver tirato un sospiro di sollievo più forte solo in un'altra occasione: quando, durante gli ultimi minuti di gioco di Roma-Barcellona, il pallonetto del blaugrana Dembelé si spense sul fondo, concretizzando, così, la più grande remuntada della storia giallorossa. È vero, mi avevano assegnato tre debiti, uno dei quali in filosofia - a proposito, chi è che riesce a meritarsi al liceo scientifico un debito nella materia per la quale, o senza la quale, ognuno rimane tale e quale, se non quel membro della razza equina noto come asino? - ciononostante ero felice perché, anche se avevano posto per iscritto, nero su bianco, che mi consideravano un somaro, ero sicuro che me la sarei cavata. Alla fine, come da mie previsioni, riuscii a garantirmi l'accesso alla classe quarta, ma, anche per non essere nuovamente costretto a sacrificare sui libri buona parte dell'estate, promisi a me stesso che mai e poi mai avrei dovuto trovarmi di nuovo in una simile situazione. Non credevo che sarebbe stato così difficile, pensavo che mi sarebbe bastato studiare giusto un poco di più. Mi sbagliavo. Avevo fatto i conti senza l'oste, un oste di nome Edward Lee Thorndike.

Per chi non lo sapesse, il professore di psicologia Edward Lee Thorndike è stato il primo a dimostrare, con una ricerca empirica, l'esistenza di un particolare effetto: "the halo effect", anche noto come "effetto alone". L'effetto alone non è altro che un bias cognitivo. Evitando aride definizioni scientifiche, per spiegarvi in cosa consiste ricorrerò a poche semplici parole: gli esseri umani tendono ad attribuire ad un individuo meriti e qualità che esso non possiede realmente o che, comunque, non ha mai dimostrato di possedere, quando quest'ultimo mostra altri tratti universalmente, o anche solo generalmente, considerati positivi. In quegli anni ero ancora un ragazzino ingenuo. Non possedevo la maturità e le capacità espositive e descrittive sfoggiate dal collega blogger Milan Mauro, ma soprattutto non avevo realizzato quanto questo effetto alone potesse condizionare il giudizio dei miei professori. Lo iniziai a capire quando, in quarta ed in quinta, nonostante studiassi decisamente di più, non venivo premiato con voti che riflettevano le mie brillanti interrogazioni - ma come, io espongo tutte le mie conoscenze in maniera chiara e concisa, senza impappinarmi e senza balbettare, eppure i voti più alti se li guadagnano sempre quelle 2-3 ragazzine che nei primi anni di liceo avevano passato la vita sui libri e che però, ora, non fanno più dello stretto necessario? Ahhh maledetti insegnanti, mannaggia a voi!

In realtà, sbaglio a prendermela con loro, perché loro non ce l'avevano davvero con me. Non mi odiavano, né mi avevano preso di mira. La distorsione nella loro capacità di giudizio era normale conseguenza dell'effetto alone. Si, perché noi esseri umani funzioniamo così: una volta che formiamo un giudizio, tendiamo a ignorare tutto ciò che potrebbe smentirlo. Se pensiamo che qualcuno ci piace per il suo aspetto fisico, o per il modo in cui si comporta, si atteggia o ci parla, ignoriamo qualsiasi altro segno che punti nella direzione opposta. Viceversa, se si è formata in noi la convinzione che Carloiannac è un asino, ignoriamo qualsiasi elemento che dimostri il suo contrario (per esempio che non possiede zoccoli, non cammina a quattro zampe e non raglia), perché l'effetto alone funziona, ovviamente, anche in senso opposto. Dunque, cari lettori, senza saperlo, negli ultimi anni di liceo fui vittima di questo fenomeno. Un fenomeno che miete vittime anche nel calcio.

Conoscete Johan Cruyff no? Johan è universalmente considerato il maggior interprete del totaalvoetbal. L'olandese, soprannominato da Sandro Ciotti "il profeta del gol", alla consapevolezza tattica abbinava grandi qualità tecniche e un'incredibile visione di gioco. Era contraddistinto da un talento innato e da una classe cristallina, ed è per questo che, a ragion veduta, viene considerato una leggenda del calcio. Eppure, la stella dell'Ajax, il mito blaugrana e l'eroe degli "oranje", per certi versi è anche un impostore. Torniamo indietro di qualche anno e qualche mese. Torniamo indietro al 6 febbraio 2016. È il giorno successivo a Barcellona-Celta Vigo, terminata 5-1 in favore dei catalani. AS, importante testata giornalistica sportiva spagnola, pubblica in prima pagina la foto del rigore a due tocchi realizzato da Messi e Suarez e intitola l'episodio "El penalti de Cruyff", richiamando alla memoria dei suoi lettori il tiro dagli undici metri trasformato da Johan, con l'ausilio del compagno di squadra Olsen, nel 1982. Io voglio dare a Cesare quel che è di Cesare.

Sulla pagina di AS, quel giorno, doveva esserci impressa, a caratteri cubitali, la seguente scritta: "El penalti de Coppens". Invece, il titolo scelto e utilizzato dalla redazione è stato diverso, e non solo per motivi commerciali, anche per via dell'effetto alone. Del resto, è Johan il giocatore famoso, quello capace di inventare assist e di disorientare gli avversari con movimenti inediti. È Cruyff ad essere uno dei soli tre giocatori, assieme a Panenka e Zidane, che può vantare di aver dato il proprio nome ad un gesto tecnico. È sempre Cruyff che, grazie alle qualità dimostrate sul campo, può tranquillamente affermare il falso, attribuendosi la paternità del penalty a due tocchi.

