Era l’estate del 1990 quando il Cameroon di Roger Millà stupì tutti durante il suo esordio al mondiale italiano pareggiando 1-1 contro l'Argentina di “sua maestà” Maradona, guadagnando subito le simpatie del tifo neutrale e facendo intravedere a tutti per la prima volta le potenzialità del calcio africano, spingendosi fino ai quarti di finale dove poi, soltanto ai supplementari, si arrese all’Inghilterra.

E dopo? Dopo fu la volta della Nigeria degli anni ’90 (un’olimpiade vinta e ottime prestazioni mondiali), il Senegal 2002 (Francia campione del mondo battuta all’esordio e conquista dei quarti di finale) e infine il Ghana del 2010, forse la meno memorabile di tutte ma  ad un solo rigore dal centrare una storica semi-finale proprio in terra africana. 
Nonostante queste belle favole sportive è da quel nostalgico 1990 che gli amanti di questo sport aspettano un’Affermazione (con la A maiuscola) del calcio Africano, un’affermazione che ogni anno sembra sempre rimandata e che addirittura, negli ultimi anni sembra mancare persino in quelle formazioni “tuttopepe” che in una specie di staffetta , a turno, sono sempre riuscite a tenere in alto la “bandiera”  del continente Africano durante un mondiale.

Quest’anno al mondiale in Russia parteciperanno 5 squadre AfricaneMarocco, Tunisia, Egitto arrivano da quell’angolo di Africa che si affaccia sul mediterraneo e che soprattutto qua in Italia abbiamo imparato a conoscere piuttosto bene. Parliamo di quel pezzo di Africa con un patrimonio genetico e culturale di stampo arabo, calcisticamente fatto da buoni piedi un bel giro palla difese ordinate e anche qualche buon dribblatore ma ahimè, sempre carente nella fase più importante del gioco, ovvero quella  realizzativa. E con queste premesse chi meglio di Moammed Salah , il giocatore che ad oggi guida la classifica della scarpa d’oro con ben 29 reti ,  può candidarsi come Messiah predestinato a riscrivere la storia del calcio Africano ? Io ci scommetterei su…
Nigeria e Senegal invece sono le rappresentati dell’Africa “black”. Quell’Africa misteriosa e lontana dagli occhi europei e forse non a caso proprio quell’Africa da cui in questi decenni sono arrivate le formazioni con la tradizione migliore ai mondiali. Secondo le previsioni di qualche anno fa,  il movimento calcistico in Africa sarebbe dovuto crescere esponenzialmente con il passare degli anni anche grazie al fatto che già si sapeva che sempre più giocatori originari del continente sarebbero approdati in squadre Europee di alta caratura , imparando così gli aspetti più tattici e più professionali del calcio e attenuando quei limiti  da sempre attribuiti alle formazioni africane.
In realtà le cose non sono andate proprio così. Una prima motivazione a spiegare questo brusco rallentamento sta proprio nel fatto che molti calciatori di origine Africana spesso hanno optato (e tutt’ora optano) per  indossare la maglia della Nazione che li "adotta” calcisticamente, snobbando di fatto la propria Nazionale di origine; e se in questi anni comunque si sono alternate scelte difficili a scelte di cuore rimane il fatto che la maggior parte dei figli di calciatori più o meno celebri  (e il loro potenziale genetico) quasi sempre sceglieranno (o hanno già scelto) di giocare per il paese nel quale  sono cresciuti , a discapito di una terra d’origine spesso neanche mai vistata. Tuttavia, secondo me, nel rallentamento dell’evoluzione del calcio in Africa c’è stato un altro aspetto altrettanto determinante.

Io credo che il calcio Africano in questi ultimi anni abbia dato retta fin troppo all’opinione di sedicenti “esperti di calcio” “esteti dai gusti fini”  “amanti del tiki taka” e del “calcio olandese”,  finendo cosi’ per  snaturare il proprio gioco e soprattutto la propria cultura che, in una competizione come il Mondiale, è un fattore determinante per poter arrivare a giocarsi certi risultati.
E’ vero, le squadre Africane hanno solitamente mostrato poca accortezza tattica e/o una certa ingenuità in alcune fasi di partita (ma pure la nazionale Inglese se per questo…) e fino ad un certo punto è stato sicuramente un bene affidarsi a coach europei  prendendo come esempio realtà’ calcistiche del vecchio continente.
Ora pero’ sembra che per accontentare qualche opinionista in più si sia finiti esattamente dalla parte opposta , decidendo di rinunciare a tutte quelle caratteristiche che in passato hanno sempre messo in difficoltà avversarie e esaltato i propri giocatori : forza fisica , velocità, imprevedibilità e spensieratezza/coraggio. 
E’ un dato di fatto: le squadre Africane al Mondiale non corrono più, non divertono più, non emozionano più
. Certo, qualcuno potrà obiettare dicendo che quel loro modo di giocare sia sorpassato,  sia troppo dispendioso e dispersivo e che alla lunga un approccio  alle partite di quel tipo porti più danni che benefici. Forse. Tuttavia, è anche pur vero che non stiamo parlando di giocare 38 partite distribuite in 4 stagioni. In un torneo "veloce" come può essere il Mondiale, dove i tempi di “studio” e di allenamento sono ridotti al minimo e dove ogni 4 anni di fatto si ricomincia tutto da capo, io credo che il gioco possa ancora valere la candela. 
Semmai il problema, a volte, è stato nella gestione delle formazioni Africane nei brevi periodi di recupero, tra una gara e l’altra e questo lo dico ricordando  le numerosi storielle divertenti che sono sempre girate durante i vari mondiali che raccontavano di  formazioni Africane festanti ad ogni vittoria con alcolici donne e fritture miste che giravano sia a pranzo che cena.
Comunque, anche lasciando da parte certe storie che forse sono più leggende e considerando il fatto che oramai viviamo in un era dopo tutti i calciatori sono atleti super professionisti con un Cv sportivo degno di nota, io sono convinto che il calcio africano non debba essere comunque imbrigliato in troppi tatticismi che, dati alla mano, non hanno portato tutti questi benefici.

Insomma, non si dovrebbe permettere che la moda del Guardiolismo contagi anche le formazioni Africane portando centometristi nati per seminare il panico, a giocare da fermi come se fossero Pirlo e Busquet. Perché nella vita è giusto evolversi, migliorarsi e attingere da chi in quel momento è migliore di noi,  ma non bisogna mai dimenticarsi chi si è ne da dove si viene, (vero Italia?) soprattutto quando si parla di Mondiale dove oltre che a giocare a calcio si è chiamati a rappresentare la propria gente il proprio paese e il proprio modo di essere. (E soprattutto quando si è 4 volte Campioni del Mondo, vero Italia?).