Rik Coppens invece chi è? Poiché la sua carriera non è stata arricchita da alcun titolo, trionfo o successo, la pagina dedicatagli su Wikipedia è spoglia ed avara di parole. Coppens è il figlio di un pescivendolo, un ragazzo che si assentava dal lavoro nella pescheria dei genitori per allenarsi. Si divertiva a fare il giocatore di calcio nel Germinal Beerschot, una squadra belga che, negli anni cinquanta, quando Rik vi militava, non riuscì mai ad andare oltre un modesto quarto posto in campionato. Coppens era uno showman, un intrattenitore capace di dribblare due volte il portiere avversario solo per il gusto di farlo. Era un ribelle; un rivoluzionario incredibilmente amato dal suo pubblico. Una volta segnò un gol da sdraiato, facendo rotolare il pallone oltre la linea di porta con un colpo di naso. Solo Coppens poteva pensarci. Solo Coppens, al rientro da un lungo infortunio, poteva portare 10.000 persone ad assistere ad un incontro tra il Beringen e le riserve del suo Germinal. Solo Coppens, indossando la maglia della Nazionale belga, poteva avere la geniale idea, nel 1957, contro l'Islanda, di cercare l'aiuto di un compagno di squadra per realizzare un calcio di rigore. Fu una sua decisione, un'idea mai discussa o praticata prima. Per poco, non andò incontro ad una figuraccia, ad un'umiliazione pubblica, poiché il compagno di merende Piters riuscì ad anticipare l'intervento dell'estremo difensore avversario solo per un soffio, gettandosi in scivolata, ma questo è relativamente importante.

Coppens, proprio come Panenka nella finale degli Europei del 1976, corse un rischio, spinto dall'amore per la creatività e dalla voglia di realizzare qualcosa di speciale per il pubblico. Tuttavia, a differenza del fantasista ceco, manifestare pienamente il suo estro non lo portò alla ribalta internazionale, gli valse solo la sospensione dalla Nazionale. Perché Coppens è un po' come il ragazzino che per tanto tempo non studia: quando finalmente risponde brillantemente a tutte le domande del professore, non viene premiato come meriterebbe. Questo accade perché il giudizio nei suoi confronti è già stato speso. La sentenza si è già abbattuta su di lui come una scure. Coppens non è Cruyff, lo studente brillante che ogni tanto può concedersi senza conseguenze qualche defaillance, pertanto, la paternità del rigore a due tocchi non può, non deve, essere sua. La principale colpa di Coppens è quella di non aver mai gareggiato in competizioni internazionali per club e di non essersi mai misurato con avversari forti e famosi. Coppens è così divenuto quello "un po' scarso", certamente una vittima dell'effetto alone.

Ora, io in Coppens, scusate l'accostamento azzardato, rivedo un noto blogger di VxL. Non voglio lanciare un'avvelenata, perciò sputerò il nome: il blogger in questione è Arsenico17. Anzi, scusatemi, non è abbastanza, meglio non incorrere in fraintendimenti, farò nome e cognome: il blogger in questione è Oronzo Canà - ma poi, si chiamerà davvero così il nostro beniamino? Mistero. Arsenico17, come Coppens, fin dal primo momento in cui ha messo piede in questa piattaforma ci ha deliziato con articoli fantastici, meravigliosi, supercalifragilistichespiralidosi, ma lo ha fatto col contagocce. Arsenico17 è stato capace, sì, di irridere gli avversari, ma solo quelli alla sua portata. Arsenico 17 ha cercato di essere sempre al centro dell'attenzione, perché è uno showman che, proprio come Coppens, ha bisogno di cogliere ogni opportunità per esternare la sua personalità (o una delle tante che lo contraddistinguono).  Arsenico17 si considera un intrattenitore. Arsenico17 vive per scrivere qualcosa di innovativo, qualcosa capace di far parlare il pubblico. Arsenico17 ogni tanto ci riesce anche, ma quando questo succede, non viene premiato dalla redazione come dovrebbe. Perché? Perché il giudizio nei suoi confronti è già stato speso. La sentenza, su di lui, si è già abbattuta come una scure (e diciamocelo, presentarsi con articoli pieni di epiteti volgari, esclusivi esercizi stilistici privi di stile, non lo ha di certo aiutato): Arsenico17 non può, non deve, essere premiato.

Ora, l'ho già detto, in questa sede voglio dare a Cesare quel che è di Cesare. Voglio farlo almeno per una volta. Voglio che sia riconosciuta l'originalità di Arsenico17. Arsenico17 è il miglior blogger di VxL, è il signore indiscusso di questa piattaforma, ed è paragonabile ad un Dio, perché tutti quanti noi traiamo da lui ispirazione. Il suo stile è più contagioso del Covid e, perciò, esorto la redazione ad alzargli la media voto a 11 e a proclamarlo campione di agosto in anticipo. Anzi, mi allargo, chiedo che venga reintitolata questa piattaforma, la sua piattaforma, in Vivo per Arsenico17. Perché se è vero che lui vive per noi, è altrettanto vero che noi viviamo per lei (anzi, per lui)!